Raffaele Lorusso è stato eletto alla prima votazione nuovo segretario della Federazione Nazionale della Stampa alla fine del Congresso di Chianciano. Lorusso ha avuto 213 preferenze e ha preceduto Carlo Parisi con 70 preferenze. Il nuovo Consiglio Nazionale dell’FNSI ha poi eletto Santo Della Volpe, nuovo presidente della Federazione della Stampa.
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Raffale Lorusso è nato a Conversano, in provincia di Bari, il 5 dicembre 1967. Lorusso è giornalista professionista dal 27 gennaio 1999 e dal 2000 redattore di Repubblica nella redazione di Bari. E’ il presidente dell’Associazione della Stampa della Puglia per il quadriennio 2012-2016. Santo Della Volpe è un giornalista RAI del Tg3, socio fondatore di Articolo 21 e direttore di Libera Informazione.
Proponiamo di seguito l’intervento di Raffale Lorusso del 29 gennaio al Congresso di Chianciano.
Questo Congresso si celebra in una fase difficile per il mercato del lavoro, la drammaticità della crisi è nei numeri elencati nella relazione di Franco Siddi al quale io credo debba andare il ringraziamento di tutti per la passione, la tenacia e la dedizione con cui ha guidato per sette anni il nostro sindacato.
Non è qui il caso di stare a ragionare sul passato remoto e recente e neppure di metterci a fare operazioni di nostalgia. Ne ho sentito tanti di echi e sarebbero fuori dal tempo. Noi siamo una categoria che come il resto del Paese ha vissuto delle stagioni, stagioni felicissime, che però sono oramai irripetibili e sicuramente non torneranno più. Noi dobbiamo essere attori di futuro ed essere attori di futuro significa lavorare intorno a una visione strategica in cui la priorità non è soltanto quella di salvaguardare l’occupazione, ma anche e soprattutto quella di costruire percorsi di inclusione che assicurino diritti, tutele, garanzie, forme di rappresentanza a chi, pur essendo a pieno titolo nella professione, diritti tutele e garanzie non ne ha affatto. Questo è un passaggio obbligato e anche controcorrente, soprattutto se pensiamo che viviamo in un’epoca in cui si gioca e si discute di come smantellare lo stato sociale e di buttare giù i pilastri della contrattazione collettiva.
Il Contratto innanzitutto: voglio sgombrare il campo da possibili equivoci. Io il Contratto l’ho firmato perché ero convinto che andasse firmato, ero convinto e sono convinto che compito del Sindacato sia quello di fare contratti. Abbiamo sottoscritto il Contratto che, a mio avviso, si poteva sottoscrivere nel momento storico in cui eravamo a giugno scorso. Dopodiché le ragioni per cui quel Contratto andava sottoscritto io le ho sentite qui ripetute, questa mattina, dal Segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. E allora mi dovete consentire colleghi: io questa mattina quando quelle ragioni – di cui abbiamo parlato qui in Federazione per mesi – le ho sentite ripetere dalla Camusso, ho visto alzarsi in piedi in una standing ovation colleghi che per mesi hanno detto che il Contratto non andava firmato a nessun costo.
Ora: o eravamo su “Scherzi a parte”, oppure hanno cambiato idea e se hanno cambiato idea sono i benvenuti. La discussione sul Contratto però adesso si deve spostare sul Contratto che verrà, non su quello rinnovato a giugno scorso. Ed è una discussione ineludibile, non soltanto perché gli editori – come ha annunciato il Presidente della FIEG – ci manderanno a chiamare e ci diranno quasi sicuramente che se non si ragiona diversamente a dicembre arriverà la disdetta di questo Contratto. Noi dobbiamo ragionare in uno scenario completamente diverso, in uno scenario in cui la profondità del solco tra i garantiti – che per la verità lo sono molto meno – e i non garantiti si è accentuata ancora di più perché nel frattempo è stata approvata una nuova legge, il cosiddetto Jobs Act che ha accentuato anche l’apartheid lavorativo. Di questo dobbiamo ragionare!
