Riceviamo e pubblichiamo questo pezzo da parte del collega giornalista Stefano Tesi e invitiamo chiunque fosse interessato a scrivere sulla materia a partecipare al dibattito pubblicamente sulle nostre pagine inviandoci sue riflessioni sul tema.
Dal canto nostro vorremmo precisare di essere stati chiamati a partecipare al processo di realizzazione della legge per l’assegnazione di fondi pubblici a sostegno dell’editoria, proposta di legge che molto presto comincerà il suo percorso parlamentare per essere approvata. Nel testo della legge è contenuta anche una, davvero molto poco edificante e decisamente riduttiva “riforma” dell’Ordine dei giornalisti dalla quale noi di Lsdi ci siamo pubblicamente dissociati in sede di audizione presso la Commissione Cultura della Camera.
E per maggiore chiarezza riportiamo un breve stralcio delle nostre considerazioni in tal senso inserite nella relazione che abbiamo presentato presso la Commissione: “Il ruolo di garanzia delle istituzioni giornalistiche, in particolare dell’Ordine dei giornalisti deve essere centrale. Serve naturalmente una profonda riforma dell’Odg. Crediamo sia necessario un passaggio di concertazione con Ordine e Fnsi e magari Inpgi e Casagit per definire criteri oggettivamente efficienti su tale materia soprattutto pensando alla odierna composizione del mondo dell’informazione: online, digitale, imprenditoria giornalistica, lavoratori autonomi, freelance, parasubordinati”. Buona lettura.
di Stefano Tesi
Caro collega (mi dispiace doverti chiamare così),
che non hai mai scritto una riga o che l’hai scritta per l’ultima volta millant’anni fa, sfuggendo non si sa come alle revisioni dell’albo (se le hanno fatte) e approfittandone per ritagliarti un posticino di potere, tu che ti pavoneggi durante le sagre di paese per il “tesserino” (orribile espressione!) che porti in tasca.
Proprio a te che oggi, nella prospettiva di una riforma indispensabile, destinata a ammodernare finalmente la nostra categoria dopo 50 anni di inerzia, con una mano pontifichi su una professione che non pratichi né conosci e ti arrabatti con l’altra, però, per fare in modo che tutto resti com’è solo per continuare a pavoneggiarti, voglio dire pubblicamente una cosa: vai a quel paese.
Nulla di personale: anzi mi fai tenerezza, al massimo un po’ rabbia ogni tanto. E capisco, davvero, capisco anche il tuo smarrimento nella prospettiva di perdere ciò che ti sembra (a me, no) un privilegio: poterti proclamare “giornalista“.
Ce l’ho invece con quello che rappresenti: una subcategoria pletorica e anacronistica che, così com’è, con la sua parte malata strangola quella sana, solo grazie all’esistenza della quale hai tuttavia finora potuto fingere di esercitare un mestiere che non eserciti, quello appunto del giornalista.
Siccome nella vita fai tutto tranne che scrivere articoli, ma certamente stupido non sei, avrai anche notato che (poiché stupido non sono neppure io) ho finora accuratamente evitato di usare l’espressione per la quale aspettavi di prendermi in castagna, strepitando poi ad arte contro una presunta discriminazione, per non dire un attentato, ai danni dei “pubblicisti”.
Eh sì, perché la riforma che si prospetta entro fine anno non è affatto, come ti fa comodo sostenere, un agguato ai “75mila pubblicisti italiani” bensì proprio il contrario: è qualcosa che va a favore dei pubblicisti veri e in generale di chi giornalista non solo lo è (cosa a mio parere sempre imprescindibile), ma lo fa. Tutti giornalisti alla pari, a prescindere dal come. Stessi diritti, stessi doveri, stesso esame e stessa qualifica per tutti. Purché corrisponda ad un lavoro effettivo ancorché discontinuo e a una professionalità davvero comprovata.
Ma tu sai meglio di me che neppure questo è il reale punto della questione.
