Alla faccia dei sondaggisti e dei media tradizionali, che hanno dimostrato una volta di più di vivere troppo spesso scollati dalla realtà che pretendono di raccontare, Donald Trump sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca. E mentre ancora il mondo fatica a metabolizzare la notizia, oltreoceano c’è chi, giustamente, comincia a fare i conti con quelle che potrebbero essere le conseguenze della vittoria del magnate, prevedendo, tra le altre cose, tempi duri per la net neutrality. Trump si è infatti schierato contro la linea fortemente sostenuta da Barack Obama, in base alla quale agli Isp viene fatto divieto di offrire servizi a pagamento per garantire trasmissioni prioritarie ai fornitori di contenuti, come ad esempio Netflix.
L’Open Internet Order, adottato dalla FCC nel febbraio 2015, riclassifica anche la banda larga come servizio pubblico – al pari dell’acqua, così come voluto da Barack Obama – e di porla, quindi, sotto il cosiddetto Title II, per garantire che il traffico sulla rete sia gestito in maniera da non discriminare nessuno, dando quindi alla FCC ampi poteri per regolare il settore. Stop quindi alle corsie preferenziali per consentire un trasporto più rapido dei pacchetti dati (in particolare video) quando la rete è congestionata dal traffico.
Forte oppositore dell’eccesso di regolamentazione – che costerebbe ogni anno agli Stati Uniti duemila miliardi di dollari –nel corso di questi lunghi mesi di campagna elettorale, Donald Trump non si è mai addentrato in quel che saranno le sue politiche in campo tecnologico. L’argomento net neutrality quindi non è stato toccato, a differenza di Hillary Clinton, da sempre schierata accanto a Obama in difesa della neutralità della rete, un tema molto caro soprattutto alle multinazionali del web come Netflix, Google e Facebook.
Ma se si vuole cogliere quale sia la propensione di Mr Trump, basta ricordare un tweet datato novembre 2014, in cui il neo presidente eletto definiva la posizione di Obama in difesa della net neutrality “un attacco a internet” e ancora un “rovesciamento del potere”.
In riferimento al poi abrogato provvedimento sulla ‘par condicio’ all’americana, per garantire a tutti i candidati lo stesso spazio in Tv (la cosiddetta ‘Fairness Doctrine’ abolita nel 1987) affermò che la net neutrality, avrebbe colpito “i media conservatori”.
Obama’s attack on the internet is another top down power grab. Net neutrality is the Fairness Doctrine. Will target conservative media.
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 12 novembre 2014
In nome dell’ormai consolidato spoil system, l’arrivo di Trump alla Casa Bianca implicherà un rimescolamento di carte anche in seno alla FCC – con la maggioranza dei 5 Commissari che andrà ai Repubblicani. Uno dei nomi più accreditati per la presidenza della Commissione è quello di Ajit Pai, uno dei più strenui oppositori dell’attuale presidente Tom Wheeler, nominato da Obama.
Tra gli oppositori di Wheeler c’è anche Jeffrey Eisenach, che Trump ha cooptato nel suo transition team come uomo di riferimento per le telecomunicazioni, secondo quanto riferito il mese scorso dal sito Politico. Eisanach, in una delle sue dichiarazioni pubbliche, oltre a ribadire l’opposizione al principio della net neutrality, ha sottolineato di aspettarsi da Trump la nomina alla FCC di qualcuno “incline a prendere una posizione meno propensa alla regolamentazione”.
Del resto, nota Endadget, “una delle poche politiche concrete proposte da Trump è una moratoria sulle nuove norme emanate dalle agenzie governative”.
L’intera industria hi-tech americana si era schierata – chi apertamente chi meno – con Hillary Clinton e Trump non si mai mostrato troppo tenero con i big del settore.
Dal Ceo di Apple Tim Cook – spesso criticato per l’eccessivo ricorso alla delocalizzazione – a quello di Amazon Jeff Bezos, accusato di aver comprato il Washington Post solo per influenzare la politica americana, Trump ha avuto una buona parola per molti dei grandi nomi della Silicon Valley.
Trump on Amazon: “If I become president, oh do they have problems. They’re going to have such problems”. • $AMZNhttps://t.co/208DgKJM8o
— CNBC Now (@CNBCnow) 26 febbraio 2016
“Se sarò eletto presidente”, diceva Trump in campagna elettorale, “chiederò ad Apple di cominciare a produrre il suoi dispositivi sul nostro territorio invece che in Cina. Che benefici abbiamo noi se tutti si fa laggiù”
Più controllo sul web?
In linea generale, Trump non ha mai fatto mistero del suo desiderio di instaurare un controllo più rigido sul web, sull’accesso e sui contenuti. Nel contesto della lotta al terrorismo ha indicato di voler “chiudere alcune parti di internet per impedire ai militanti dello Stato Islamico di fare presa sui nostri giovani più impressionabili”, ha detto Trump, che spera di poter contare sull’appoggio della Silicon Valley.
“Dobbiamo parlare con Bill Gates e tutti quelli che capiscono che sta succedendo”, ha spiegato, definendo “idioti” quelli che si opporranno in nome della libertà di espressione.
Collaborazione con le forze dell’ordine
Trump ha sempre chiesto una maggiore collaborazione tra i giganti del web e le forze dell’ordine. Non a caso, il neo presidente eletto ha invitato gli americano a boicottare Apple dopo il rifiuto della società di collaborare con l’FBI per sbloccare il cellulare di uno degli attentatori della strage di San Bernardino.