Enel Open Fiber è un esperimento di politica industriale intentato dal Governo in collaborazione con un partner privilegiato come Enel per la stesura della fibra ottica non solo nelle aree a fallimento di mercato, ma anche nelle aree più ricche dove si verifica una concorrenza tra operatori infrastrutturati.
Molto spesso il focus è centralizzato sull’aspetto del risparmio che Enel Open Fiber potrebbe avere nella stesura della fibra ottica per via della sostituzione dei contatori, rispetto a un qualunque altro operatore – pure impegnato nello stesso business – che però è appesantito da una struttura di costi irrecuperabili legati ai lavori di scavo e senza il privilegio di poter godere di sinergie con settori economici attigui, come ad esempio quello elettrico.
In un caso e nell’altro, sia che si sostenga il progetto voluto dal Governo, sia che si voglia osteggiarlo, sono attivi fior di commentatori che hanno già spaccato il capello a una dottrina economica che in realtà è ben più semplice di quella che alcuni illustri osservatori scrivono sui giornali nelle ultime settimane.
C’è poco da fare: se Enel è chiamata a sostituire i contatori e nel mentre ha la possibilità di posare un fascio di fibra ottica, si realizza certamente un gran bel risparmio.
Detto questo, si aprono una serie di capitoli di impatto regolatorio, non solo in ambito TLC ma anche in relazione al business energetico in un settore che, come sappiamo, vede l’operatore impegnato in continue trattative con le Autorità indipendenti.
Ci sono però alcuni aspetti che sono rimasti scoperti in ogni indagine fin qui svolta, e forse non riguardano solo questioni secondarie, ma certamente sono valutazioni utili a dire se l’operatore economico è di lungo periodo o se è un semplice operatore finanziario.
Abbiamo sentito dire spesso che ci sono esclusioni normative legate alla capitalizzazione dell’ente chiamato a fare investimenti in un determinato settore. Un Governo che come il nostro è apparso troppo spesso impegnato a cercare di creare barriere all’ingresso ai piccoli operatori impegnati nella fornitura di beni e servizi al pubblico, come è stato per il caso dei limiti di capitale allo SPID, dovrebbe altrettanto essersi chiesto come creare delle barriere in uscita per dimostrare che l’attività dell’operatore economico chiamato a fare investimenti abbia un valore industriale e non meramente finanziario.
Nel caso qualche dubbio ci viene dalle recenti dichiarazioni di Francesco Starace che si è aperto candidamente alla possibilità di una futura cessione di Enel Open Fiber o quantomeno a cercare dei partner a cui cedere il controllo, ma solo dopo aver avviato il progetto così fortemente caldeggiato dal governo e sponsorizzato addirittura in occasioni pubbliche, direttamente dal premier.
Il punto è certamente quello di verificare se la volontà di investimento di Enel Open Fiber nel settore della fibra ottica è una volontà di lungo periodo o se siamo nel campo del “mordi e fuggi”. Non è niente di più di quello che abbiamo chiesto e preteso da Vincent Bollorè quando gli abbiamo consentito di assumere oltre il 24% di Telecom Italia.
Perché tutto questo? Non è un business semplice quello della fibra ottica. È pieno di sunk cost (costi nascosti), è pieno di capitali immobilizzati in infrastrutture che rappresentano anche monopoli naturali, ma sono destinati a manutenzione ed a rapida obsolescenza.
Allora viene da chiedersi se Enel abbia intenzione di restare a lungo nel mercato della fibra ottica o se questo è soltanto un esperimento da abbandonare non appena arrivano le prime criticità legate non tanto alla ricerca dei partner e dei fondi – che come abbiamo visto all’operatore non mancano – quanto piuttosto ad un mercato difficile dove la domanda stenta a decollare.
Senza dimenticare il fatto che abbiamo un ex operatore monopolista che risponde al nome di Telecom Italia che ha già fatto e sta facendo investimenti milionari in fibra ottica cablando diversi milioni di abitazioni per poter attivare solamente poche centinaia di migliaia di utenze.
Come dovrà regolarsi un operatore che non ha nessuna expertise sul mercato e che non ha nessuna possibilità di vendere al dettaglio e quindi non può beneficiare delle economie di scala che ha l’operatore storico e non può nemmeno beneficiare degli effetti rete e delle esternalità positive e negative che caratterizzano un settore quando ci vediamo di fronte a un operatore verticalmente integrato?
Come è possibile per Enel pensare di durare a lungo in questo settore se perfino illustri predecessori come Metroweb hanno fatto fatica da soli a trovare motivazioni e capitali corazzati da investire su tutto il territorio nazionale e non solamente in alcune aree che già risultano profittevoli a tutti gli altri?
E’ certamente sbagliato pensarlo ma è giusto dirlo: il pericolo più grande che l’Italia corre è quello che Enel entri nel business della fibra ottica rovinando il mercato all’ingrosso della banda ultralarga e poi ne esca placidamente, dopo pochi mesi, lasciandoci in balia di questa ulteriore anomalia di cui non abbiamo veramente bisogno.