Approfittando della ricerca realizzata dal gruppo “giornalismi” dell’Ordine dei giornalisti guidato da Pino Rea, sul giornalismo iperlocale, che vi abbiamo provato a raccontare già la scorsa settimana, torniamo a rilanciare usando le parole estratte dalle interviste rilasciate ai redattori della ricerca dai giornalisti/imprenditori intervistati, alcuni dei concetti chiave, a nostro avviso, per provare a comprendere il cambiamento in atto nel mondo del giornalismo.
La rivoluzione digitale, come abbiamo avuto modo di sostenere più volte anche da queste pagine, è soprattutto un profondo passaggio culturale. Una way of life intrapresa e oramai battuta e praticata da tutti da più di vent’anni e dalla quale non si torna indietro.
Poche cose si sono fatte nel comparto giornalistico editoriale in Italia per adeguarsi concretamente al cambiamento, molte parole sono state spese, ma pochi atti concreti di studio e sperimentazione sono in corso. Molti degli spunti più interessanti per riallineare giornalismo e sua funzione sociale nel bel mezzo di questa rivoluzione in corso, arrivano – vivaddio – dal comparto iperlocale, da una nutrita compagine di giornalisti senza più lavoro che hanno dovuto far buon viso a cattivo gioco e si sono inventati o meglio, reinventati, una professione da zero. Altri spunti giungono da ibridi senza alcuna giustificazione effettiva, sia deontologica sia giuridica, del mondo della professione editorial/giornalistica che sono i giornalisti imprenditori: vera nuova “razza” professionale, i quali, in assoluta solitudine, sperimentano percorsi lavorativi che farebbero inorridire il dottor frankestein ma che alle nostre latitudini nessuno conosce e nessuno studia. Tutti lasciano fare, voltandosi dall’altra parte. Uno sport molto in voga nel Belpaese, da sempre. Salvo poi scoprire, improvvisamente, genialità, premi Nobel o fughe di cervelli all’estero, quando queste sperimentazioni sfociano in successi a parecchi zeri o ad altro grado di riproducibilità.
La ricerca realizzata dal gruppo “giornalismi” dell’Odg prova a portare in luce questo comparto ingnorato dai più; non compreso nelle svariate proposte di legge per il riassetto della professione; e totalmente escluso anche dalla quasi del tutto pronta e in breve approvata nuova legge sul finanziamento pubblico per l’editoria, Una legge che si risolverà, speriamo di sbagliarci, nella solita distribuzione a pioggia di soldi a tutela di quella o dell’altra lobby di micro o macro potere, a tutela di uno stutus quo che non ha niente a che vedere con il giornalismo. Tantomento con la ” libertà di espressione “.
Se vi va di svagarvi e provare a comprendere lo stato attuale della professione che non solo non tutela più nessuno – ve li ricordate i cani da guardia – tantomeno l’articolo 21 della Costituzione, che invece, per grande merito dei nostri Padri Fondatori tutela tutti anche la professione medesima… Proseguite nella lettura e poi andatevi a fare un giro sulle home page dei colleghi che citiamo, potreste scoprire cose interessanti.
Ogni minuto le persone ti dicono cosa stanno leggendo e cosa gradiscono. Da loro stessi capisci subito cosa può piacere e come devi fare il giornale (Rocco Di Blasi)
Monica Di Carlo – Genova Quotidiana
domanda: Come intendete passare alla seconda fase e diventare testata, e quindi impresa? Con i tempi che corrono non sarà facile far uscire da un sito tre stipendi?
“E’ questo il punto purtroppo. Avendo la fortuna di lavorare negli ambienti economici, conosciamo persone che sanno costruire le imprese, e alcune di queste ci stanno consigliando alcune strade possibili, che poi noi verificheremo col sindacato ovviamente, perché vogliamo essere a posto sotto tutti i punti di vista. Per ora l’ipotesi più quotata è la creazione di una “rete di imprese”. Che poi saremmo noi tre, essendo tutti partite iva. Poi dovremo servirci di un agente pubblicitario, che procuri le inserzioni da mettere in un contenitore che sarà il sito, ovvero la testata. La quale sarà composta da pagine, ognuna delle quali sarà “a cura di…” uno di noi. Questo, ovviamente, escludendo ritorni marchettari e contaminazioni di ogni tipo. Dovremo fare contratti blindati… Comunque al momento è la strada su cui ci stiamo concentrando. Una volta verificata, ci butteremo. E se funzionerà ci saremo costruiti un posto di lavoro da soli. Questo, ovviamente non esclude che ognuno possa avere poi eventuali altre sue collaborazioni”.
