Pirateria e pubblicità continuano ad avere uno stretto e preoccupante legame. La maggior parte dei siti che offrono contenuti illegali usa, infatti, la pubblicità come fonte primaria di finanziamento.
L’argomento è spinoso ma svela che per colpire alla radice il problema, è proprio lì che bisogna intervenire. Come dicono gli esperti della materia, ‘follow the money’.
L’Italia lo sa bene. Non a caso nel nostro Paese, che anche quest’anno è fuori dalla lista nera degli Stati Uniti sulla pirateria grazie in particolare all’entrata in vigore del Regolamento Agcom sul diritto d’autore online, lo scorso anno è stato firmato un Memorandum of Understanding da IAB, FPM e FIMI con il dichiarato obiettivo di contrastare la pubblicità sui siti che offrono contenuti in spregio del copyright. Un mercato parallelo che vale 227 milioni di dollari.
Per capire quale sia l’entità del problema, basta dare uno sguardo al nuovo Rapporto presentato da Incopro – “Revenue sources for websites making available copyright content without consent in the EU” – secondo il quale l’88% dei siti pirata più popolari utilizza la pubblicità come fonte primaria di finanziamento.
Il rapporto ha analizzato i 250 siti web più importanti che vengono utilizzati in ciascuno dei cinque principali paesi dell’Unione Europea (Francia, Germania, Italia, Spagna, e Regno Unito) per ottenere contenuti coperti da copyright.
La maggior parte degli annunci pubblicitari (il 31,5%), viene classificata come “Trick Button” e malware. Il “Trick Button” o il malware solitamente non menzionano l’inserzionista nell’annuncio iniziale.
Invece questi annunci, spiega Incopro, “ingannano gli utenti a scaricare programmi indesiderati semplicemente cliccando link dannosi”.
Gli annunci inerenti siti, servizi e contenuti destinati ad un pubblico adulto rappresentano il 10,4% della pubblicità.
Simon Baggs, Managing Director di Incopro, spiega che “i guadagni ottenuti con la pubblicità rappresentano un incentivo economico per quei siti che offrono illegalmente contenuti protetti da copyright. Molto spesso, questa tipologia di pubblicità procura danni permanenti ai pc di quegli utenti che ingenuamente cliccano sul banner (ad es. promesse di contenuti extra per un pubblico adulto). Se i brand, le agenzie e le Autorità collaborassero insieme per interrompere il flusso degli introiti pubblicitari, si potrebbe ridurre la linfa vitale di questi siti”.
I siti pirata campano anche di donazioni
Il Report segnala poi che altre importanti fonti di guadagno per i siti pirata provengono dai pagamenti o dalle donazioni che gli utenti stessi inoltrano ai gestori dei vari portali attraverso i circuiti di pagamento.
Bitcoin è il terzo metodo di pagamento più popolare offerto sui siti pirata dopo Visa e Mastercard. Il rapporto, commissionato dalla Motion Picture Association (MPA), ha inoltre esaminato i principali intermediari pubblicitari che allocano gli annunci per conto di aziende e brand rispetto ai siti oggetto di studi.
Questi intermediari, si precisa, sono molto spesso i responsabili del lato creativo dell’annuncio e dell’effettivo posizionamento dello stesso sui siti. AdCash, PropellerAds/OnClickAds2, DirectREV, and Matomy Media Group si rivelano essere gli intermediari pubblicitari più rilevati.
La pubblicità dei siti di scommesse rappresenta circa il 18,1% degli annunci totali – la percentuale più elevata di qualsiasi settore tra tutti i paesi esaminati.
Il report di oggi segue un precedente studio Digital Citizen Alliance, ‘Good Money Gone Bad’, il quale ha messo in evidenza che, i siti web che violano il copyright, hanno ottenuto un profitto pubblicitario annuale di 227 milioni di dollari. I 30 siti maggiori che traggono profitto esclusivamente dalla pubblicità ottengono in media 4,4 milioni dollari l’anno, mentre BitTorrent e i principali portali P2P ottengono 6 milioni di dollari ogni anno.
Le industrie cinematografiche e televisive continuano a soddisfare la domanda dei consumatori per i contenuti digitali, ampliando la qualità e la quantità dei servizi e dei contenuti online legali, offrendo un’alternativa sicura ai siti pirata. Un recente rapporto KPMG ha rivelato che l’86% dei film, e dei contenuti televisivi, è ora disponibile su piattaforme digitali legali del Regno Unito.
Ma, come evidenzia Simon Baggs di Incopro, “Se i brand, le agenzie e le Autorità collaborassero insieme per interrompere il flusso degli introiti pubblicitari, si potrebbe ridurre la linfa vitale di questi siti”.