L’incredibile pingpong tra Presidenza del Consiglio (PCM) e Ministero dell’Economia (MEF) in merito alla richiesta di accesso ai documenti che compongono il cosiddetto Dossier Cottarelli sulla spending review (qui e qui) ha messo in luce diversi aspetti deludenti da parte di un governo così apparentemente votato alla innovazione, se non alla rivoluzione, come quello in carica, denunciando invece atteggiamenti di chiusura verso il cittadino degni di ben altre ambizioni.
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Ciò che è emerso con maggiore evidenza è che i documenti fossero andati apparentemente smarriti, avendo entrambe le istituzioni negato di esserne in possesso. In realtà li hanno entrambe. E se a prima vista potrebbe risultare una questione di mera sciatteria, in realtà è innanzitutto un problema di rapporti tra istituzioni e cittadini: difficilmente in altri Paesi sarebbe stato possibile fare una simile figura senza degnarsi di fornire nemmeno un chiarimento. Mentire senza smentire.
Non di meno vi è il rimpallo di competenze e responsabilità sul lavoro stesso dell’ex Commissario straordinario. Un decreto di nomina lo vorrebbe in Via XX settembre, come segnalava la stessa PCM, ma secondo il MEF la responsabilità è poi passata alla Presidenza. Secondo il Ministero, e anche secondo Cottarelli: “io formalmente dipendevo da Palazzo Chigi” ha dichiarato ai microfoni di Mattino 24.
E ha poi aggiunto: “Credo che il governo abbia intenzione di farlo [pubblicare i documenti, NdR], potrebbe essere una questione di giorni … e comunque non aspettatevi granché”.
Ma se non c’è da aspettarsi troppo, perché allora alimentare tali aspettative?
E, soprattutto, perché si è pensato di poter ‘salvare i conti del Paese’ investendo (quanto complessivamente?) in un progetto mediocre?
Domandare è lecito. Rispondere cortesia. Almeno in Italia.
Nell’attesa, pare che “si stiano parlando fra Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia, c’è anche una questione pratica di editing”. È sempre Cottarelli a dirlo, secondo cui “l’unico motivo per cui non sono stati pubblicati è che c’erano cose più importanti da fare”.
C’è sinceramente da augurarsi che la guida del Paese avesse cose più importanti da fare che mettere online qualche documento – per quanto, nel frattempo, tra un profluvio di tweet, online sono andati diversi siti istituzionali, con risultati impietosi. Tuttavia, le istituzioni non sono fatte solo di vertici; sono ben articolate e nutrite di personale.
Inoltre, se vi era così cristallina la volontà di diffonderli, perché negarli – a quel modo poi – di fronte a una legittima richiesta?
D’altronde bastava allegarli alle mail cui invece sono stati allegati i dinieghi.
(Per la cronaca, parrebbe che i documenti siano tra i 15 e i 20, prodotti da 25 gruppi di lavoro)
Oggi sono passate due settimane dalla annunciata pubblicazione, quattordici giorni, e tutto tace. Nel frattempo, abbiamo reinoltrato le richieste, con lo storico di quanto accaduto, certi di un riscontro positivo e chiarificatore.
E mentre il Governo mette a punto l’editing, noi, ardenti di pazienza, restiamo in fiduciosa attesa.