Salvo Toscano capo servizio LiveSicilia
domanda: Quando e come è cominciata la storia di LiveSicilia?
Il 3 marzo 2009. LiveSicilia nasce come costola di un altro portale, Ilovesicilia.info. Alcuni giornalisti, che venivano per il 70 per cento dalla carta stampata, decidono di fare una scommessa con l’informazione on line. Improvvisamente scoprono di avere mille visite in un giorno. E si chiedono: oddio, che abbiamo fatto? Oggi la testata registra un milione e 300 mila contatti di visitatori unici in un mese. Questa è la media, i dati sono ovviamente oscillanti.
domanda Come siete arrivati a questi risultati?
Abbiamo investito molto sulle risorse umane. Noi non siamo un aggregatore di notizie che non occupa giornalisti. La testata è gestita da una società, Livesicilia srl, che fa parte di un gruppo editoriale. L’altra società è Novantacento srl e pubblica libri e due testate periodiche: “S” e “Ilovesicilia”. Nella sede centrale di Palermo Livesicilia occupa tre redattori ex articolo 1 (altri tre redattori sono assunti dalla società Novantacento) ma anche una decina di collaboratori. È stata messa su una squadra di gente motivata e di professionisti liberi. Per questo la nostra informazione politica è la più seguita in Sicilia. È seguita soprattutto dagli addetti ai lavori, dal sottobosco politico e da un pubblico particolarmente esigente.
domanda: E le entrate?
Google ci dà tanto. C’è stato nel tempo un salto ragguardevole perché il nostro ranking è cresciuto seguendo (ma questo vale per tutti) vari criteri: produzione propria, visitatori, numero di pagine visualizzate, tempi di visualizzazione.
Cresce anche la raccolta pubblicitaria propria. Abbiamo una struttura con agenti nostri. Il bilancio si chiude quindi con un utile significativo. Non così si può dire per le testate a stampa. Ma tutti i giornali tradizionali hanno punte di criticità. Il futuro è la strada che abbiamo intrapreso.
editore Adriano Migliaro Levante News
Con sede a Chiavari, provincia di Genova, e diffusione nei centri vicini, il sito Levante News è registrato come testata giornalistica dal 2009. Del sito me ne occupo molto poco – esordisce l’editore Adriano Migliaro, titolare di DLS Sas – il direttore è il giornalista Marco Massa, e bisogna parlare con lui. Io posso darle i dati delle pagine. In media circa 70 mila visite al mese.
domanda: La sua azienda di cosa si occupa?
Di impianti di sicurezza, e un po’ anche di informatica. il sito all’inizio è stato una prova, nata dall’amicizia con Massa. Mettevamo un po’ di pubblicità della nostra impresa, che poi abbiamo levato, un freelance procurava – e procura ancora oggi – qualche inserzionista esterno. Il fatturato è poca cosa, forse 10 mila euro l’anno, i costi sono coperti dall’azienda. Io sono convinto che se la pubblicità diventa invasiva poi la gente non legge i contenuti, e per fortuna il sito è invece molto letto, lasciamolo così. Dal punto di vista economico non è un ramo d’azienda, è un qualcosa in più che facciamo e ce lo manteniamo cercando di non spendere molto, ma è autofinanziato da noi. La pubblicità copre il 20% delle spese…
domanda: Scusi, ma i giornalisti li pagate?
Massa è in pensione e questa è una cosa che fa per interesse suo. Gli altri sono freelance, vengono compensati ad articolo. C’è un gentleman’s agreement fra noi… Il sito ha sede presso l’azienda, dove vengono il direttore e un’altra persona, gli altri mandano i loro contributi da fuori, non so di preciso quanti siano, credo quattro persone in tutto.
Marco Massa giornalista
domanda Per questo lavoro chi viene retribuito?
In redazione siamo in due, io sono professionista pensionato e lo faccio volontariamente; la mia collega è pubblicista, Consuelo Pallavicini, caporedattore, ha un altro lavoro, dà una mano senza retribuzione. Per me è un impegno giornaliero, lei un po’ meno. I collaboratori sono quattro sulterritorio, volontari anche loro, tranne uno che prende qualcosa con nota di credito. Siamo sei in tutto, insomma.
MENTELOCALE – Genova, Milano e Torino –“SIAMO UN’IMPRESA IN REGOLA MA QUESTE REGOLE SONO ASSURDE”
Da 16 anni sul mercato, il sito è gestito da un imprenditore-editore, ha un gruppo stabile di 10 persone tutte assunte, una redazione con quattro giornalisti, un fatturato di mezzo milione di euro e 668 utenti unici mensili. L’analisi del mercato della direttrice e il duro attacco dell’editore: il web non è considerato da nessuno, lavoriamo con regole ottocentesche.
