Si è scatenato il novello “gran ballo” delle nomine dei dirigenti apicali della Rai, anche se abbiamo ragione di immaginare che quel che l’Amministratore Delegato della Rai Roberto Sergio ha annunciato nella sua prima intervista, martedì scorso, al quotidiano “Libero”, non sia stata una estemporanea e soggettiva sortita, ma una “lista” di nomi ben concordata con le segreterie di partito e comunicata al Consiglio di Amministrazione (cda nel quale gode di una maggioranza debole ed erratica, ma comunque maggioranza).
Rimandiamo all’identikit del neo Ad, che abbiamo proposto su queste colonne giustappunto martedì (vedi “Key4biz” del 16 maggio 2023, “Rai, inizia il governo Sergio: si annuncia una ‘rivoluzione felpata’?”), e non entriamo nel merito del “circo” sulle nomine che si è scatenato – su alcuni quotidiani, anche qualificate testate – nei giorni successivi, da martedì ad oggi venerdì 19 maggio.
Purtroppo, la lottizzazione partitocratica del management Rai ovvero le “poltrone ballerine” continuano ad appassionare la gran parte dei giornalisti (e dei politici), mentre quasi nessuno si interessa di strategia di medio e lungo periodo del servizio pubblico. Anche se oggi la giornalista che segue le vicende di Viale Mazzini sul “Corriere della Sera”, Antonella Baccaro, ha proposto un resoconto accurato di quel che è accaduto ieri a San Macuto, e quindi l’attenzione questa volta non è stata concentrata sui “nomi” di dirigenti “in uscita” ed “in entrata”, ovvero “in disgrazia” ed “in auge”…
Il tema del finanziamento è intimamente correlato al ruolo della tv pubblica
Ieri, c’è stata una riunione della Commissione bicamerale di Vigilanza sulla Rai ed alcune mine vaganti sono finalmente emerse in tutta la loro evidenza e pericolosità: il tema essenziale è e resta “il canone”, ovvero le modalità di finanziamento pubblico del servizio radiotelevisivo e mediale del nostro Paese.
Ovviamente il tema del finanziamento è intimamente correlato al ruolo che si intende assegnare al servizio pubblico, ma, su questo, il “dibattito” è ancora debole e fragile, sebbene questo ruolo dovrebbe essere chiarito dal “contratto di servizio”, in gestazione da mesi. Dal contratto deve emergere “cosa” fare e quanto questo “costa”, in una logica sinallagmatica di “do ut des”.
Contratto che teoricamente doveva essere approvato entro poche settimane (fine giugno?! fine luglio?!), e di cui non circola alcuna bozza (pubblicamente), anche se sappiamo che il testo c’è: perché il Ministro Adolfo Urso (titolare del Ministero per le Imprese e il Made in Italy, controparte Rai nel contratto) e la Presidente “di garanzia” (ma lo è veramente, allorquando ha votato a favore del neo Ad, astenendosi da valutazioni specifiche, per dovere – ha sostenuto pubblicamente – “istituzionale”?!) Marinella Soldi non lo rendono di pubblico dominio?!
Rendere finalmente pubblica questa bozza, aprire la fase pre-contrattuale ad un confronto con la società civile, con gli “stakeholder” del servizio pubblico (i telespettatori, ovvero i cittadini tutti): questa sì sarebbe una “rivoluzione felpata” (per parafrasare Roberto Sergio ed il suo “supporter” Gianni Letta, il Gran Felpato per antonomasia) ovvero una “rivoluzione dolce” (per parafrasare il Presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone)!
Perché Giorgetti & Urso e Soldi & Sergio non rendono di pubblico dominio la bozza del “contratto di servizio” in gestazione: questa sì sarebbe una “rivoluzione”!
Aprire alla società la gestazione del “contratto di servizio”: questa sì sarebbe una vera rivoluzione!