Così come dobbiamo ragionare del fatto che le diseguaglianze sono la cifra dell’epoca che viviamo, e quindi il nostro compito è rendere un po’ più uguali tutti quelli che sono gli attori del sistema dell’informazione, sfidando e non rincorrendo gli editori, sul terreno della proposta, del modello contrattuale, delle retribuzioni e dei diritti. Partiamo da quello che c’è, partiamo dal Contratto che abbiamo e di cui abbiamo con forza preservato l’esistenza. La rivoluzione tecnologica ha trasformato la nostra professione e quindi guardiamo a un modello contrattuale che deve salvaguardare tutte le forme di lavoro giornalistico: lavoro autonomo e lavoro dipendente.
Ci siamo trovati a fare i conti con una legge, quella sull’Equo Compenso, scritta malissimo, declinata e applicata ancora peggio. Noi oggi ci troviamo di fronte ad editori che in fase di applicazione della legge e dell’accordo, si sono inventati dei meccanismi di moltiplicazione al ribasso. Per cui più scrivi e meno ti pago. Con questi editori vanno subito aperti dei tavoli, anche per singola azienda, e ove non fosse possibile parlare con le singole aziende, bisogna richiamare la Fieg alle proprie responsabilità perché pacta sunt servanda.
C’è una generazione di colleghi che è diventata adulta restando precaria, è a loro che dobbiamo guardare, è al loro servizio che ci dobbiamo mettere. Quindi essere al loro servizio e non servirci di loro, scusate il gioco di parole.
C’è una fascia di quarantenni e cinquantenni che sono stati esclusi dalle redazioni; questi colleghi vanno accompagnati con percorsi di formazione permanente di reinserimento lavorativo. Voglio essere ancora più chiaro: qui serve un patto per il lavoro, dobbiamo partire da basi completamente diverse da quelle del passato, dobbiamo prendere atto che la nostra categoria deve fare i conti con la contrazione delle risorse e degli investimenti, ma serve un nuovo patto con il lavoro.
Gli incentivi dell’ultimo rinnovo contrattuale sono un primo passo, qualche segnale positivo comincia ad arrivare, sicuramente il saldo è ancora negativo, non è che ci facciamo illusioni, però è quella la strada. Non dobbiamo rassegnarci all’idea che in questo Paese il lavoro sia un colpo di fortuna, oppure che chi lavora sia un privilegiato.
Non possiamo rassegnarci a questo!
Noi abbiamo bisogno di lavoro regolare, con garanzie previdenziali, assicurative e assistenziali.
Di questo bisogna parlare con gli editori.
Per far questo naturalmente bisogna incidere profondamente – e anche trasformarla -, sulla struttura organizzativa della Fnsi. Dobbiamo partire da un raccordo più stretto tra tutti gli Enti della categoria (mi riferisco soprattutto a Inpgi, Casagit, Fondo complementare), costituire una cabina di regia nella quale, ferme restando le competenze di ciascuno, si faccia sistema con uno sguardo prospettico d’insieme e si ragioni di servizio alla categoria. Intraprendendo nuovi percorsi, come quello della formazione, sfruttando anche la programmazione europea. Sarà poi necessario salvaguardare le azioni positive realizzate sui territori. Guardate che i territori sono la spina dorsale di questa Federazione.
Le Associazioni regionali di Stampa sono il centro di questa Federazione, quindi dobbiamo ripartire da loro e quando parlo di Associazioni parlo di 20 Associazioni e non di 19. Quindi Napoli deve rientrare in Federazione al più presto e deve farlo dalla porta principale! Il gruppo dirigente dovrà essere rinnovato, lo stiamo rinnovando, dovremo guardare a tutte le forme di giornalismo, interpretare e raccogliere le istanze di rinnovamento e darci anche una mission. Daniela Scano ieri auspicava che il nuovo vertice della Federazione fosse, richiamando il Vangelo, semplice come colombe e avveduto come serpenti. Io direi: questo sicuramente, ma richiamerei anche l’umiltà e l’operosità di quel popolo di formiche di Tommaso Fiore, al quale appartengo anch’io e non soltanto per provenienza geografica.
Contratti, gestione delle vertenze degli stati di crisi, ma soprattutto – ripeto – necessità di ragionare in termini di sistema. Quindi previsione delle leggi di sistema, a cominciare dalla legge 416/81; a meno che non vogliamo dare per scontato che si debba andare per estinzione della categoria a 58 anni e quindi di conseguenza per estinzione dell’Inpgi, quella legge va rivista. Abbiamo l’80 per cento degli under trentacinquenni che sono fuori dal mercato, quindi se qualcuno mi spiega come si regge il sistema in queste condizioni mi fa cosa gradita.
