Quando ci facciamo un giro su internet, inviamo messaggi in chat e usiamo le applicazioni sullo smartphone, certo non ci viene proprio in mente che tutte queste attività hanno un risvolto energetico e inquinante di non poco conto.
L’economia digitale (e il suo esteso ecosistema) consuma tanto e genera emissioni climalteranti come qualsiasi altra attività umana di tipo economico-industriale (come d’altronde anche di tipo ricreativo e di intrattenimento).
In un articolo, pubblicato sul sito dalla Banca europea degli investimenti (la Bei), è calcolato l’impatto ambientale della trasformazione digitale e al momento la digital economy aumenta progressivamente i suoi consumi di energia elettrica, approssimativamente del 9% in più l’anno e si stima che nel 2020 rappresenterà il 3,3% del totale mondiale (era l’1,9% nel 2013).
Similmente, il suo impatto da un punto di vista ambientale è misurato in emissioni annue al momento pari al 3,3% del totale dei gas serra immessi nel mondo e nel 2020 si prospetta una crescita al 4%.
Per avere un’idea della quantità di gas serra prodotti dall’economia digitale globale, basta sapere che ne emette più dell’intera India in un anno e dell’aviazione civile (il traffico aereo globale, che è tra i più insidiosi, non supera il 2%).
Segmento per segmento, lo studio evidenzia che all’hardware va imputato il 45% del consumo elettrico del settore digitale. Il 90% di tale consumo è da attribuire alla produzione di smartphone.
Il documento continua esaminando nel dettaglio anche la datasfera, le email, i data center, i video, fino all’utilizzo quotidiano che facciamo dei prodotti e dei software, suggerendoci una serie di regole comportamentali che potrebbero facilitare una riduzione delle emissioni di gas serra e quindi favorire un minor impatto ambientale della tecnologia di cui circondiamo, tanto insostituibile quanto potenzialmente pericolosa.