Laura Guglielmi direttore responsabile
domanda Laura, tu vieni spesso intervistata come giornalista esperta di informazione su web, e non hai mai nascosto la tua avversione per il modo in cui si muovono i grandi socialnetwork e i motori di ricerca. Perché?
Perché li considero grandi e geniali invenzioni ma che approfittano del loro ruolo dominante per sfruttare il lavoro degli altri senza pagarlo. Google e Facebook, ad esempio, non hanno un solo giornalista in Italia eppure forniscono milioni di informazioni prodotte da redazioni pagate da editori italiani, e in questo modo diventano essi stessi un gigantesco giornale che poi riempiono di pubblicità. Ma non solo. Facebook arriva all’assurdo di pretendere di farsi pagare per dare visibilità alle notizie! Mentelocale, se vuole linkare le sue news per farle vedere ai propri iscritti, che sono decine di migliaia, deve comprare pubblicità, altrimenti quei link vengono mostrati in genere solo nelle homepage a 200-300 persone. Grazie a questo meccanismo, Facebook può contare su un pubblico enorme che gli rende in pubblicità. Ma dove paga le tasse Zuckerberg e quante ne paga?
Purtroppo noi, oltre a fornire notizie gratuitamente a queste piattaforme potentissime, dobbiamo impiegare molto tempo per seguire la nostra pagina e il posizionamento su Google: cose che facciamo volentieri, per carità, perché ci danno un contatto continuo con i nostri lettori e abbiamo il senso del nostro lavoro. Ma preferirei – visto che forniamo un servizio senza compenso – utilizzare questo tempo per curare di più il nostro prodotto. Questo per dire che se non intervengono nuove regole internazionali, questo ucciderà la libera informazione, sarà sempre più condizionata da questi colossi che sfruttano chi paga le tasse e gli stipendi nei singoli Paesi.
domanda Quali sono le differenze sostanziali di cui tener conto?
Ad esempio la flessibilità: che tu sia dipendente o collaboratore puoi lavorare indifferentemente in redazione o da casa, senza obbligo di luogo né di orario. Al rientro dalla maternità puoi anche lavorare da casa, l’importante è il risultato. Le norme andrebbero riviste rispettando i diritti dei lavoratori, ma tenendo conto anche del fatto che in questo settore non si guadagnano più miliardi.
Noi che facciamo informazione seriamente siamo attaccati da tutti: da siti di bassa qualità che
buttano informazione online per essere su Google e ci fanno una concorrenza spietata senza però avere i nostri costi; da chi ci controlla come fossimo paragonabili alle grandi testate; dai colossi che ho già detto. Perché non si istituisce una digital tax per questi operatori che fatturano miliardi in Italia e pagano il 4% di tasse in Irlanda piuttosto che in Lussemburgo
Oggi c’è un giro perverso: Pasqualina scrive un articolo, che viene linkato da Google, lei lo linka su Facebook, su Twitter e tutte queste piattaforme si riempiono dei contenuti prodotti da Pasqualina. Ma chi paga Pasqualina? Solo la testata per cui lei scrive, però questi tre operatori usano il suo pezzo o il suo video per fatturare pubblicità, diventando così dei super-mega-media che fanno anche informazione giornalistica a costo zero. Senza contare che i social hanno frantumato la mediazione giornalistica: per sapere cosa dice il Presidente del Consiglio oggi tutti guardano Twitter. E il rapporto di mediazione professionale che c’era tra il giornalista e la fonte è finito. Non è roba da poco».
Editore Paolo Musso
Come editore oggi mi sento a disagio a muovermi nell’ambito di un contratto di categoria, un Ordine, un’associazione che non prevede la nostra presenza e quelle delle professionalità che hanno contribuito a costruire l’oggetto su cui lavoriamo da 15 anni. Quindi cosa mi posso aspettare dal legislatore? Di aggiornarsi, di non avere preconcetti ideali su cos’è il giornalismo oggi, su cosa sono gli standard di qualità, internet, l’informazione online. Oggi una fashion blogger è meglio pagata di un redattore, è più riconosciuta dalle testate o da chi produce informazione, eppure non è neanche passata dall’Ordine dei giornalisti o dal tribunale per essere registrata come testata. È questo il mercato in cui noi dobbiamo operare e in cui vorremmo essere riconosciuti e prosperare.
MB NEWS– Monza e Brianzadirettore/editore Matteo Speziali
domanda Matteo, qual è la tua storia?