Dobbiamo ragionare di RAI – vado per titoli -, di riassetto del sistema radiotelevisivo, di provvidenze per l’editoria in generale, dalle cooperative all’emittenza radiotelevisiva locale. Di riforma degli ammortizzatori sociali, tutela del diritto d’autore – basta ai saccheggi quotidiani che vengono compiuti dai motori di ricerca -, abbiamo bisogno di una tassazione dei motori di ricerca come avvenuto in altri Paesi.
Dobbiamo riprendere le battaglie, l’ha ricordato anche Franco, contro i bavagli e le censure. La proposta di legge che si propone di cancellare il reato di diffamazione a mezzo stampa è soltanto uno specchietto per le allodole. Perché se poi l’andate a leggere, dietro quella facciata della cancellazione, c’è tutta una serie di lacci e lacciuoli con i quali si vuole soltanto imbavagliare ancora di più e impedire l’esercizio del diritto di cronaca. Non mi dilungo, dico soltanto: si legga, chi non l’avesse ancora fatto, il Rapporto Onu sulla libertà di stampa in Italia del 29 aprile 2014. Sono evidenziate tutte le criticità del nostro Paese, dai conflitti di interessi alla diffamazione, alle querele temerarie, ci sono tutti. Questi temi, guarda caso, non vengono affrontati nella legge, quindi dobbiamo far capire al Parlamento, al legislatore, che così non va e dobbiamo farlo capire soprattutto a quelli che all’indomani della strage terroristica di Parigi, si sono precipitati insieme a noi in piazza Farnese a gridare “Je suis Charlie”. Allora: se siamo tutti quanti Charlie cominciamo ad affrontare questi problemi, altrimenti non dobbiamo aver paura di tornare in piazza contro i bavagli e contro i divieti così come abbiamo fatto il 3 ottobre del 2009 contro la proposta di legge che puntava a limitare la pubblicazione delle intercettazioni.
Riforma della RAI: ça va sans dire, la battaglia intrapresa dall’Usigrai è una battaglia di tutto il Sindacato, dobbiamo ridiscutere della nomina e della governance dell’azienda che è ancora ancorata a criteri da guerra fredda, diciamo così.
L’emittenza locale: la grande illusione sta finendo. Chi si era illuso di poter far l’imprenditore in questo settore con i soldi dello Stato si sta rendendo conto che avevano creato delle imprese che esistevano soltanto sulla carta.
Gli uffici stampa: abbrevio tutto, mi rifaccio all’ordine del giorno che è stato presentato da una serie di colleghi degli uffici stampa nel quale mi ritrovo totalmente, pubblici e privati. Quindi confronto con l’ARAN, con l’UPI, con l’ANCI e con Confindustria.
Il precariato: il precariato, l’ho detto prima, offende la dignità della persona e la relega ai margini della società. Per questi colleghi va creata una serie di servizi all’interno del sindacato, vanno assicurate consulenze gratuite. Il lavoro autonomo deve essere non solo tutelato ma deve essere anche rappresentato all’interno degli organismi della Federazione della stampa; però, guardate questo non può procedere separatamente da uno sguardo alla realtà del mercato del lavoro. Noi abbiamo bisogno di un’organizzazione professionale che sia il più possibile aderente alla realtà del mercato del lavoro. Chi ci viene da una parte a dire che è uno scandalo che ci siano colleghi che vengono pagati cinque euro – ed è uno scandalo – e dall’altro non si pone il problema di porre un freno ad elenchi che continuano a crescere a dismisura, ci viene qui a vendere fumo!
Vorrei continuare ancora a lungo, ma finisco, ho finito.
La sfida è soprattutto culturale: non si tratta di distruggere quello che c’è ma di camminare con un passo diverso. Questo Sindacato ha una storia di unità, di passioni e di battaglie per la libertà e per i diritti.
Questa storia deve continuare.
Franco Antonicelli, un antifascista piemontese, scrisse che ci vuole molto, molto amore per distruggere a fondo e tenace orgoglio per rinnovarsi davvero.
Ecco io penso che soltanto con l’orgoglio del proprio passato il giornalismo italiano potrà essere davvero attore di futuro. Tutti noi con il nostro orgoglio che ci ha portato fin qui potremo essere attori di futuro. Grazie.