Prima troppo poco, poi, forse, troppo: per molti docenti, il rapporto con il digital learning e la didattica a distanza si può riassumere così. Teams, Zoom, Meet e tutti gli altri programmi dedicati alla telepresenza sono stati una salvezza durante i mesi più duri della pandemia, considerando che l’alternativa sarebbe stata saltare del tutto una buona fetta dell’anno scolastico. Ma c’è anche un rovescio della medaglia: le tecnologie per la didattica a distanza sono così efficienti e comode che in molti denunciano un ricorso alle stesse anche quando, almeno per motivi sanitari, non ce ne sarebbe più bisogno. E qui si ritorna all’antico dilemma: meglio i vantaggi delle tradizionali lezioni in presenza (in primo luogo il confronto quotidiano con i propri coetanei e coi docenti, per un rapporto più “vero” e diretto) o quelli della DAD (possibilità di studiare in modo molto più flessibile anche riascoltando le lezioni, e, soprattutto per gli universitari, frequentare i corsi di atenei in altre città senza dover pagare cifre elevate per il trasferimento e l’affitto)? E se si volesse puntare a una via di mezzo in grado di prendere le cose migliori dall’uno e dall’altro approccio, quale sarebbe il risultato concreto? Il tutto tenendo conto che non si parla solo di scuola e di università, ma anche di formazione aziendale, che forse può sfruttare ancora di più le potenzialità delle modalità di apprendimento a distanza.
Il problema (irrisolto) del digital divide
Quando si parla di educational technology c’è poi da considerare il fatto che in Italia il digital divide, malgrado i passi avanti fatti in questi anni, rimane tutt’altro che una questione risolta: sebbene la fibra otticaad alta velocità sia ormai diffusa nella penisola (basta guardare le offerte del comparatore di SOSTariffe.it, personalizzate per ogni Comune), rimangono delle zone isolate che non sono raggiunte, o che comunque hanno connessioni di scarsa qualità; senza contare il fattore economico della DAD, che in teoria presuppone la disponibilità di un PC o almeno un tablet per ogni studente di casa, magari in ambienti diversi, se si è più d’uno, per non darsi fastidio. Uno scenario che certo non riguarda tutte le famiglie italiane: anche per evitare una disparità tra studenti a distanza di serie A e di serie B il Governo è intervenuto, come sappiamo, con diverse misure, tra cui il bonus tablet e PC e il più recente bonus banda larga (che permetterà alle famiglie, a prescindere dall’ISEE, di ricevere un voucher da 300 euro per dotarsi di una connessione superiore a 30 Mbps, se già non la si ha, legandosi al nuovo provider per 24 mesi).
La formazione delle imprese? Metà del budget è per il digitale
Fatto sta che, secondo i dati dell’Osservatorio EdTech della School of Management del Politecnico di Milano presentati pochi giorni fa, il mercato dell’educational technology in Italia è in netta crescita, non solo per le scuole ma anche per le imprese. Sono proprio queste ultime che oggi investono quasi la metà (circa il 47%) del budget stanziato per le formazione in digital learning, malgrado le criticità relative agli investimenti ancora necessari per un funzionamento davvero efficiente di questo approccio. Secondo Camillo Loro, Direttore dell’Osservatorio EdTech, le conseguenze dell’accelerazione imputabile al Covid-19 per il mercato educational devono essere ancora comprese appieno, ma non per questo bisogna fermarsi: «Molte delle barriere al cambiamento proprie del tessuto istituzionale ed economico italiano, come la scarsa diffusione delle competenze digitali e la scarsa copertura delle infrastrutture tecnologiche, sono state allentate attraverso questa spinta “forzata” ed è, quindi, proprio questo il momento di cavalcare l’onda per rendere la tecnologia realmente parte integrante del processo educativo e di formazione».
Naturalmente l’educational technology costa, e considerando il momento non esattamente florido che stanno attraversando le aziende italiane in questo momento – si pensi ai costi schizzati alle stelle per l’energia, ad esempio, anche per chi è riuscito a riprendersi dai buchi di bilancio lasciati dal coronavirus – non ci si stupisce nel vedere che per il 42% degli intervistati la maggiore criticità è proprio l’onerosità dell’investimento. D’altra parte, molto apprezzate sono la flessibilità di fruizione della formazione, la possibilità di innovare e creare nuovi prodotti formativi, il contenimento dei costi nell’erogazione della formazione, per un generale miglioramento nella qualità dell’offerta formativa.
Scuole e università, tra criticità e obiettivi strategici
Pe quanto riguarda invece le scuole, i dati dell’Osservatorio mostrano con chiarezza la penetrazione del digitale all’interno delle classi. Il registro elettronico viene utilizzato nel 99% dei casi, e mostrano percentuali altissime di adozione anche le lavagne interattive e i videoproiettori (93%); un po’ più indietro le piattaforme per la gestione dell’aula a supporto della didattica digitale integrata. Ma c’è, oltre a quello degli investimenti necessari, un problema di competenze, visto che per quasi della metà delle scuole oggetto d’analisi il personale amministrativo e i docenti non hanno le competenze necessarie per usare al meglio gli strumenti digitali, e una scuola su tre giudica troppo costoso l’investimento necessario in questo genere di tecnologie. Solo per pochissimi istituti “d’élite”, invece, sono le modalità più avanzate di apprendimento digitale, come software per la creazione di contenuto all’interno di laboratori, learning app e gaming, realtà virtuale/aumentata o intelligenza artificiale. In ogni caso la rotta è tracciata: per l’86% delle scuole, infatti, i futuri investimenti in tecnologie digitali sono un obiettivo strategico.
E le università? Come si è visto, si tratta di enti che hanno una prospettiva un po’ diversa rispetto alle scuole, in primo luogo perché, rispetto al carattere soprattutto locale degli istituti primari e secondari, gli studenti in trasferta per ottenere la laurea sono molti di più, e traggono certamente diversi benefici dal poter frequentare le lezioni senza dover per forza cercare un affitto – spesso a carissimo prezzo – nella città che ospita l’ateneo da loro scelto. È comunque ancora limitata (il 5%) la percentuale di proventi spesi dalle università per l’educational technology, un investimento che è però visto come obiettivo strategico dal 77%. Ovvio che qui gli investimenti mirano e mireranno a finanziare soluzioni più avanzate rispetto alle scuole, come le learning app, il gaming, intelligenza artificiale e blockchain.
Fonte: https://www.osservatori.net/it/ricerche/comunicati-stampa/mercato-edtech-italia