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Dormire con lo smartphone sul comodino fa male o no?

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Il mondo è pieno di leggende metropolitane. Ad esempio, che l’avocado conterrebbe troppo colesterolo. Falso, perché contiene del colesterolo buono. Oppure che il limone è il frutto più ricco di vitamine, soprattutto vitamina C. E per questo bisognerebbe berne delle caraffe. Falso, perché provocherebbe acidità di stomaco. E ancora, non bisogna mangiare le uova. Falso. Bisogna mangiarne il giusto quantitativo.

Un altro falso mito, che dormire con lo smartphone sul comodino faccia male. Potrebbe addirittura danneggiare il cervello. Falso.

Ma facciamo il punto su questo portatile che è diventato tanto insostituibile quanto insopportabile.

Un’invenzione sorprendente

Il cellulare funziona come le onde radio wireless. Il primo modello, il Motorola, apparve nel 1983. Ma era un macigno, pesava 800 grammi e richiedeva una carica di dieci ore per una chiamata di un’ora. Seguirono altri modelli; il primo cellulare touch è opera di IBM. Può effettuare telefonate, messaggi di testo, scattare foto, trovare indicazioni stradali, connettersi ai social network e offrire giochi. Funziona come una mini-radio grazie ad un’antenna che capta i segnali radio. La voce viene convertita in onde hertziane. È uno scambio di onde. Compaiono poi anche altre funzioni, come WiFi, Bluetooth e GPS.

Stanno emergendo informazioni false incredibili

Si sostiene, ad esempio, che si possa friggere un uovo mettendolo tra due telefoni o che il telefono possa trasformare il mais in popcorn. Queste sono solo bufale. Si afferma inoltre che le onde elettromagnetiche possono danneggiare il cervello ed essere associate al cancro al cervello. Tutte bufale, anche se ovviamente, come per qualunque altra cosa, l’uso intensivo, anche eccessivo dello smartphone può provocare emicranie, insonnia e compromettere la concentrazione. Ma detto questo non c’è alcuna evidenza scientifica dimostrata che lo smartphone sia dannoso per il cervello.

Bassa energia

Sono stati effettuati diversi test ed è stato dimostrato che queste onde radio emettono un’energia debole. Anche esponendo il cellulare a 40 cm dalla testa mentre dormi. Nessuno studio ha riscontrato alcun impatto sul cervello, così come per il WiFi. Ovviamente l’azione di queste onde non è completamente neutra. Causano il riscaldamento del tessuto della pelle e di altri organi del corpo, ma questo piccolo aumento di calore è trascurabile. Ciò si spiega con il fatto che il livello di energia emessa rimane basso e non provoca danni. D’altra parte, è vero che non c’è abbastanza storico per misurare un impatto sul cervello, perché il progresso del portatile è molto rapido. Basti pensare a quanto rapidamente siamo arrivati alla quinta generazione mobile del 5G.

Il problema nasce dall’abuso

Se usi il tuo cellulare tutto il giorno attaccato all’orecchio, può causare un’emicrania. Se passi la giornata sui social a scrollare sul micro display dello smartphone ti può venire mal di testa. E’ ovvio. Ma le conclusioni degli esperti sono chiare: dormire accanto al tuo cellulare non distrugge assolutamente i neuroni nel tuo cervello. Tra l’altro, perché parlare esclusivamente di queste onde, quando praticamente tutto il giorno altre onde come il GPS passano attraverso il nostro corpo senza alcun danno osservato? Certo, se passi il tuo tempo, tutto il tuo tempo sullo smartphone, è ovvio che tu possa subire dei danni di carattere cognitivo.

Utilizzo eccessivo

Di fatto, noi siamo diventati delle vittime di un abuso dovuto ad un utilizzo quotidiano eccessivo. Questo fenomeno è riscontrabile tutto il tempo intorno a noi. Gli adolescenti e i più giovani non vivono che attraverso il loro inevitabile strumento portatile.

Se inviti qualcuno a cena, lui a tavola continuerà a guardare lo smartphone mentre tu parli e fai il tuo monologo nel vuoto. E così siamo più vicini a chi vive lontano da noi rispetto a chi vive con noi e che magari siede a tavola con noi. Questo abuso ha delle conseguenze. Gli specialisti hanno constatato, soprattutto sui più giovani, problemi psicologici che portano addirittura alla depressione, all’ansia, e ad un cronico deficit di attenzione e concentrazione.

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