L’11 di maggio, a Torino, nella sede dell’Aula Magna del Campus Luigi Einaudi, si è svolta la conferenza di presentazione di un lavoro nato dalla collaborazione tra il Centro Nexa su Internet e Società e Telecom Italia, il tema ‘Le sfide giuridiche della robotica di servizio’.
Il risultato della ricerca è racchiuso in un documento – dal taglio eminentemente pratico – che analizza i vari aspetti problematici della robotica, tra sicurezza, trattamento dati, diritti e responsabilità.
Una parte del lavoro è stata dedicata ai droni, o ‘sistemi aeromobili a pilotaggio remoto’ (SAPR) secondo la definizione del Regolamento ENAC (l’Ente Nazionale dell’Aviazione civile), entrato in vigore lo scorso anno -tra i primi al mondo a regolare il fenomeno-, e attualmente in fase di revisione.
Uno dei temi trattati è stato quello della responsabilità civile. Nello specifico, cosa succede se un drone provoca danni a cose o persone?
Non si tratta, purtroppo, di un’ipotesi teorica: un drone del peso di pochi chilogrammi, qualora non sia dotato di idonei dispositivi di sicurezza, o non sia ‘inoffensivo’ per i materiali impiegati, se dovesse precipitare in caduta libera potrebbe provocare pesanti danni.
Da qualche anno si susseguono le notizie di mancate collisioni tra aerei e droni, e i reportage di alcuni incidenti. Pur precisando come forse il pericolo sia sovrastimato -una recente ricerca ha dimostrato una bassissima incidentalità-, è meglio approfondire quale sia il regime giuridico, e quali siano le responsabilità, per il caso di danni a persone e cose in superficie (lasciando da parte la disciplina dell’urto tra veicoli, e le responsabilità penali).
Il Regolamento individua due categorie: i droni propriamente detti e gli aeromodelli, che possono essere adoperati esclusivamente per finalità sportive e ricreative.
Mentre i primi sono sostanzialmente parificati agli aeromobili (ai sensi del Codice della Navigazione), i secondi non lo sono. Questo ha precise conseguenze in tema di responsabilità: ai droni ‘professionali’ si applica una regolamentazione autonoma e speciale, e cioè il Codice della Navigazione, che richiama una convenzione internazionale, la Convenzione di Roma del 1952 sulla responsabilità per danni a terzi in superficie.
Si tratta di una disciplina particolare, dal momento che l’’operatore’ risponde dei danni causati indipendentemente dalla colpa o dal dolo. E’ una responsabilità ‘oggettiva’, e dunque l’operatore risponderà tutte le volte che il danneggiato provi appunto di aver subito un danno, e che questo sia collegato all’attività di volo del drone. L’operatore potrà liberarsi solo dimostrando -il che è molto difficile- che il danno sia dovuto esclusivamente alla negligenza del danneggiato stesso.
Ciò presuppone, naturalmente, che il drone sia identificato. Ricordiamo infatti, che, sulla base del Regolamento, i droni devono avere una ‘targhetta’, sia sul mezzo che sulla stazione radio.
Questa responsabilità, anche se oggettiva, non è però illimitata. L’operatore risponde solo fino all’ammontare delle somme previste come copertura assicurativa minima fissate dalla normativa comunitaria per la responsabilità verso i terzi (limiti individuati dal Regolamento CE 785/2004). I droni ‘professionali’, di fatto, devono essere obbligatoriamente assicurati, e il debito è limitato, in buona sostanza, al massimale minimo previsto dal Regolamento europeo.
Si tratta quindi di un regime ben diverso rispetto a quello del Codice Civile, in parte più favorevole.
Ben diversa è la disciplina dei droni utilizzati per fini ricreativi: in questo caso, a essi non si applica il Codice della Navigazione, ma il Codice civile.
Non vi sarà quindi alcuna limitazione del risarcimento, ovvero il ‘proprietario’ e il pilota risponderanno solidalmente e illimitatamente dei danni causati. E’ ancora discusso quale sia la norma applicabile: se cioè si tratti di una responsabilità per fatto illecito (ex art. 2043 del Codice Civile), che presuppone anche la prova del dolo e della colpa del soggetto agente, o se invece si possa applicare la responsabilità per danni da cosa in custodia (art. 2051), o da attività pericolosa (art. 2050), che invece presuppongono che sia il danneggiante a dover provare nella prima ipotesi il caso fortuito, e nella seconda di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
In realtà, il più delle volte si tratterà di un falso problema, perché probabilmente l’incidente sarà causato da un volo effettuato in violazione delle norme del Regolamento ENAC (e quindi vi sarà sempre – o quasi una colpa specifica, facilmente dimostrabile, dei soggetti coinvolti).
Un cenno, infine, alle responsabilità per trattamento illecito di dati personali (sia per i droni ‘professionali’ che per quelli ‘sportivi’): se si effettuano riprese in violazione delle norme del Codice della Privacy, l’art. 15 del Codice medesimo stabilisce che se ne risponda come se si trattasse di un’attività pericolosa, e rende risarcibili anche i danni non patrimoniali.
In conclusione, i droni sono un’innovazione formidabile, e hanno delle potenzialità entusiasmanti, a costi bassissimi rispetto a prima, ma vanno usati con le dovute cautele, da soggetti abilitati, rispettando le regole stabilite dall’ENAC (e le regole di comune prudenza), e adottando un’idonea copertura assicurativa.
Solo così potremo goderne appieno i vantaggi, in tutta sicurezza.