Pechino alla conquista del mercato mondiale dei droni autonomi da combattimento
Negli ultimi dieci anni la Cina ha fornito 282 droni da combattimento a 17 Paesi nel mondo. Di fatto è il principale produttore globale di velivoli a guida autonoma da guerra o Uav (Uncrewed aerial vehicles), secondo dati dello Stockholm international peace research institute (Sipri).
“I droni sono una parte importante del concetto di guerra informatizzata della Cina – ha spiegato John Schaus, ricercatore presso il Center for Strategic and International Studies (CSIS), in un articolo su aljazeera.com – e capacità avanzate come queste consentono a Pechino di condurre missioni belliche lontano dai suoi confini, con un rischio politico o infrastrutturale molto inferiore rispetto interventi diretti sul campo con mezzi e soldati”.
Tra i grandi clienti dell’industria cinese dei droni da combattimenti troviamo Arabia Saudita, Etiopia, Marocco, Egitto, Algeria, Emirati Arabi Uniti, Pakistan e Serbia.
Una delle ultime commesse piuttosto consistenti è del Pakistan, che avrebbe acquistato 48 droni autonomi da combattimento di tipo “Male” dalla Cina, in grado di trasportare 12 missili e di entrare in azione raggiungendo una velocità di 380 km/h.
In confronto, gli Stati Uniti – che hanno gli UAV più avanzati al mondo e che a livello tecnologico sono ancora potenza leader nel settore – hanno consegnato solo 12 droni da combattimento nello stesso periodo, tutti alla Francia e al Regno Unito, sempre secondo i dati SIPRI.
Il mercato mondiale dei droni da combattimento è stimato raggiungere i 30 miliardi di dollari entro il 2029, secondo un Report di Fortune Business Insights.
La guerra informatizzata
Il concetto di “informatized warfare” è stato presentato per la prima volta nel Libro bianco sulla Difesa della Cina nel 2008 e riguarda tutti quei sistemi basati sull’elettronica integrata, su hardware e software, supportati da personale altamente specializzato.
Non più solamente carri armati, artiglieria pesante, navi e aerei da guerra, ma anche e soprattutto piattaforme belliche potenziate da apparecchiature informatiche e digitali avanzate.
Un concetto spiegato molto bene anche da Wen Jiabao, primo ministro del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese, che nel 2012 affermava che “la missione più importante dell’esercito cinese era quella di vincere guerre locali nelle condizioni dell’era dell’informatica”.
E con guerre locali si possono intendere molte cose, dalle mire espansionistiche di prossimità del gigante asiatico, come Taiwan, Vietnam, Filippone e il Sud Est del continente, fino agli scenari di guerra più lontani, come Yemen, Etiopia, Iraq e Myanmar (solo per citare alcuni dei maggiori conflitti degli ultimi anni).
Senza dimenticare che ormai le guerre sono sempre e tutte “ibride” e la Cina sono anni che sta investendo in queste tecnologie.
In Myanmar, l’esercito birmano armato di droni cinesi ha condotto centinaia di attacchi aerei contro civili e gruppi armati etnici in rivolta due anni fa, mentre in Etiopia la flotta di droni cinesi, iraniani e turchi messa assieme dal primo ministro Abiy Ahmed è stata fondamentale nel contrastare l’avanzata ribelle che nel 2021 minacciava di rovesciare il suo governo.
“Vincere senza combattere”, i droni sono perfetti a questo scopo
Il dominio cinese degli ultimi dieci anni nel settore dei droni da combattimento è molto probabilmente legato alle politiche di potenziamento del proprio apparato militare e di posizionamento sul mercato mondiale delle armi.
Il presidente cinese Xi Jinping ha descritto i droni come strumenti capaci di “cambiare profondamente gli scenari di guerra” e si è impegnato durante il Congresso del Partito Comunista dello scorso anno ad “accelerare lo sviluppo di queste tecnologie automatizzate e intelligenti e della capacità di combattimento dei mezzi in dotazione all’esercito popolare“.
Lo scorso novembre, allo Zhuhai Air Show 2022, è stato presentato un nuovo sistema di difesa a tecnologia laser LW-30 (soprannominato “killer di droni”) ideato per colpire qualsiasi drone da combattimento fino ad oggi progettato. Il sistema difensivo è stato sviluppato dallo China Space Sanjiang Group, costola della China Aerospace Science and Industry Corporation (CASIC).
Un modo per comprendere in profondità la politica militare cinese è rileggere gli scritti del generale filosofo Sunzi (o Sun Tzu), vissuto tra il VI e il V secolo a.C., che diceva: “L’arte della guerra è sottomettere il nemico senza combattere”, ma anche “conosci il tuo nemico e conosci te stesso, vincerai cento volte senza rischi”.
Colpisci da lontano, minimizza le tue perdite, sfrutta i punti deboli del tuo avversario, infliggi il massimo danno.
I droni autonomi da combattimento servono proprio a questo.
Effetti collaterali, le vittime civili
Nelle situazioni di conflitto armato, gli attacchi con i droni hanno causato un numero significativo di morti civili e in alcuni casi sembrano aver violato il diritto umanitario internazionale, secondo Amnesty International.
Una caratteristica comune dell’uso di droni armati nei teatri di guerra è stata la mancanza di trasparenza, che ha ostacolato l’accertamento di fatti basilari riguardanti gli attacchi con questa tecnologia, compreso il quadro legale applicabile (spesso non sono vere e proprie zone ci conflitto ufficiale, ma cosiddette “operazioni chirurgiche contro forze ostili”, ma tanto chirurgiche e precise non sono alla fine), e impedito l’accertamento delle responsabilità e l’accesso alla giustizia e alla riparazione da parte delle famiglie delle vittime.
Dal 2001, con l’inizio di quella che è passata alla storia come “guerra al terrore“ (a posteriori persa, o fasulla fin dall’inizio, più diretta alla destabilizzazione di intere macroregioni), gli Stati Uniti hanno sviluppato un vasto programma di uso letale dei droni, che serve per effettuare uccisioni mirate extra-territoriali in tutto il mondo.