Il punto è un altro, assai meno nobile.
Ho letto, sospeso tra le lacrime e le risa, il proclama che molti dei tuoi capi, tra i quali alcuni signori delle tessere che vicepresiedono ben diciassette ordini regionali e sminestrano in Consiglio Nazionale hanno pubblicato (qui), sentendosi minacciati negli interessi di poltrona propri e dei propri controllati, sul sito dell’Ordine. Dove presentano la ventilata riforma – tenetevi forte – come una presunta guerra dell’”élite dei garantiti” contro i pubblicisti.
“Elite dei garantiti“?
Fumo negli occhi, nient’altro che fumo negli occhi ad uso dei molti babbei che, per stupidità o cointeresse, abboccheranno alla panzana.
La verità, caro pseudocollega, la conosci benissimo.
E te lo dice un professionista che “garantito” non lo è né lo è mai stato, visto che ho sempre fatto (anche da pubblicista) il freelance puro.
Sai che vuol dire?
Vuol dire nessuna garanzia e famiglia da campare con i proventi della mia professione, l’unica che posso svolgere: il giornalista. Ecco, da “professionista per niente garantito”, quale sono e rimarrò, lasciami dire a te e a quelli come te, che pretenderebbero di restare giornalisti a vita non solo occupandosi di tutto tranne che d’informazione, ma pure rivestendo ruoli direttivi nell’Ordine e decidendo quindi, sebbene facciano un mestiere diverso, del destino di chi di giornalismo ci campa, anche un’altra cosa: il tuo tempo è finito.
E’ finito con una certa tolleranza pelosa verso i falsi invalidi, i falsi ciechi, i baby pensionati, i malati immaginari, i timbratori di cartellino in mutande, i morti di sonno mantenuti a non far nulla da un socialismo reale mascherato da stato sociale. Siamo arrivati al 50% di giornalisti più o meno finti in un Ordine-monstre di 120mila iscritti: dal cambio del sistema e dalla stretta delle maglie dipende la sopravvivenza sia della nostra categoria che della credibilità del sistema dell’informazione.
I giornalisti veri, pubblicisti e professionisti, hanno compreso perfettamente tutto questo (anche tu, da bravo politico, l’hai ovviamente intuito) e ti stanno voltando le spalle, stanchi del finto dualismo che stai cercando di gabellare. Il loro bisogno di rappresentanza nell’OdG non è soddisfatto certo dalla tua presenza in un Cnog fatto di 144 (uno-quattro-quattro membri) e di cencelliani equilibri numerico/correntizi, con relativo commercio di voti e distintivi, ma da quella di più pochi e preparati colleghi, conterranei o meno che siano, con cui condividere lavoro e interessi, non una qualifica pro forma in funzione del poltronificio rimborsato.
Sì, lo so che te la prenderai e ti offenderai per quello che scrivo.
Ma mettiti nei panni delle migliaia di giornalisti governati, si fa per dire, da un parlamento professionale oceanico in cui avvocati, notai, idraulici, carrozzieri e architetti, eletti anche grazie ai voti tuoi e di quelli come te, prendono scelte sulla nostra testa in un momento storico in cui il giornalismo italiano sta per scivolare nel dilettantismo, proprio a causa di quei “colleghi” a vita che, di mestiere, fanno appunto i consiglieri dell’Ordine (oltre agli avvocati, notai, idraulici, carrozzieri e architetti).
La festa era finita da un pezzo, ma la stai facendo trascolorare in farsa. Tutti a casa.
Cura dimagrante drastica.
Lasciamo pure l’elenco pubblicisti aperto a esaurimento, per non sembrare di volersi accanire contro nessuno, come in effetti nessuno si vuole accanire. Ma per favore, ridiamo dignità alla nostra professione. Basta pletore e giornalisti per finta. E speriamo che una riforma arrivata con mezzo secolo di ritardo basti a salvarci.