Molto semplice, dopo diverse esperienze in altre testate del territorio, nel 2008 ho fondato MB News di cui sono direttore ed editore. All’inizio ero da solo e mi occupavo esclusivamente della città; in seguito è cominciata una crescita che mi ha portato progressivamente a coprire l’intero territorio della provincia di Monza e Brianza.
domanda Oggi quanti collaboratori avete?
Una decina, soprattutto con Partita Iva. Sono essenzialmente free-lance sempre sul territorio ai quali per consuetudine non pongo alcun paletto: professionisti che hanno il giornalismo nel sangue, pronti a recepire le notizie a inviarcele con la massima libertà. Un’operatrice è invece fissa al desk per elaborare il flusso di informazioni e fare “cucina” quando pervengono comunicati. È molto brava: nei momenti di forte lavoro riesce a redigere o rielaborare un comunicato al minuto.
On line sin dal 1997, ‘’Nove da Firenze’’ è la prima testata digitale fiorentina e una delle prime in Italia. E’ stata registrata in Tribunale nel 1999, appena la normativa lo ha consentito a una testata solo on line.
Direttore/editore Nicola Novelli
La redazione fisicamente non esiste. La sede legale è presso lo studio della Commercialista vicepresidente dell’associazione editrice. Gli altri collaboratori lavorano gratuitamente, ciascuno dedicando parte del proprio tempo libero. ‘’Quando nascemmo – racconta Novelli – avevamo in testa l’idea di sperimentare una nuova forma di giornalismo: un giornalismo volontario che nasce dal basso. Siamo rimasti fedeli a questa impostazione: alcuni dei collaboratori –in totale una dozzina- sono pubblicisti, altri non sono iscritti all’albo. Non devono essere necessariamente dei giornalisti. Sono invece tutti soci dell’Associazione, che tra l’altro – aggiunge Novelli – non fa solo informazione on line, ma organizza periodicamente eventi di approfondimento e pubblicazioni editate in supplemento on line al giornale’’.
‘’Sono molto preoccupato – dice – soprattutto per le trasformazioni degli algoritmi di Google.
Indiscutibilmente, nell’interesse dei cittadini, la loro efficacia è cresciuta, ma l’accorciamento della ‘coda lunga’ rende sempre più difficile fare fatturato sulla Rete. L’efficienza nelle ricerche è utilissima per chi propone prodotti commerciali, ma per quanto riguarda informazioni e cultura, la sintesi mainstream che Google propone nelle sue liste di risposta non lascia margini economici ai produttori di contenuti. Ormai i contenuti giornalistici sono limitati a una o due risposte della prima videata di Google, il resto sono rappresentazioni multimediali dell’oggetto di ricerca, di cui viene offerta una ‘immagine nel presente’, e non proponendo più il racconto del suo divenire nel tempo, che in passato avvantaggiava siti giornalistici con un archivio notizie strutturato’’.
‘’Più in generale –aggiunge Novelli– sono preoccupato per il risucchiamento in atto nel mercato pubblicitario nazionale da parte delle multinazionali globali con base in California. Il mercato italiano on line si sta concentrando nelle mani dei grandi operatori planetari, con sede operativa nella Silicon Valley’’. (Il mercato adv digital in Italia, ad esempio, vale 2,15 miliardi di euro due terzi dei quali va direttamente ai grandi Over the top mondiali’’).
‘’Loro fanno quello che vogliono, fanno lo slalom fra le legislazioni nazionali portando i ricavi dove vogliono. E, attenzione, non è solo una questione di svuotamento delle risorse economiche, ma è in gioco l’identità culturale e la sovranità giuridica degli stati nazionali. Si rischia lo svuotamento anche della cultura europea. Ne sappiamo qualcosa noi di Nove da Firenze che un paio di anni fa, nel corso di un contenzioso per la fornitura del servizio pubblicitario abbiamo visto Google Adsense sostituire da un giorno a l’altro il riferimento contrattuale al tribunale di Milano in caso di controversia, con le corti britanniche, mediante la sottoscrizione di una nuova clausola per accettazione. Prendere, o lasciare. Simili esperienze ti fanno misurare lo sbilanciamento nella relazione che intercorre tra il fornitore di contenuti locali e i ‘nuovi padroni della rete’’’.
