Tecnologie che si indossano, automobili connesse in rete e gestibili dai nostri smartphone tramite applicazioni mobili, a cui si aggiungono case ultra tecnologiche e infine i robot. Si tratta solo alcuni esempi di un mondo ormai interconnesso, in cui oggetti e prodotti ‘intelligenti’ sono in grado di dialogare tra loro e con le persone che li utilizzano, mentre le nostre città si riempiono di sensori digitali per la raccolta e l’elaborazione dei dati da trasformare in servizi.
È l’internet delle cose (Internet of Things – IoT), insieme di soluzioni tecnologiche in continuo sviluppo applicabili a qualsiasi settore produttivo e dei servizi, dall’industria pesante all’agricoltura, dalla finanza ai trasporti, dalla formazione alla sanità, e che secondo Roberto Baldoni, direttore del Centro di Ricerca Cyber Intelligence e Information Security (Cis) dell’Università della Sapienza di Roma, vale oggi più di 1 miliardo di euro in Italia.
L’internet delle cose “sarà la seconda rivoluzione informatica dopo la comparsa dei computer“, ha detto Baldoni all’Adnkronos. Un insieme di tecnologie che aprirà le porte della digital economy alle imprese, “a partire dal 2015”.
“Un mercato in crescita esponenziale – ha spiegato il direttore del Cis – visto che per il 2020 Gartner calcola 10 bilioni di unità intelligenti in azione sul pianeta, non considerando i classici Pc e gli smartphone, con una proiezione di mercato che passa dall’1,9 trilioni di dollari stimati da Gartner, ai 14,4 trilioni di dollari previsti da Cisco“.
Riguardo all’Italia, ha dichiarato all’Adnkronos, “La PA è un utente privilegiato e il Piano sulla banda ultralarga del Governo da 6 miliardi di euro è un passo assolutamente necessario, cui dovrebbe seguire una programmazione sull’IoT per prevedere una crescita economica ma sicura del nostro Paese in questo mercato“. Programmazione, ha specificato Baldoni, che “è innanzitutto capire il futuro, la tecnologia che sta arrivando e preparare dei programmi sull’IoT per stimolare la crescita delle aziende nei settori di interesse nazionale“.
Ovviamente, si legge nell’intervista, “Servono datacenter regionali a prova di cyber criminali, ne basterebbero 20 per iniziare, dotati di tutti i sistemi di sicurezza e interconnessi da una rete ad altissima velocità, a cui cittadini e imprese possano accedere con banda ultralarga e immettere dati, ma sotto la garanzia della legislazione italiana sulla privacy”.
I dati sensibili sono al centro di un fiorente mercato nero gestito da criminali informatici senza scrupoli in grado di penetrare le difese più sofisticate: occhiali e orologi smart, televisori intelligenti, gadgets e smart car, “dobbiamo sapere che qualcuno facilmente può entrare in questi dispositivi e rubare o manomettere le nostre informazioni più delicate”. Dispositivi vulnerabili “perché fondamentalmente sono piccoli, hanno poche risorse fisiche, come memoria e capacità computazionale ridotte, rispetto ai calcolatori ed ai server classici che conosciamo”, ha sottolineato baldoni.
Un’attenzione verso la sicurezza dei dati personali, che in ogni momento inseriamo in questi smart objects (come anche in rete e sul web) che deve crescere nel cittadino consumatore, ma anche nel settore industriale, perchè “anche l’automazione industriale rientra nel mondo dell’Internet of Things ed è proprio in questo settore che il bisogno di sicurezza informatica diventa prioritario per non bloccare processi produttivi“.
Un monito da non sottovalutare, ha avvertito l’esperto del Cis, “a partire dalla produzione manifatturiera e dalla conservazione dei dati, perchè una volta messi sul mercato, proteggere questi dispositivi da crimini informatici è praticamente impossibile“.
(L’intervista integrale è pubblicata sul sito dell’Adnkronos)