La vicenda dei diritti televisivi relativi ai prossimi tre campionati di serie A merita qualche riflessione, al di là della cronaca quotidiana.
Il fallimento del primo bando, avviato il 26 maggio e concluso nel giugno 2017, quasi un anno fa, aveva già detto molto, a chi avesse voluto capire. Le offerte, infatti, arrivarono a meno di 500 milioni, Mediaset non recapitò a Infront e Lega alcuna busta con una propria offerta. Allora, non c’era nessuna intesa Sky–Mediaset, TIM era in mano a Vivendi, che aveva già stracciato il contratto preliminare che l’avrebbe portata ad acquisire il 100% di Mediaset Premium. Era evidente che il “valore” del calcio non era quello stabilito a tavolino dai club – 1,2 miliardi.
Il valore è quanto sono disposti a pagare i diritti gli operatori, basandosi sui pacchetti offerti, e quanto sono disposti a pagare l’acquisto delle partite gli utenti. Così com’era evidente – già dalla convention di Mediaset a Londra, del gennaio 2017, per la presentazione del Piano industriale, quando si parlò di una Premium da “aprire” a nuovi soci o nuovi clienti e si ipotizzò, oltre a un approccio “razionale” sull’acquisto dei diritti, persino una Premium senza calcio, e dalla presentazione dei palinsesti del gruppo, nel luglio 2017, a Montecarlo – il fatto che il gruppo del Biscione si avviava al disinvestimento dalla tv a pagamento e dai diritti premium; i cui costi costituivano la voce di risparmio più consistente del Piano di sviluppo sino al 2020 presentato a Londra.
Non a caso, Mediaset aveva voluto cedere il 100% di Premium a Vivendi e quest’ultima aveva rinunciato al closing proprio a causa delle perdite della pay tv terrestre! Il core business di Mediaset tornava ad essere la tv in chiaro; meglio, la raccolta pubblicitaria. In un’intervista a Milano Finanza Marco Giordani, ad di Mediaset, aggiunge che “la decisione di uscire dalla pay tv risale a fine 2015, prima dell’accordo con Vivendi”. Eppure di questo cambio radicale di strategia, ad esempio, causato soprattutto dal costo dei diritti del calcio rispetto agli introiti degli abbonati, i club di serie A non hanno minimamente tenuto conto nello stabilire l’obiettivo della vendita dei diritti della serie A per il prossimo triennio.
Si è voluto fissare un obiettivo di 1,2 miliardi senza valutare le risorse declinanti del sistema televisivo, alle prese con un cambiamento epocale di fruizione del mezzo, così come delle perdite accumulate da Mediaset Premium dopo la fallimentare acquisizione per 600 milioni in tre anni della Champion’s League, oggi, non a caso, trasmessa per quanto riguarda le partite di maggior richiamo, sulle reti in chiaro del gruppo.
I diritti nel giugno 2017 non vengono assegnati, con offerte che non superano i 493 milioni, e si rinvia tutto a gennaio 2018. Quando si approvano due bandi, uno con i pacchetti sempre suddivisi per piattaforma più alcuni club in un pacchetto che dava l’esclusiva su tutte le piattaforme. L’altro per un intermediario finanziario, come lo si chiamava in quel momento. Le offerte arrivano a 762 milioni, poi, dopo la trattativa privata (nella quale Mediaset non si smuove dai 200 milioni offerti), salgono a 830 milioni, ma ai club non bastano. Nel secondo bando, due pacchetti, D1 e D2, contengono 61 e 69 partite in esclusiva nei confronti di tutti gli altri pacchetti.
La Lega non procede all’assegnazione e nasce, o si pensa che dovrebbe nascere, quella che il Corriere dello Sport chiama “la tv in stile Liga”, MediaPro arriva a offrire un miliardo, 50 milioni e mille euro, ritoccando la propria offerta inserita nella busta per gli intermediari indipendenti. Il 5 febbraio la Lega accetta l’offerta.