“Continuiamo a pensare a internet come alla nuova frontiera, e non riusciamo ancora a collegare in maniera logica gli eventi che stanno accadendo: non ci interessiamo delle problematiche che riguardano la rete perché pensiamo che tutto andrà a posto da sé, poiché sino ad oggi tutto sommato ha giovato a tutti. Ma non è detto che il risultato delle trasformazioni possa essere sempre positivo per tutti. Nessun sistema nella storia ha mai visto concentrarsi tanta diseguaglianza e utili da capogiro. Ed è fondamentale che smettiamo di farci illudere dal marketing messo in atto aziende come Google e Facebook. Crediamo che questa tendenza alla centralizzazione dei dati culturali sia necessaria alla creazione di una rete aperta e alla diffusione della democrazia. Intanto queste stesse aziende stanno intermediando commercialmente le parole e i concetti espressi nelle nostre lingue, cioè stanno commercializzando il risultato prodotto in migliaia di anni dalle nostre culture. Il modo in cui assistiamo in silenzio a questo scippo è piuttosto bizzarro. L’opinione pubblica dovrebbe rendersi conto che stiamo concentrando tutti i file e dati su Google, Facebook e altri server privati. Il tema della concentrazione in poche mani della storia dell’Umanità deve acquisire rilevanza politica. Bisogna smetterla di pensare internet come se fosse una realtà separata e iniziare a concentrarsi su come vorremmo che fosse”. Buttandola in politica “L’attuale classe dirigente italiana è cresciuta concentrandosi su questioni come le linee telefoniche e la televisione. Se riuscissimo a convincerli a pensare alla rete Internet come trattano le reti telefoniche e TV, forse finalmente riusciremmo a smuovere qualcosa. Sinora, essendo Internet un concetto immateriale, non lo si considera come uno strumento fondamentale della libertà di espressione. Tra l’altro funziona in maniera apparentemente semplice e sembra non aver bisogno di regolamentazioni. Ma data la centralizzazione della rete, la possibile censura è difficile da aggirare. Internet è stato inventato in USA, che ne ha ancora il controllo (ICANN può di fatto censurare, o disconnettere qualsiasi dominio di alto livello). On line non vedi qualcuno spiarti, non vedi qualcuno censurare le tue parole, non vedi qualcuno modificare risultati dalle tue ricerche.
In tutti questi anni la mia maggiore difficoltà è sempre stata quella riuscire ad attirare l’attenzione su questi temi anche tra gli addetti ai lavori” sintetizza Novelli.
Consumatrici.it, sito quotidiano, bolognese di nascita,
direttore Rocco Di Blasi
Dopo 12 mesi di vita e oltre 4 mila articoli pubblicati, la formula che abbiamo scelto sembra darci ragione>. Più di due milioni di utenti, da luglio in costante aumento, Consumatrici.it prende vita in una camera e servizi, a piano terra di uno dei palazzi storici di piazza Santo Stefano, luogo tra i più belli e suggestivi di Bologna, a contatto di gomito con Siusy Blady che è anche padrona di casa. , racconta Di Blasi.
Le fonti di informazione sono gli stessi utenti informatici, i social network, Ansa.it, e naturalmente i collaboratori.
Per il momento tutto si regge sulla pubblicità istituzionale, Coop, Banca Intesa, e su Google, Ora il giornale è frutto del lavoro di due collaboratori costanti più una decina di voci saltuarie. Oltre che dell’impegno, dodici ore al giorno, dello stesso Di Blasi. Senza mai perdere di vista il numero delle lettrici/lettori e delle pagine lette che campeggiano sul video del suo computer aggiornandosi via via in tempo reale.
ALESSANDRIA OGGI L’editore tuttofare che vive di donazioni
Andrea Guenna editore e direttore
Ha opinionisti e collaboratori che compensa con regali ogni tanto, fa l’imprenditore, il direttore, il cronista, l’agente pubblicitario e riesce a fatturare quel tanto che gli basta per mantenersi. Partito rivolgendosi a un pubblico di nicchia, ora il suo sito ha allargato i consensi. Si, mi chiedono pezzi in cambio di pubblicità, ma in fondo dò solo notizie, che male c’è? Sono iscritto all’Ordine dal 1980, come pubblicista, ma faccio il giornalista a tempo pieno e sono registrato alla Camera di Commercio di Alessandria come impresa editoriale, faccio tutto da solo. La redazione? Fisicamente non esiste. Ho collaboratori esterni che mi mandano pezzi per amicizia o perché fa loro piacere uscire sul mio sito. Nessuno è retribuito, ogni tanto cerco di fare qualche regalo, così per dare un po’ di soddisfazione, ma faccio fatica a farlo accettare. In gran parte sono pensionati con nomi importanti, che economicamente stanno bene. Ho dovuto insistere per regalare una penna a uno di loro, perché so che gli piacciono le penne.