Mediaset non sotterra l’ascia di guerra nei confronti di Vivendi, anzi rincara la dose nei confronti di Vincent Bollorè, con una nuova causa legale dopo la scalata, definita ostile, che lo scorso mese di dicembre ha portato il gruppo francese alla soglia dell’obbligo di Opa poco al di sotto del 30%. L’annuncio è arrivato oggi in occasione dell’assemblea del gruppo: “Poche settimane fa abbiamo nuovamente citato in tribunale Vivendi per violazione contrattuale, concorrenza sleale e violazione della legge sul pluralismo televisivo”, ha detto il presidente Mediaset Fedele Confalonieri, ricordando come l’alleanza dovesse essere “qualcosa di molto positivo ed è diventata un condizionamento pesante al nostro sviluppo”.
Mediaset chiede di ordinare a Vivendi la dismissione della partecipazione da effettuare inoltre in modo da non alterare l’andamento del titolo in Borsa. “La prima causa era legata alla rottura del contratto, questa seconda è conseguenza di ciò che è avvenuto dopo – ha commentato l’amministratore delegato di Mediaset Pier Silvio Berlusconi – Ci tengo a precisare che non andiamo sul risarcimento danni ma vogliamo l’esecuzione del contratto”. “Si vis pacem, para bellum”, ha concluso il presidente Confalonieri.
Scontro permanente con Vivendi
Insomma, nessuna mediazione all’orizzonte. Tanto più che Vivendi ha disertato l’assemblea di oggi, convocata per approvare il bilancio 2016, nominare il collegio sindacale, dare il via libera al piano di acquisto di azioni proprie fino al 10% e alla relazione sulla remunerazione e nominare la società di revisione.
In assemblea, dunque, presenti 428 azionisti, per il 51,68% del capitale. Dalla lettura del libro soci è stato confermato che Silvio Berlusconi tramite Fininvest detiene il 39,5% della società e Vivendi il 28,8%. Mediaset detiene il 3,79% di capitale proprio.
Il 2016 per Mediaset “è stato un anno difficile”, ha esordito il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, con una “crisi grave”, ma “siamo riusciti a circoscrivere l’impatto negativo dell’aggressione” di Vivendi, salita al 29,9% dei diritti di voto del gruppo televisivo.
Di “attacco al cuore di Mediaset”, ha parlato il presidente, spiegando che “la rottura dell’accordo con Vivendi ha segnato in modo profondo il 2016 e distrutto il valore potenziale dell’aggregazione tra i due gruppi”. “Siamo davanti a un take over ostile”.
Diritti Serie A
Per quanto riguarda il futuro, il gruppo di Cologno Monzese ha fatto sapere che in autunno Premium farà un’offerta per la Serie A. “In autunno è prevista una nuova asta per i diritti tv della serie A, noi parteciperemo con l’obiettivo di ottenere la migliore offerta televisiva calcistica per i tifosi italiani”, ha aggiunto Confalonieri. Non era scontato, soprattutto dopo che Premium aveva disertato la prima gara flop per i diritti della Serie A.
Sul fronte dei diritti Tv, da tener presente l’apertura di ieri da parte dell’amministratore delegato di Tim Flavio Cattaneo ad una possibile alleanza con Mediaset per la Serie A. Se sono rose fioriranno, a patto che la querelle con Vivendi assuma toni meno aspri.
Le critiche del fondo Amber Capital
Intanto, il fondo Amber Capital, che detiene il 2,5% del capitale di Mediaset ha detto che l’attuale management non è più adeguato a gestire le nuove sfide della Tv digitale, criticando anche l’avventura nella pay Tv. Il fondo annuncia che voterà comunque a favore del rinnovo del piano di buyback.
“Siamo azionisti di Mediaset da diversi anni, ma crediamo che l’attuale gestione sia deficitaria. Mediaset emerge come un’azienda vecchia, con tanto personale dove il numero dei dipendenti è triplo rispetto alla Spagna, con un’età elevata e un costo superiore a quello dei principali competitor”, ha detto in assemblea Arturo Albano, uno dei rappresentanti del fondo in Italia.
“E’ necessario ridurre anche i costi del Cda, costato oltre 62 milioni di euro negli ultimi quattro anni a fronte di risultati quanto meno deludenti”, ha aggiunto, che giudica peraltro negativamente l’ingresso nella pay tv. “Riteniamo che l’attuale management non sia adeguato a seguire il nuovo scenario. Manca assolutamente il ricambio negli ultimi anni, c’è una mentalità di una società che è convinta di essere ancora negli anni ’80 e ’90. La società non può essere ancorata allo stesso modello di business di 30-40 anni fa”. Per questo il rappresentente del fondo chiede al gruppo di “valutare aggregazioni e partnership strategiche rispetto a quelle di Studio 71”.