Cinema

EntARTainment: miracolo del digitale, così resuscita gli attori defunti

di Bruno Zambardino, Armando Maria Trotta |

Scansioni corporee per far rivivere sul grande schermo gli attori che non ci sono più. Il pubblico è davvero così tanto affezionato ai propri miti del cinema da non riuscirgli a concedere il meritato ‘eterno’ risposo?

Era il 1860 e William H. Mumler, per caso, scoprì come resuscitare i morti. O meglio: scoprì come rinverdire il loro ricordo nella mente dei loro cari attraverso l’emulsione di acidi, solventi e nitrato d’argento, scattando una fotografia al caro estinto che, di volta in volta, si presentava nello studio fotografico per farsi ritrarre; all’epoca i defunti erano davvero vanesi e disponibili.

Le speranze delle persone che non riuscivano a rassegnarsi alla scomparsa del proprio bene, purtroppo, si infransero contro il muro della legge e della logica. Le fotografie spiritiche di Mumler e poi di Hope erano truffe, artifici ottenuti attraverso la doppia esposizione del negativo. Due foto scattate in momenti diversi ed unite su un unico foglio: praticamente un effetto speciale.

La rubrica EntARTainment, ovvero libere riflessioni sull’economia dei media e della creatività tra nuovi linguaggi, mercati globali e moderne fruizioni. A cura di Bruno Zambardino Docente di Economia del Cinema e dello Spettacolo alla Sapienza e Direttore Osservatorio Media I-Com, in collaborazione con Armando Maria Trotta, autore cinematografico. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.
Chissà se Peter Jackson abbia conosciuto queste storie del millennio scorso prima di fondare la sua Weta, società di “special effect” che, di recente, si è buttata anima e corpo (figuratamente più “anima” che corpo, in realtà) nella resurrezione digitale dei divi di Hollywood attraverso scansioni corporee che ne immagazzinano le fattezze e le congelano ab aeterno  per poi reimpiegarle attraverso l’ausilio di stuntman nelle pellicole che gli attori non hanno modo di completare perché, purtroppo, sono già arrivati al loro appuntamento a “Samarcanda”.

La fotografia spiritica di questo millennio, la prima, lo spartiacque, è certamente il blockbuster americano “Fast and Furious 7”, un film realizzato quasi completamente con la tecnologia da Lazarus Casperiano di Jackson ed all’ausilio dei parenti del fu Paul Walker. Eh sì, perché Paul Walker, il protagonista del lungometraggio, quel film non lo ha girato (e non è stato il solo).

Per sua sfortuna o per uno strano scherzo del destino, la sua vita è finita a bordo di un bolide con talmente tanti cavalli da sembrare un ippodromo; ad L.A., l’angelo della morte pare che si diverta ad inseguire le star-piloti quando sfrecciano sulle proprie macchine, proprio come fece anni fa con la Porsche 550 Spyder dell’indimenticabile James Dean.

Il povero Walker, prima di iniziare a girare, aveva firmato un contratto che sembra essere sempre più una prassi consolidata che un pionieristico accordo tra le parti (lo stesso tipo di contratto è stato sottoposto e sottoscritto da Chris “Cap. America” Evans) ovvero quello che prevede che gli attori si impegnino a non morire, a non morire mai!

Specifichiamo: le tue spoglie mortali potranno essere cremate, disperse nel vento o sonnecchiare fino alla fine dei giorni qualche metro sotto terra, ma la tua faccia, la tua voce e le tue azioni appartengono alle Major!

Un patto col diavolo faustiano che da solo può farci capire in quale mondo ci stiamo addentrando.

Ma le domande sorgono spontanee: in quanti film potremo ancora usare il fantasma di Walker?

Una volta ceduti i diritti di immagine, in quante pellicole gli attori potranno comparire anche senza prestare fisicamente la loro opera?

Sarà ancora richiesta la loro presenza sul set o questa tecnologia ucciderà l’artigianato attoriale?

Si creerà un nuovo modello di business, basato soltanto sullo sfruttamento dei lineamenti del bel visino?

Fin dove riusciremo a spingerci?

Certo, col senno di poi, se questa tecnologia avesse qualche anno in più, sarebbe bellissimo comprare un biglietto del cinema per assistere all’ultimo film di Marylin, Greta Garbo e Charlie Chaplin, ma quanto sarebbe giusto?

Il pubblico è davvero così tanto affezionato ai propri miti del cinema da non riuscirgli a concedere il meritato “eterno” risposo?

Che fine hanno fatto i tempi in cui il rifiuto del lutto si concretizzava, al massimo, con un disperato «Elvis è all’AREA-51 e Paul McCartney  è stato sostituito da un sosia»?

A queste domande, purtroppo, non sappiamo rispondere, ma siamo sicuri che, in futuro, i “film 47” saranno moltissimi e affolleranno le nostre sale, i nostri tablet, i nostri schermi. Perché “film 47”? Provate a chiederlo ad un napoletano e vi risponderà «“47”? Morto che parla!».

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