La rappresentazione della rete unica
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a come la politica si sia concentrata su TIM, che ricordiamo è una azienda privata e quotata in Borsa, con un irrituale attivismo sulla rete nazionale da parte del Mimit che non ha né deleghe né ha motivo di intervenire, dal momento che TIM non ha ancora invocato nessuno stato di crisi aziendale. Anzi, il suo AD, Pietro Labriola, non perde occasione per dire ai mercati che tutto va bene. Tutto intorno una corte di attori di prima e seconda fila, dalle partecipate del MEF ai rappresentanti del mondo finanziario.
In questo teatrino in cui prevale la rappresentazione dei copioni assegnati piuttosto che la dinamica reale, sembra che tutti si siano dimenticati di Open Fiber, che invece sì è una azienda a controllo pubblico, essendo posseduta al 60% da Cassa Depositi e Prestiti (CDP).
Lo stato di crisi di Open Fiber
Come è ormai noto a tutti, Open Fiber versa, per effetto dell’inadeguatezza delle scelte effettuate dal suo management, in una situazione disastrosa.
Non ha raggiunto nessuno degli obiettivi che il suo stesso top management, incredibilmente, si era dato da solo appena un anno fa o poco più.
Ma, come se non bastasse, non ha raggiunto nessuno degli obiettivi previsti dal Piano BUL e dalla prima milestone del cablaggio delle Aree grigie con grave danno al Paese e grave rischio di perdere fondi europei e del PNRR.
Open Fiber ha accumulato in pochi anni un debito-monstre di oltre 4 miliardi di euro sul quale paga centinaia di milioni di interessi all’anno. Interessi che non vengono ripagati dall’esiguo fatturato e che quindi incrementano il debito stesso.
Ad Open Fiber serve discontinuità: seguire l’insegnamento di Papa Francesco!
Finalmente sembra che sia stato sollevato da più parti il problema al ministro Giancarlo Giorgetti, invitandolo ad intervenire perché ci sia una discontinuità ed un cambio al vertice di Open Fiber. Con buona pace dell’AD della società, Mario Rossetti, che è il principale responsabile dei risultati fallimentari dell’azienda.
Del resto, come ha ricordato anche Papa Francesco appena domenica scorsa: “…Bisogna imparare a farsi da parte al momento giusto…”.
Sembra però che l’AD Mario Rossetti non abbia questa cristiana virtù, visto che continua, nella migliore tradizione italiana dei “boiardi di Stato”, a rimanere incollato alla sua poltrona. E allora in questi casi un intervento superiore, anche se non divino, è necessario. Speriamo pertanto che il ministro Giancarlo Giorgetti ne prenda atto al più presto e agisca come le circostanze richiedono.
L’uovo di Colombo: spezzare in due Open Fiber
Sostituito Mario Rossetti alla guida dell’azienda, occorre però trovare una soluzione al disastro di Open Fiber. E qui giunge in aiuto l’uovo di Colombo. Anziché perdere tempo con l’idea fallimentare di separare la rete da TIM (ormai ben due MoU che avevano questa folle ambizione sono definitivamente morti) probabilmente è più semplice “spezzare” in due Open Fiber.
Ed ecco che per raggiungere l’obiettivo della rete nazionale si fa strada la proposta che potrebbe sbloccare la situazione e facilitare una soluzione positiva, mantenendo la rete in capo a TIM ed evitando così tutti i problemi che lo scorporo della rete crea sia in termini di tempi che di costi.
Ecco come si può dividere in due Open Fiber
È molto semplice. Open Fiber opera con due modalità diverse.
Quanto alla prima modalità, nelle cosiddette Aree nere (grandi città ed aree commerciali) ed Aree grigie commerciali (comuni di piccole e medie dimensioni) gli investimenti sono fatti con denaro privato, finanziati in sostanza da banche, con il classico modello del project financing.
Quanto alla seconda modalità, nelle Aree bianche (a fallimento di mercato) e nelle Aree grigie (quelle a fallimento di mercato) la società opera essenzialmente con finanziamenti pubblici nazionali ed europei (fondi ordinari e PNRR).
Avendo l’obiettivo di facilitare la creazione di una “rete nazionale”, l’idea è quella di dividere la società in due parti: a) una Open Fiber 1 che opera nelle Aree commerciali con denaro privato; b) ed una Open Fiber 2 che opera nelle aree a fallimento di mercato sussidiate con fondi pubblici.
Ed ecco cosa fare dei due tronconi di Open Fiber
A questo punto Open Fiber 1, la società che opera nelle Aree commerciali, viene venduta ad un soggetto terzo (altro operatore o fondi di investimento).
In questo modo si mantiene la competizione infrastrutturale con la rete di TIM, competizione tanto cara a Bruxelles e che rappresenta un obiettivo ineludibile. Cassa Depositi e Prestiti (CDP) esce dall’azionariato e risolve l’imbarazzante e macroscopico conflitto di interessi che oggi ha, essendo presente sia in TIM (come secondo azionista) che in Open Fiber (dove ha il controllo come primo azionista).
Open Fiber 2 viene quindi fatta confluire in TIM con un aumento di capitale riservato.
Gli azionisti di Open Fiber diventano azionisti di TIM e l’incumbent può in questo modo creare la “rete nazionale”, completando le aree dove non è presente, che sono appunto le Aree bianche, e gli 8 lotti delle Aree grigie a fallimento di mercato assegnate ad Open Fiber 2.
Una soluzione semplice che risolve il problema
Questo è il vero uovo di Colombo, che risolve il problema dello stato disastroso di Open Fiber:
- CDP sale nell’azionariato di TIM e riduce l’esborso;
- raggiungendo il controllo e riportando finalmente la rete sotto il controllo pubblico;
- TIM non perde la rete ed anzi la accresce e può utilizzare tutte le proprie competenze per accelerare il cablaggio del paese.
- Bruxelles non avrà difficoltà a dare il via libera perché resta una vera e forte competizione infrastrutturale nelle Aree nere del Paese;
- CDP guadagna soldi dalla cessione di parte di Open Fiber.
Con una soluzione del genere, il governo rispetta i propri impegni e non si troverà a dover gestire due grossi grattacapi occupazionali nei prossimi mesi. Ma ciò che più conta dà autorevolezza al proprio ruolo evitando l’imbarazzante situazione di doversi trovare a fungere da “sensale” tra parte venditrice e parte acquirente.