Questa volta, sono stati i sindacati a manifestare a muso duro una sana e saggia preoccupazione rispetto ai futuri di breve-medio periodo della Rai.
La questione è stata affrontata in modo abbastanza dialettico dai vari esponenti di maggioranza e minoranza, ma la Presidente Barbara Floridia (M5s) non ha potuto che far altro che annunciare la convocazione del Ministro dell’Economia e Finanze Giancarlo Giorgetti (è lui ad incarnare il socio di maggioranza della Rai spa) per cercare di comprendere se sia concreta e fattibile l’ipotesi di togliere il canone del servizio pubblico dalla bolletta elettrica o addirittura di azzerarlo.
“Le preoccupazioni sul canone Rai emerse dalle audizioni dei sindacati in Commissione di Vigilanza, condivise da molti commissari in maniera trasversale, sono di tale rilevanza da imporre al Governo di fare la necessaria chiarezza in maniera celere”, ha spiegato la Presidente della Commissione di Vigilanza Barbara Floridia. In effetti, i sindacati hanno depositato in Commissione un documento unitario in cui si denuncia l’assenza di certezze sul nodo del finanziamento, una questione – si legge nel documento – che “assoggetta l’azienda agli umori del politico di turno”.
I sindacati sostengono – giustamente – che “togliere la riscossione del canone dalla bolletta elettrica, senza prevedere un finanziamento equipollente in alternativa, significa privare la Rai della certezza delle entrate. Nessuna azienda è in grado di sopravvivere senza risorse e senza flussi di cassa quantificabili e, nel caso specifico di Rai, questo significherebbe assoggettare l’azienda agli umori del governo di turno, qualunque esso sia, con risultati esiziali per il suo futuro”.
Ci viene da precisare (aggiungere): “assoggetterebbe ulteriormente”, perché purtroppo la Rai è già schiava degli orientamenti dell’esecutivo, nonostante quella indipendenza ed autonomia proclamata da anni, anzi decenni.
Le tesi dei sindacati in un documento unitario: Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil, Fnc-Ugl e Snater Libersind Conf. Sal
Estrapoliamo dal documento unitario presentato dai sindacati Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil, Fnc-Ugl e Snater Libersind Conf. Sal: “questione centrale è l’autonomia finanziaria ed economica del servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale. La scelta di non raccogliere più il canone dalla bolletta elettrica, confermata dagli organi di stampa, pone grandi preoccupazioni sulla tenuta della Rai come servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale. Il canone fissato a 90 €, è già stato considerato insufficiente per tutti gli oneri previsti dal Contratto di Servizio pubblico, perdere anche la certezza di un gettito finanziario, al momento garantito dalle modalità di pagamento da parte dei cittadini nella bolletta elettrica, pone grandi perplessità sulla tenuta economica e finanziaria della Rai. Una parte del c.d. extragettito ha continuato a finanziare l’emittenza radiotelevisiva locale; l’esenzione da canone agli ultrasettantacinquenni con bassi redditi; la fiscalità generale. Inoltre, l’aver determinato che il canone non è più imposta di scopo, ma tassa che con la legge finanziaria viene ripartita su più capitoli di spesa determina una debolezza sistemica della Rai”.
E precisano i sindacati, invocando anche un intervento legislativo: “continuiamo a ritenere indispensabile che l’intero prelievo da canone sia destinato alla società a cui è attribuita la concessione di servizio pubblico, non solo perché il canone è il sostegno pubblico più basso d’Europa, ma anche perché i sistemi di finanziamento dell’editoria piuttosto che dell’emittenza locale, per loro natura, debbono far parte di specifici capitoli di spesa pubblica. Il Codice Appalti, pur nei suoi apprezzabili obiettivi sta però ingessando la Rai, che, non avendo una deroga vera ed efficace sugli acquisti dei mezzi di produzione, si sta avvitando in una tempistica di acquisti farraginosa e molto aleatoria di beni e servizi irrinunciabili per la produzione radio televisiva. È necessario un intervento legislativo che liberi la Rai dal fardello burocratico, che appesantisce e allunga ogni ragionevole tempo per la realizzazione dei programmi radio televisivi”.
