Con l’avvento e l’affermazione della fotografia molti ritrattisti ottocenteschi si sentirono minacciati dalla nuova tecnica. Pensarono «chi affiderà mai le sue fattezze al nostro occhio, se una macchina può catturarne meglio l’aspetto e in un centesimo del tempo che impiegheremmo noi per farlo!?».
La rubrica EntARTainment, ovvero libere riflessioni sull’economia dei media e della creatività tra nuovi linguaggi, mercati globali e moderne fruizioni. A cura di Bruno Zambardino Docente di Economia del Cinema e dello Spettacolo alla Sapienza e Direttore Osservatorio Media I-Com, in collaborazione con Armando Maria Trotta, autore cinematografico. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.L’avvento di una nuova tecnologia, di una nuova scoperta, da sempre getta le vecchie maestranze in crisi e questo è un fatto assodato. Tuttavia, la storia ci insegna che una delle primissime avanguardie della storia dell’arte occidentale, l’Impressionismo, vide la luce proprio tra le pareti di uno studio fotografico, quello di Nadar.
Il giorno era il 15 Aprile 1874 ed il luogo era il numero 35 di Boulevard des Capucines a Parigi. Invero, gli impressionisti erano già grati alla fotografia, così come lo sarebbero stati in futuro gli altri artisti figurativi, perché dal nuovo mezzo non solo potevano apprendere “cose” inedite ma anche perché il ruolo del pittore, grazie ai nuovi ritratti fotografici, si era finalmente emancipato da quello di semplice “copista di visi”. Insomma, se ti volevi portare il faccino della tua bella a casa per ammirarlo ogni qualvolta ne sentivi più il bisogno, ti dovevi rivolgere al fotografo; i pittori avevano altro da fare, i pittori dovevano dedicarsi alla sperimentazione artistica!
E fu così che al ciclo naturale di nascita, crescita e morte si aggiunse la “rinascita” delle arti figurative.
Come tutti sappiamo, l’avvento del web, dello streaming, della pirateria informatica, hanno gettato l’intero settore delle sale cinematografiche in crisi.
«Perché pagare un biglietto e cercare parcheggio se lo stesso prodotto potrò averlo gratis (o magari a pochi euro su qualche piattaforma) tra non più di tre mesi?».
Eccoci giunti al Ragnarǫk dei pop-corn e delle lotte per il bracciolo; eccoci giunti alla fine dei biglietti strappati e degli sbadigli che si trasformano in timidi abbracci.
E se così non fosse? Casualmente, ci si è imbattuti in un sito internet che fornisce un servizio davvero singolare: clicca qui per scoprire cosa sia “Movieday“!
Il servizio promosso dalla Europa Cinemas, dalla FICE, dall’ACEC, e con il sostegno di altri importanti partner economici, permette agli internauti di creare la propria proiezione al cinema, scegliendola sala più vicina al proprio domicilio ed il titolo preferito tra quelli messi a disposizione e catalogati sul sito (un rapido sguardo ai generi catalogati). I cinema che hanno aderito all’iniziativa, per il momento, sono soltanto sei e coprono un territorio che va da Milano a Roma.
Ma come funziona?
Nulla di più semplice: ti iscrivi, scegli il film da proiettare, il supporto che preferisci, il dove e il quando e parte la sottoscrizione online all’evento. I titoli sono i più svariati e spaziano dalle classiche pellicole diventate tormentone televisivo a film indipendenti che stenterebbero ad affermarsi a causa della mancanza di una distribuzione seria e capillare.
Quindi, Movieday non è soltanto un servizio per organizzare romanticissimi “Amarcòrd” per palati fini, ma anche un modo per promuovere un nuovo cinema, nuove idee, magari i cult del futuro, quelli che ispireranno i Tarantino del 2060.
Ma come si spiega questo ritorno alla sala in un epoca di streaming, di download, di servizi comodi, domestici e on-demand per fruire di qualsiasi prodotto audiovisivo?
Ebbene, lo si spiega come si spiegò il miracolo impressionista nello studio di Nadar e, come in quell’evenienza, non è un caso che sia proprio la rete ad aiutare la filiera classica degli esercenti cinematografici.
Si è detto che il web, da quando è nato, ha assolto e continua ad assolvere il suo compito, fornire la massima diffusione dei contenuti, in maniera agevole, economica, mirata; avendo ormai quasi del tutto rimesso la funzione “divulgativa” delle opere cinematografiche alla rete, la sala cinematografica può ora concentrarsi sull’aspetto artistico, sociale e sociologico che le ha sempre competuto. Adesso, le sale possono concentrarsi sulla riscoperta di un vastissimo patrimonio audiovisivo di cui il mondo intero dispone, possono fornire finalmente un servizio che il web ontologicamente è impossibilitato a somministrare, ovvero la possibilità di fruire di un film, di un documentario, assieme ad altre persone, nella medesima sala, per poi uscire e scambiarsi pareri, opinioni, o semplicemente rievocare il ricordo della prima volta che videro quella pellicola proiettata sul grande schermo. Magari, rivedendo “Ritorno al futuro” in sala, due ex-teenager degli anni ottanta potrebbero raccontare alla piccola figlioletta che si scambiarono il primo bacio proprio tra un “Grande Giove!” e l’altro del mitico Christopher Lloyd.
Per concludere, le persone che hanno attraversato il millennio scorso e adesso stanno camminando sul sentiero dissestato di questa nuova era sono sempre più atomizzate e isolate dai propri simili e se le televisioni e i computer ci offrono la possibilità di rendere più comoda ed “economica” la nostra esistenza, altrettanto certamente il bisogno di stringersi agli altri non può essere sopito. Le sale hanno ancora la forza e la possibilità di attrarre le masse al botteghino, hanno ancora la chance di scrivere importanti pagine della storia personale di ogni spettatore, hanno ancora il compito di far sbocciare qualche amore in banco e nero, che sappia di velluto rosso e coca-cola.