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elex. La Commissione europea sul diritto d’autore: cambia tutto o non cambia nulla?

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La Commissione europea ha pubblicato il Work Programme 2015, tra i cui obiettivi, per il Mercato interno, spicca quello di assicurare ai consumatori un accesso transfrontaliero ai servizi digitali, creando condizioni di parità per le imprese e presupposti per incentivare l’economia digitale. Tra le varie proposte legislative, il Work Programme menziona espressamente la modernizzazione del copyright.

#elex è una rubrica a cura dello Studio Legale E-Lex – Belisario, Scorza, Riccio & Partners, si occupa di leggi, norme e aspetti legali che riguardano il mondo del digitale con particolare attenzione al tema della privacy e dei diritti degli utenti.
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Una modernizzazione di cui si è discusso molto, recentemente, anche a seguito della chiusura della consultazione pubblica sulla revisione delle regole del diritto d’autore, lanciata a dicembre 2013 e chiusa lo scorso marzo. La consultazione ha prodotto un’alluvione di risposte – oltre diecimila, sebbene molte di quelle presentate dagli stakeholder siano in “fotocopia” – che porteranno alla pubblicazione di un White Paper che dovrebbe indirizzare i prossimi passi della Commissione.

Lo stesso giorno del lancio della Commissione, la giovane deputata europea del Partito Pirata, Julia Reda, ha annunciato che sarà rapporteur sullo stato di implementazione della direttiva InfoSoc del 2001, che costituisce, all’interno della legislazione comunitaria, la pietra miliare sul diritto d’autore. Insieme alla Reda, lavoreranno altre eurodeputate, tra cui Laura Ferrara, del Movimento Cinque Stelle.

È un’occasione importante ed è interessante che un ruolo centrale sia stato assegnato a una parlamentare che, in passato, si è mostrata sensibile verso istanze di apertura e di rinnovamento dell’attuale assetto regolamentare. Una persona non riconducibile ai “poteri forti” e che, al contrario, ha combattuto in passato battaglie contro i giganti e gli oligopoli della proprietà intellettuale.

La sfida a cui è chiamata la Commissione è di estrema importanza nell’economia europea. Il quadro tecnologico, dalla direttiva del 2001, è cambiato sensibilmente: l’avvento di piattaforme come YouTube e Daily Motion e di servizi come Deezer e Spotify; l’esplosione dei social network e gli strumenti di embedding; la digitalizzazione delle opere; il progressivo passaggio degli utenti da meri fruitori a generatori di contenuti. L’elenco potrebbe continuare a lungo e, forse, non essere esaustivo.

Una riforma organica del copyright dovrà provare a sciogliere questi nodi, con scelte coraggiose, capaci di schivare le pressioni lobbistiche che potrebbero arginare questo processo.

La polarizzazione delle istanze dei titolari dei diritti, spesso più attenti a mantenere posizioni radicate, sebbene talora anacronistiche, e degli OTT di internet, non sempre disposti a riconoscere royalties sufficienti agli autori, potrebbe costituire il maggior ostacolo ad una pacata e obiettiva discussione.

In altri termini, la montagna potrebbe partorire un topolino: è quanto avvenuto, del resto, con il Green Paper “Copyright in the Knowledge Society” dove, a fronte di una partecipazione massiccia degli stakeholder, le modifiche accolte furono minime. Difficile immaginare quale sarà il destino della nuova consultazione, ma pare improbabile che gli organi comunitari siano effettivamente in grado di esaminare la valanga di position paper consegnati.

I punti sui quali incidere sono però tanti. Innanzi tutto, l’armonizzazione delle differenze legislative nazionali che, spesso, costituiscono un ostacolo alla fruizione transfrontaliera delle opere. Ancor prima, forse, un quadro giuridico dai contorni spesso opachi, di difficile comprensione per gli stessi operatori del settore. E ancora: chiarire e ampliare il novero delle utilizzazioni libere per finalità non commerciali, fissando esplicitamente i limiti di critica, parodia (su cui si è espressa anche la Corte di Giustizia) e attività di ricerca.

Identico discorso potrebbe essere fatto per il linking – soprattutto nel caso degli aggregatori di link postati da soggetti terzi, spesso ingiustamente accusati di favorire attività di pirateria – e per l’embedding, su cui pure si sono pronunciati di recente i giudici comunitari.

La durata del diritto d’autore – che ha raggiunto livelli ipertrofici, che danneggiano la creatività anziché favorirla – è un altro aspetto da ripensare, riducendone l’attuale misura e adeguandola alla vita commerciale delle opere. Non è immaginabile che un diritto permanga per settant’anni dalla morte dell’autore, dove la maggior parte delle opere sono fuori catalogo in un quinquennio.

È fondamentale, poi, che si incida sui meccanismi di distribuzione delle opere – sebbene la questione investa anche altri ambiti, come quelli antitrust – in modo da incentivare realmente, e non solo nelle declamazioni legislative, la diversità culturale.

L’augurio è che la Reda e i suoi shadow rapporteurs siano forti e indipendenti abbastanza da non soggiacere alle spinte contrapposte dalle quali saranno investiti. Purtroppo, gli esempi delle direttive sulle opere orfane e sulle società di gestione collettiva – solo per citare gli ultimi esempi – inducono a non indulgere a facili ottimismi.

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