Ha sostenuto, in particolare, Riccardo Saccone (Slc-Cgil): “come si fa a fare un piano industriale senza certezza del proprio budget?!”. Come dargli torto? La sua contestazione / constatazione è oggettiva.
Le tesi dei sindacati sono da condividere, anche perché contestualizzano la questione “canone” in un ragionamento più esteso sull’intervento pubblico a favore del sistema mediale e culturale… Anche se purtroppo in Italia nessuno affronta il tema della “ecologia mediale” (i rapporti tra media, un loro possibile equilibrio anche rispetto al bacino delle risorse complessive…).
Che senso ha, per esempio, che il flusso del canone Rai vada ad alimentare altre forme di intervento pubblico che non riguardano la Rai stessa?!
Si ricordi che la Lega ha fatto del “basta canone” un suo spot da molto tempo, ed il leader Matteo Salvini non perde occasione per cavalcare l’argomento. La Lega sostiene che il canone sia “la tassa più odiata dagli italiani”.
In Senato, il Carroccio, ha anche presentato una proposta di legge – prima firmataria Mara Bizzotto (LSP-PSd’Az), con 14 cofirmatari (tra i quali Massiliano Romeo e Giorgio Maria Bergesio) – che prevede l’eliminazione del canone dalla bolletta entro 5 anni e nel frattempo la tassa da versare dovrebbe diminuire ogni anno del 20 per cento. Si tratta del Disegno di Legge S. 611, intitolato “Modifiche al testo unico dei servizi di media audiovisivi, di cui al decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 208, in materia di servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, riduzione e abolizione del canone di abbonamento e disciplina della società concessionaria del servizio pubblico”, ddl sul quale torneremo presto (clicca qui, per la scheda elaborata dagli uffici di Palazzo Madama il 14 maggio). Ddl presentato il 23 marzo 2023 e – si noti bene – assegnato ieri 18 maggio 2023… Assegnato alla 8ª Commissione permanente (Ambiente, transizione ecologica, energia, lavori pubblici, comunicazioni, innovazione tecnologica) in sede redigente…
Matteo Salvini è arrivato a sostenere provocatoriamente che il servizio pubblico potrebbe autofinanziarsi con la pubblicità, ma questa tesi è priva di fondamento logico e mediologico, e peraltro abbiamo certezza che né il Gruppo Mediaset né Cairo Communication né altri ancora sarebbero proprio d’accordo su una ipotesi di questo tipo, che andrebbe a modificare radicalmente gli assetti attuali del mercato pubblicitario, peraltro sempre più squilibrato a favore dei potenti del web…
La questione peraltro si inserisce nella dialettica – talvolta aspra – “infra Lega”, ovvero nello scontro che emerge talvolta tra Matteo Salvini ed il suo collega di partito Giancarlo Giorgetti.
E per amor di verità, va anche ricordato che lo stesso Movimento 5 Stelle (il partito in cui milita Barbara Floridia) tre anni fa ha proposto anch’esso l’abolizione del canone, nelle intenzioni della ex deputata Maria Laura Paxia, che ebbe a definire il canone nientemeno che “un’odiosa tassa, tanto anacronistica quanto iniqua e socialmente ingiusta” (testuale) utile per “drogare il bilancio della tv di Stato e alimentare gli sprechi a favore delle produzioni esterne”. Sulle sue ardite tesi, scrivemmo assai criticamente su queste colonne: vedi – tra gli altri – “Key4biz” del 15 novembre 2019, “Abolizione canone Rai: pubblicata la proposta di legge di Maria Laura Paxia (M5S)”. Paxia ha lasciato il M5s nel febbraio del 2021, non votando la fiducia al Governo Draghi, per poi scomparire dai radar…
Maurizio Gasparri (Forza Italia) sintonico con i sindacati: “senza il canone in bolletta, per la Rai c’è un pericolo mortale”
Questa tesi di Matteo Salvini non è però condivisa dai colleghi della maggioranza: Fratelli d’Italia pubblicamente in materia non si è pronunciata (o, se lo ha fatto, è sfuggito a chi scrive), ed anche Forza Italia non sembra essere esattamente d’accordo, avendo sostenuto il senatore Maurizio Gasparri che “senza il canone in bolletta, per la Rai c’è un pericolo mortale”.