Sky presenta subito una diffida, ma i club vanno avanti, sicuri di avere l’ok dell’Autorità Antitrust. Quest’ultima, il 14 marzo, approva l’affidamento dei diritti al gruppo spagnolo (acquisito al 53,5% dal gruppo cinese Orient Hontai Capital, a febbraio), ma piantando dei robusti paletti attorno a MediaPro. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato fa presente, innanzitutto, che una eventuale modifica dei pacchetti dovrà avere il placet di Agcom e Antitrust. Occorre poi verificare “che l’intermediario indipendente non svolga alcuna attività che comporti l’assunzione di una responsabilità editoriale… tale da determinare l’assunzione di una diversa qualifica di operatore della comunicazione”. Inoltre, anche dopo l’assegnazione dei diritti, è “necessario assicurare che l’intermediario indipendente non avvii un’attività che comporti l’assunzione di una responsabilità editoriale”. Appare così “preclusa la creazione di un apposito Canale tematico, progetto che, secondo quanto riferito dalla Lega Nazionale Professionisti Serie A, è escluso dalle attività dell’assegnatario del diritto”. Il venerdì Santo, il 30 marzo, nel “ponte di Pasqua”, Sky e Mediaset annunciano il loro accordo, che cambia lo scenario della televisione nazionale e non solo di quella a pagamento: nove canali di Premium saranno – sono già – su Sky, che avvierà una piattaforma a pagamento sul terrestre su frequenze e tecnologie di Mediaset. MediaPro e i club decidono di andare avanti comunque ma, citando una vecchia canzone degli Stormy Six, “cominciano ad avere paura”.
Il 6 aprile MediaPro presenta il suo bando, dove non fissa un prezzo minimo: sarà indicato con una scrittura privata, ovviamente riservandosi di non assegnare i diritti in caso di offerte inferiori al prezzo minimo. MediaPro prevede la consegna di contenuti audiovisivi di 270 minuti, contenenti non solo la diretta della partita, ma interviste, approfondimenti in studio, break pubblicitari e tutta una serie di più che evidenti “assunzioni di responsabilità editoriale”, per citare l’Antitrust. Una contraddizione evidente, quella tra il bando e i paletti piantati dall’Autorità garante della concorrenza, tanto che verrebbe da chiedersi perché il gruppo spagnolo abbia voluto forzare così la mano. Il bando, tra l’altro, non prevede esclusive: si torna alla vendita per piattaforma. Vi sono poi, certo, una serie di pacchetti supplementari, da acquisire separatamente, per chi volesse personalizzare la trasmissione così come per i pubblici esercizi. Le offerte avrebbero dovuto pervenire entro la mezzanotte del 21 aprile, poi arriva il colpo di scena del giudice del Tribunale di Milano che sospende il bando di MediaPro su esposto di Sky, riservandosi di decidere nel merito con un’udienza fissata per il quattro di maggio. La Lega fissa un’assemblea per il 3 maggio, poi la rinvia in attesa della decisione del giudice milanese, mentre MediaPro non deposita la fideiussione da 1.2 miliardi che, secondo il contratto siglato con la Lega, avrebbe dovuto presentare il 26 aprile.
Ora c’è chi, come Il Sole 24 Ore, titola: “il caso MediaPro mette a rischio la cassa della serie A”. I tempi stringono, un nuovo bando dovrà comunque essere approvato preventivamente da Antitrust e Agcom, c’è l’incognita del Tribunale milanese, ci sono spaccature tra i club sulle decisioni da prendere. Eppure sarebbe bastato seguire gli eventi per evitare tanti errori fatti, pur di raggiungere un obiettivo che, forse, solo una diversa composizione dei pacchetti, con maggiori esclusive per gli operatori, poteva far avvicinare, se non raggiungere. Una cosa i club fanno finta di non capire: MediaPro, come intermediario, non può fare il canale Lega con i club: lo dicono chiaro l’Antitrust e anche la legge Melandri. Eppure i club avevano ricevuto una proposta per fare un canale diretto, con tanto di finanziamenti acclusi, ma l’hanno accantonato.
La commedia dei diritti del calcio rischia di trasformarsi in un dramma: a questo punto, gli attori protagonisti dovrebbero pensare a cambiare almeno i suggeritori.