L'editoriale

Ecco perché Bruxelles boccerà il piano di TIM per realizzare la rete unica in Italia

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Monopolio, competizione, governance, tariffe, co-investimento: sono tutti i temi cruciali anzi i nodi che porteranno il progetto italiano di rete unica, così come disegnato da TIM, in conflitto aperto con la Commissione europea.

L’operazione rete unica, cosi come proposta da TIM, sarà inevitabilmente bocciata da Bruxelles, per le ragioni molto semplici che elenchiamo di seguito e che cercheremo di spiegare.

La rete unica italiana non può creare un precedente europeo

La prima ragione è che la Commissione europea, ne converrete anche voi, non può consentire una ri-monopolizzazione del settore delle telecom in Italia.

Il caso italiano potrebbe avere infatti a livello europeo un effetto domino con sgradite conseguenze. Anche gli altri incumbents europei (si pensi a Deutsche Telekom a Orange o ad altri) si sentirebbero a quel punto in diritto di ri-monopolizzare i propri asset nei rispettivi Paesi di appartenenza.

Ma l’Europa non può permettersi di tornare indietro, dopo 20 anni di liberalizzazioni e almeno 30 anni, se non più, di politiche pro-competitive. Un processo che ha creato benefici per le imprese, per la ricerca, per i consumatori, riscontrabili in una maggiore scelta, una migliore qualità dei prodotti e dei servizi e prezzi indiscutibilmente più bassi.

Oggi chi potrebbe avere interesse a tornare indietro, con servizi più scadenti, una bolletta molto più cara e nessuna possibilità di scelta?

TIM: impossibile eliminare i principi della competizione

La seconda ragione è che la rete unica, così come disegnata da TIM, significa di fatto eliminare la competizione infrastrutturale in Italia e ricreare un chiaro e indiscutibile monopolio in capo all’incumbent, senza nessuna garanzia che i promessi investimenti destinati alla rete FTTH vengano poi realizzati in maniera più veloce rispetto a quanto già previsto oggi, grazie alla presenza di Open Fiber. Al contrario, vi è la quasi totale certezza che gli investimenti in fibra saranno rallentati e rinviati proprio per il venire meno dell’attuale principale competitor di TIM.

Il nodo della governance: maggioranza e controllo

La terza ragione è che TIM non potrà in nessun modo avere la maggioranza o il controllo della newco AccessCo, come espressamente indicato dalla stessa azienda e posto come condizione non discutibile.

E nessuna forma di governance, nonostante gli sforzi di fantasia (maggioranza nelle azioni, minoranza nel Cda), potrà mai superare questo ostacolo.

Anzi TIM non potrebbe superare la soglia del 25%. E siamo convinti che saranno questi i limiti che la Commissione imporrà.

Allo stesso modo TIM non potrà nominare né il vertice della NewCo né il management né avere alcun potere nella gestione della società.

In teoria, TIM non dovrebbe neanche (stando alle prescrizioni europee) poter nominare dei consiglieri di amministrazione della NewCo. Perché? Perché in caso di nomina avrebbero accesso privilegiato ad informazioni che potrebbero essere usate a vantaggio della Business Unit Retail di TIM.

Insomma, in base alle considerazioni fatte, la newco AccessCo non potrebbe che essere Wholesale only.

Con il controllo e la maggioranza di TIM rimarrebbe invece un operatore “verticalmente integrato” e non potrebbe beneficiare di alcuno dei vantaggi regolamentari previsti dalla Commissione europea per operatori Wholesale only puri.

TIM e il nodo delle tariffe: orientamento al costo o RAB?

Le tariffe per un incumbent “verticalmente integrato” in posizione di monopolio dovrebbero essere orientate strettamente ai costi di un operatore efficiente e non potrebbero comunque in alcun modo beneficiare della RAB, da tutti invocata.
Quindi, se TIM dovesse insistere per mantenere il controllo o la maggioranza della newco AccessCo, anche da questo punto di vista l’operazione sarà inevitabilmente bocciata dalla Commissione europea e TIM sarebbe costretta a cambiare radicalmente il progetto o ad abbandonarlo definitivamente. 

La fiaba del co-investimento

In questi giorni si è, infine, diffusa la fiaba secondo la quale il progetto di rete unica italiana sarebbe una sorta di co-investment, secondo quanto previsto dall’Articolo 76 del nuovo Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche.

Ma si tratta di una chiave di lettura interpretativa che a dir poco genera più di un sorriso ironico nei corridoi di Bruxelles.

La rete unica non ha nulla a che vedere con il co-investment previsto dall’Articolo 76 del nuovo Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche.

Infatti, il nuovo Codice Europeo è già applicabile entro il 21 dicembre, anche se non ancora trasposto tra le norme nazionali in Italia.

E nessuno si potrà opporre. Tanto meno TIM.

Nei prossimi giorni affronteremo il tema complesso degli aiuti di Stato assieme all’uso del Recovery Fund per le aree grigie.

Due tematiche molto calde, seguite con grande attenzione da Bruxelles e sulle quali anche i media e l’opinione pubblica italiana potrebbero orientare maggiormente le proprie attenzioni.

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