Che gli americani avessero compreso l’importanza delle origini lo si era capito da un bel pezzo. Non delle proprie origini, s’intenda!, ma di quelle delle storie che hanno avuto successo sul grande schermo e che potrebbero ancora tornare utili alle tasche dei produttori, nonostante gli autori abbiano già apposto il loro bravo “The End!” alla fine della pellicola.
La rubrica EntARTainment, ovvero libere riflessioni sull’economia dei media e della creatività tra nuovi linguaggi, mercati globali e moderne fruizioni. A cura di Bruno Zambardino Docente di Economia del Cinema e dello Spettacolo alla Sapienza e Direttore Osservatorio Media I-Com, in collaborazione con Armando Maria Trotta, autore cinematografico. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.
Ma se la parola “fine” è già stata scritta, perché non concentrarsi sulla parola “inizio”?I prequel, soprattutto nell’ultimo periodo (basti pensare all’ultimissimo sforzo congiunto 20th Century Fox e Marvel Entertainment, che tenta di spremere fino all’ultimo il redditizio brand degli “X-Men”) sono diventati un approdo sicuro e confortevole per le saghe che hanno ancora molto da raccontare. Tra questi spicca un esempio cinematografico di tutto rispetto, al quale il pubblico di tutto il mondo ha riservato un’accoglienza inusitata e quello italiano, in particolar modo, dopo pochi giorni di programmazione ha permesso che diventasse il film più visto nello Stivale in tutto l’anno duemila quindici.
Stiamo parlando di Kevin Stuart e Bob, tre esserini dal corpo oblungo, gialli come limoni, cinici e ottusi come burocrati e cattivi come il Grinch.
I “Minions”, personaggi creati da Ken Daurio e Cinco Paul, comici aiutanti del perfido Gru in “Cattivissimo me” e “Cattivissimo me 2”, scagnozzi dal piglio clownesco che inaspettatamente hanno conquistato il cuore del pubblico e che, pertanto, si sono meritati una pellicola tutta loro. Oltre ad essere un prequel, dunque, e ad essere un caso di studio per esser diventato in pochissimo tempo il film d’animazione più visto in Italia di tutti i tempi, quello de “I Minions” è uno spin-off, altro genere (o sottogenere) che agli americani sta diventando sempre più caro. In passato avveniva spacchettando i team-up di supereroi e creando un percorso editoriale personalizzato per ogni singolo personaggio, cosa che ha garantito di massimizzare i profitti derivanti da ogni singolo carattere dei racconti a fumetti. Successivamente è toccato in sorte ai prodotti cinematografici e televisivi ma soprattutto, quello di avere opere derivate, era un destino molto comune alle produzioni destinate ad un pubblico giovanile. E così da “Il Re Leone” è nata la serie televisiva animata dedicata a “Timon & Pumba”; o ancora “I pinguini di Madagascar” da, per l’appunto, “Madagascar”; “Il Gatto con gli Stivali” da “Shrek” e così via, in un valzer infinito di personaggi di riciclo che, al centro della ribalta, sanno come brillare di luce propria.
I Minions confermano questo trend positivo di “spalle” che sanno come diventare felicemente “volti” noti, basta guardare ai numeri: 900 schermi che proiettano le disavventure millenarie dei negligenti omini gialli hanno già fatto incassare ai gaudenti produttori 20 milioni di euro (dati Cinetel), un quinto degli incassi di tutto il cinema in un anno con tenute straordinarie anche nei giorni infrasettimanali complici le scuole ancora chiuse. Per intenderci, più di “50 sfumature di grigio”, acquistato dalla medesima casa di produzione, la Universal, major che quest’anno ha festeggiato a livello i 2 miliardi e 113 milioni di dollari d’incasso solo negli Stati Uniti d’America, traguardo mai raggiunto prima da nessun’altra major!
Ma qual è la forza del progetto?
Sicuramente la struttura dei progetti di animazione degli ultimi anni ha subito un grande mutamento: quello della pluralità dei livelli di lettura che l’opera riesce ad offrire al pubblico. Da un punto di vista formale, lo schermo è invaso da colori, suoni buffi, tinte chiare e accattivanti per gli under nine, ma dal punto di vista contenutistico sanno offrire al pubblico dei genitori sceneggiature “adulte” che ammiccano al mondo dei grandi riuscendo a non inquinare l’immaginario puro dei ragazzi. Insomma, prodotti children&parents friendly, che accontentano tutti grazie alla semplice intuizione di una contaminazione stilistica che sa farsi portatrice di messaggi differenti all’interno della stessa opera cinematografica. Non stupisce che, se un personaggio funziona all’interno di un film, anche se in esso ha soltanto un ruolo da comprimario, possa funzionare ugualmente bene in un lungometraggio dedicato, visto che non è più il personaggio ad essere portatore di storie ma il contesto nel quale agisce.
“L’uovo di Colombo!”, qualcuno oserà esclamare, e a ben pensarci è effettivamente un uovo fatto tutto d’oro, giallo e oblungo, che sta in piedi da solo (si colga l’allusione economica!)… proprio come i Minions.