Il neo Direttore Generale Giampaolo Rossi (in quota Fratelli d’Italia) ha sostenuto in passato che il canone potrebbe essere sostituito con un flusso derivante dalla fiscalità generale: ora che guida, assieme a Roberto Sergio, il “new deal” della Rai cambierà opinione?!
Oggi, una delle firme più prestigiose de “il Giornale”, Paolo Bracalini, sostiene che sembrerebbe che il Ministro Giancarlo Giorgetti non abbia ancora affrontato di petto il dossier, ma il canone Rai dovrà comunque uscire dalla bolletta elettrica, come richiesto effettivamente dalla Commissione Europea.
Tra le ipotesi, “agganciare” il pagamento del canone alla proprietà di un immobile, come avviene in Germania… Oppure “agganciare” il pagamento alla dichiarazione dei redditi… E, in questa seconda ipotesi, lo si potrebbe anche modulare come entità in funzione del reddito del singolo cittadino…
Riteniamo importante però segnalare due questioni: (1.) “sganciare” il canone dalla bolletta elettrica e trovare soluzioni alternative di riscossione è possibile, ma (2.) non si deve intaccare il principio dell’esigenza di stabilità di medio periodo (almeno 5 anni) nei flussi di finanziamento del servizio pubblico.
Si deve assolutamente evitare – esemplificativamente – che il futuro economico-finanziario della Rai dipenda, di anno in anno, dalla Legge di Stabilità: questo sì significherebbe condannarla ad una sudditanza definitiva nei confronti della politica.
E ci permettiamo di suggerire alla Presidente della Vigilanza di convocare anche il “socio di minoranza” della Rai, quella Società Italiana degli Autori e Editori, che, se è pur vero che detiene soltanto lo 0,44 % delle quote azionarie di Rai spa, rappresenta gran parte dell’anima creativa del sistema culturale italiano, forte di oltre 100mila associati… E ricordiamo che il Presidente della Siae, Salvatore Nastasi, ha dichiarato pubblicamente che Siae ha votato a favore della cooptazione di Roberto Sergio nella veste di Amministratore Delegato della Rai.
Lo scenario appare incerto.
Ma che “idea di Rai futura” ha il Presidente del Consiglio?
Sarebbe bello se la Premier si pronunciasse in argomento: quale Rai vorrebbe, Giorgia Meloni?!
Riproduciamo, in conclusione di questo nostro intervento, “le domande” che abbiamo posto su queste stesse colonne martedì scorso: in quel caso, le abbiamo indirizzate al neo Ad della Rai Roberto Sergio, ma gli stessi quesiti vanno veramente posti alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ed ai suoi due alleati Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.
Anche a quello stesso leader della Lega che propugna l’abolizione del canone: al di là della eventuale abolizione della “tassa più odiata dagli italiani”, che “idea di Rai futura” ha Matteo Salvini?
Quale ruolo del servizio pubblico in un sistema dei media sempre più dominato dalle piattaforme?!
Quali garanzie per l’estensione dello spettro del pluralismo?!
Quale funzione di coesione sociale?
Qualcuno, in Vigilanza o più in generale in Parlamento, risponderà (magari in modo non generico)?!
Intanto si attende la riunione del Consiglio di Amministrazione Rai di giovedì 25 maggio, con il suo “pacchetto di nomine” (sic).
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.