Le prime relazioni tra arte e televisione in Italia risalgono addirittura a prima che il nuovo medium trasmettesse il suo primo contributo al progresso delle comunicazioni, nel lontano 3 Gennaio 1954.
La rubrica EntARTainment, ovvero libere riflessioni sull’economia dei media e della creatività tra nuovi linguaggi, mercati globali e moderne fruizioni. A cura di Bruno Zambardino Docente di Economia del Cinema e dello Spettacolo alla Sapienza e Direttore Osservatorio Media I-Com, in collaborazione con Armando Maria Trotta, autore cinematografico. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.Già due anni prima, infatti, il 17 Maggio del 1952, nel corso di una trasmissione sperimentale della nascitura RAI, viene data voce ai proclami contenuti nel “Manifesto del movimento spaziale per la televisione“. Gli spazialisti, artisti di un’avanguardia emergente con l’assoluto bisogno di trascendere la stanzialità dell’arte coeva, guardano alla televisione (e non “la” televisione) per impadronirsene, servirsene, amplificare la “gittata” dei loro messaggi.
“Noi spaziali trasmettiamo, per la prima volta nel mondo, attraverso la televisione, le nostre nuove forme d’arte, basate sui concetti dello spazio […]. Noi spaziali ci sentiamo gli artisti di oggi, poiché le conquiste della tecnica sono ormai a servizio dell’arte che professiamo […] per noi la televisione è il mezzo che aspettavamo per dare completezza ai nostri concetti”.
Erano queste le idee e le aspettative dei nuovi esuberanti artisti degli anni cinquanta che, tra le proprie fila, annoveravano personalità del calibro di Burri, Sanfilippo, Kaisserlian, Milani e, in qualità di capo rivolta un aitante cinquantenne, al secolo Lucio Fontana, pronto a squarciare il mondo, oltreché le sue tele. Questi intellettuali avevano già intuito la potenza dirompente del nuovo mezzo ed erano del tutto intenzionati a sfruttarlo per moltiplicare le proprie espressioni artistiche.
L’amore dell’arte nei confronti della televisione fu immediatamente corrisposto dando vita a forme innovative di comunicazione anche con efficaci finalità educative. Infatti, sin dal primo giorno di trasmissioni ufficiali, fu inserito in palinsesto un programma dal titolo “Avventure dell’arte”; protagonista della prima puntata fu Giovanni Battista Tiepolo (non proprio un coetaneo degli spazialisti). Quella che è venuta dopo, ovvero una scaramuccia tra innamorati durata più di mezzo secolo tra l’arte e il medium televisivo, è una storia interessante ma che, per ragioni di spazio, non abbiamo tempo di raccontarvi. Basti dire che, più che la disattenzione nei propri riguardi, la comunità artistica ha sempre rimproverato al tubo catodico di prediligere un’impostazione di divulgazione della conoscenza di stampo “museale”, enciclopedico, polveroso.
La TV ha fatto quasi sempre orecchie da mercante e non ha mai risposto a queste invettive: è stato questo atteggiamento a dare i natali a quell’onda di protesta che ha preso corpo nella video arte, capace – come nelle opere di Nam June Paik– di fagocitare lo schermo televisivo ed adoperarlo attribuendogli una funzione totemica ed assolutamente malevola.
Superata la soglia del nuovo millennio e spinti dalle opportunità della multicanalità digitale è forse arrivato il momento di gettare le basi per una pace duratura tra arte e televisione e abbattere steccati ormai obsoleti dando vita a contaminazioni tra la televisione e i nuovi media digitali da un lato e la produzione artistica e culturale dall’altro.
E’ così che arriviamo, ad esempio, al Media Art Festival, uno spazio dove far incontrare l’arte con le nuove tecnologie per valorizzare le creazioni artistiche realizzate grazie ai nuovi strumenti digitali. È un evento-progetto che crea un ponte tra scuole, centri di ricerca, università e aziende, avvicinando le giovani generazioni a un nuovo modo di concepire e usare la tecnologia, stimolando lo sviluppo di competenze strategiche e la nascita di nuovi profili professionali.
L’evento si presenta come una novità interessante nel panorama artistico, sociale e tecnologico italiano grazie ad un approccio trasversale e al tentativo di rispondere alle esigenze delle nuove generazioni. In Olanda, Germania, Inghilterra, dove si è già tenuta una prima edizione del format riconosciuto a livello internazionale, è stato registrato uno straordinario successo di pubblico, che ha dato origine a nuove tendenze e mercati in campo artistico. Per la prima volta in Italia e all’estero una grande comunità fatta di giovani, associazioni, scuole, aziende e istituzioni, coinvolge anche la comunità degli artisti digitali, inventori ed esploratori delle nuove frontiere della tecnologia.
Un altro felice esperimento è costituito da ArTVision progetto comunitario promosso dalla Regione Puglia in collaborazione con la Fondazione Pino Pascali e la Apulia Film Commission che mira a creare un canale transmediale che veicoli produzioni audiovisive legate all’arte contemporanea e alla valorizzazione di giovani talenti artistici attivi tra le due sponde dell’Adriatico (nel progetto sono coinvolti anche la Regione Veneto e istituzioni pubbliche e private culturali della Croazia, dell’Albania e del Montenegro).
Un vero e proprio hub di competenze specialistiche in grado di produrre e distribuire reportage, rubriche informative, documentari, video-biografie di artisti valorizzando i luoghi e i talenti artistici del territorio e incentivando le contaminazioni con paesi e culture dell’altra sponda dell’adriatico.
Sul canale web sono già disponibili e fruibili un centinaio di clip di elevata qualità tecnica e artistica che mostrano la grande vitalità e il dinamismo dell’arte contemporanea. La scommessa è ora quella di aumentare la circolazione e la visibilità di tali produzioni in chiave multipiattaforma, a partire dai broadcaster specializzati in promozione culturale in primis Rai 5 e Sky Arte. Canali che nonostante i budget ridotti hanno il merito di aver adottato linguaggi nuovi capaci di catturare l’attenzione di un numero crescente di utenti ed appassionati, giovani inclusi.
Due esempi interessanti che dimostrano che è possibile sperimentare nuove forme di narrazione dell’arte contemporanea avvalendosi del web e delle nuove piattaforme trasnmediali.
Ciò che contraddistingue tali progetti e che ci è parso importante sottolineare è l’approccio all’argomento: numerosi format indagano ancora il mondo dell’arte come accadeva negli anni cinquanta col Tiepolo, ignorando del tutto i “Fontana” di turno, facendo brevi incursioni negli atelier dei nuovi Guttuso, De Chirico, Manzù alla maniera di moderni Franco Simongini, senza mai riuscire a squarciare il velo che separa la finalità cronachistica da quella sperimentale, di fusione degli obiettivi e dei linguaggi, di valorizzazione dei talenti.
I nuovi producers dovrebbero prestare particolare attenzione alla possibilità di creare una nuova strada, raccogliere l’appello degli spazialisti e servirsi in maniera nuova e fruttuosa del mezzo di comunicazione più sottostimato di sempre, tenendo sempre ben a mente che, come dice Juliette Lewis nel film di Woody Allen Husbands and Wives, “la vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione”; dunque (forse) sarebbe opportuno “riempire” la TV di arte per risolvere definitivamente il problema di una vacua percezione del reale.