C’era una volta, non tanto tempo fa, uno scrittore che si ingegnava a trovare storie nuove ed avvincenti da raccontare al pubblico mediante la proiezione su di un telo bianco di ventiquattro fotografie al secondo. C’era una volta… e forse adesso non c’è più, o sta scomparendo, o ha esaurito la vena, o i produttori non gli rispondono al telefono.
La rubrica EntARTainment, ovvero libere riflessioni sull’economia dei media e della creatività tra nuovi linguaggi, mercati globali e moderne fruizioni. A cura di Bruno Zambardino Docente di Economia del Cinema e dello Spettacolo alla Sapienza e Direttore Osservatorio Media I-Com, in collaborazione con Armando Maria Trotta, autore cinematografico. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.
Eh sì, perché il telefono dei produttori deve essere molto distante dai loro uffici e nel tragitto che devono compiere per raggiungere l’apparecchio, probabilmente, incontrano spesso e volentieri una vecchia libreria di mogano sulla quale hanno stipato i loro libri d’infanzia, magici e polverosi, sempre pronti ad essere sfogliati e a far viaggiare i bambini diventati già grandi nel mondo della fantasia.
Diciamocelo, se la causa dell’invasione barbarica dei fratelli Grimm sul grande schermo avvenuta nell’ultimo decennio non dovesse essere questa, saremmo dunque legittimati a pensare che si tratti di un problema di royalty o che più pragmaticamente toccherebbe dar ragione a Luciano Vincenzoni quando spiega che il pubblico cinematografico è abituato a concetti semplici, bramoso di narrazioni archetipali e un tantinello manichee, ed è sulla base di queste certezze che individuò come titolo più appropriato per il film “I due magnifici straccioni” quello di “Il buono, il brutto e il cattivo” perché, parafrasando, «devi parlare al pubblico come se stessi parlando con un bambino».
E allora diamo il via alle danze di ranocchi e principesse, orchi e fatine, ché non è mai troppo tardi per avere un’infanzia felice!
Felicità come se piovesse per i produttori, per i distributori, per chi mangia col cinema e mira a sbancare al botteghino ogni settimana di programmazione. Ricapitoliamo gli elementi dei quali disponiamo: Sofia Coppola che si prepara a girare l’adattamento filmico della “Sirenetta” di Andersen (in preproduzione); un remake di Kenneth Branagh già campione di incassi della Cenerentola Disneyana (2015); un mega melting-pot favolistico che schiera Cappuccetto Rosso accanto a Raperonzolo e Jack della pianta di fagioli (“Into the woods”, 2014); l’interpretazione della bella e perfida Angelina Jolie nel ruolo della malefica “Malefica”, prequel de “La bella addormentata nel bosco” (sì, si fanno anche i prequel di storie che contano più primavere della somma di tutte quelle degli sceneggiatori coinvolti nel progetto! Questo risale al 2014); Hansel & Gretel cresciuti e diventati cacciatori di streghe in stile “Vampire Slayer” di Joss Whedon (2013); ben due versioni di Biancaneve nello stesso anno (“Biancaneve” e “Biancaneve e il cacciatore”, 2012); una Cappuccetto Rosso (sangue) alle prese con un licantropo che vorrebbe innanzitutto depredarla della sua verginità (e questo è finalmente molto in linea con la morale recondita del testo originale. 2011); nientepopòdimenoché le altezze reali Eddy Kitsis e Adam Horowitz, principini di Lost e creatori di una serie altrettanto fortunata dal titolo particolarmente esaustivo, “C’era una volta…”, in cui il mondo reale incontra quello delle favole dei fratelli Grimm e non solo (2011); l’avventurosa commedia dell’ex Monty Python Terry Gilliam che ha come protagonisti proprio gli onnipresenti, sfiancanti, presenzialisti fratelli Grimm (2005).
E questo elenco non ha certo la pretesa di essere un campionario esaustivo di ciò che è avvenuto negli ultimi anni sul versante del cinema fiabesco!
Ma perché questo tipo di narrazioni conoscono tutta questa fortuna, sia in sala che nei salotti in penombra abitati da pargoli e baby-sitter alle quali il prerequisito minimo dell’alfabetizzazione non è più richiesto, potendo contare su cantastorie a cristalli liquidi molto più efficaci di qualsiasi vocina intenta a leggere le vecchie storie la cui “distribuzione”, un tempo, era monopolio esclusivo delle nonne e loro eminentissimo “core business”?
Sarebbe opportuno ricercare la soluzione a questo complicatissimo rompicapo nell’ambito psicologico o in quello meramente commerciale?
Noi siamo convinti che tutte e due le strade “conoscitive” siano percorribili con eguale profitto. Se da un lato non si può negare che il paradigma narrativo di questi capolavori della letteratura sia semplicemente perfetto (Propp e Campbell concorderebbero certamente con noi su questa affermazione) dall’altro non si può negare che qualcosa di conosciuto, di familiare, costituisce di per sé un richiamo unico ed irresistibile e quindi un ritorno economico garantito. Siamo padroni di quella vicenda, di quei personaggi, abbiamo festeggiato per i loro successi, temuto per la loro incolumità e vorremmo tramandare queste emozioni ai nostri figli, alle nuove generazioni.
Non è strano constatare come siano i padri e le madri a scegliere queste pellicole per i figli che magari, già giunti in età adolescenziale, preferirebbero investire otto euro di biglietto per scoprire cosa abbiano di così speciale queste cinquanta sfumature di grigio. Raccontare una favola al cinema può significare anche alleggerire i costi legati allo sviluppo della storia per poter investire risorse sempre più consistenti in spettacolarità ed effetti speciali; la spettacolarità costituzionalmente inesistente sulla carta stampata ed alla quale dovevamo cercare di sopperire con la nostra fantasia appesantita dal sonno e dal latte caldo prima della nanna.
Insomma, questo nuovo cinema fiabesco è un connubio perfetto di economia dello spettacolo e nostalgica rievocazione di piacevoli ricordi infantili, dunque, un investimento troppo allettante per potervi rinunciare, un invito troppo seducente per poter disertare le sale, con buona pace di quello sceneggiatore intento ad arrovellarsi il cervello nel tentativo di trovare storie nuove ed avvincenti e che presto, forse, si stancherà di aspettare invano.