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Nuovo direttore Fbi, Russiagate, Zaghba, Angela Merkel a Buenos Aires, Operazione Popular, Spionaggio informatico, Vivendi

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Usa, il presidente Trump ha nominato il nuovo direttore dell’Fbi

08 giu 11:21 – (Agenzia Nova) – Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha selezionato il successore di James Comey alla guida del Federal Bureau of Investigation (Fbi). La scelta del presidente e’ caduta su Christopher A. Wray, avvocato penalista che Trump ha definito ieri una figura “dalle credenziali impeccabili”. Quella di Wray, in effetti, appare una scelta di orientamento tradizionale. L’avvocato, partner dello studio legale King & Spalding, ha guidato la divisione per i reati penali del dipartimento di Giustizia Usa durante l’amministrazione di George W. Bush, tra il 2003 e il 2005. In quegli anni, secondo una biografia consultabile sul sito del suo studio legale, “ha assistito gli sforzi del dipartimento per far fronte agli scandali delle frodi aziendali e ristabilire l’integrita’ dei mercati finanziari statunitensi”. Piu’ di recente e’ stato ingaggiato come legale dal governatore repubblicano dello stato del New Jersey, Chris Christie. Ha anche rappresentato Credit Swisse Ag in un caso per evasione fiscale che si e’ chiuso con un patteggiamento tra la banca svizzera e le autorita’ Usa, e una penale per la prima di 2,6 miliardi di dollari. Il “New York Times” esprime un giudizio generalmente positivo in merito alla nomina operata da Trump: quella di Wray e’ “una scelta sicura e tradizionale, da parte di un presidente che in alcuni momenti ha pensato di nominare un politico a direttore dell’FBI, un incarico che storicamente viene riservato a persone che con la politica non hanno a che fare. Wray probabilmente tranquillizzera’ gli agenti dell’FBI che temevano che Trump volesse indebolire o politicizzare l’agenzia”. Chi conosce l’avvocato, scrive il quotidiano, lo descrive come una figura riservata e di basso profilo, ma di solidi principi. Piu’ dubbiosa la “Washington Post”, che invece sottolinea come la nomina di Wray verra’ sottoposta a un intenso scrutinio da parte del Senato, date le circostanze che hanno portato al licenziamento dell’ex direttore dell’Fbi, James Comey, chiamato proprio oggi a testimoniare di fronte alla camera alta in merito alle presunte pressioni del presidente Trump sul caso “Russiagate”. Non e’ chiaro, sottolinea il quotidiano, quanto tempo potra’ richiederle al Senato la conferma di Wray a capo dell’Fbi. il senatore Charles E. Grassley, che presiede la commissione Giustizia del Senato, ha dichiarato che la valutazione della nomina iniziera’ quanto il Senato avra’ ricevuto una notifica formale, passaggio che potrebbe richiedere alcune settimane.

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Usa, occhi puntati sulla testimonianza dell’ex direttore dell’Fbi al Senato

08 giu 11:21 – (Agenzia Nova) – L’ex direttore del Federal Bureau of Investigation statunitense (Fbi) testimoniera’ questa mattina di fronte alla commissione Intelligence del Senato e ai media nazionali, ansiosi di carpire nuovi dettagli in merito allo scandalo delle presunte relazioni tra l’amministrazione presidenziale Trump e la Russia. Comey, licenziato a sorpresa dal presidente all’inizio del mese scorso, ha scelto ieri di anticipare la deposizione e le domande dei senatori con un documento di sette pagine in cui illustra la sua ricostruzione delle interazioni con il presidente Trump. Nel documento, Comey afferma che Trump gli chiese piu’ volte e con insistenza di assicurargli la sua “lealta’”: una richiesta cui Comey afferma di non aver mai replicato affermativamente, limitandosi a garantire “onesta’”. Comey conferma di aver intrattenuto nove conversazioni private con il presidente sin dall’arrivo di Trump alla Casa bianca, e di aver trascritto resoconti di ognuna di queste conversazioni: una pratica che l’ex funzionario precisa di non aver intrapreso, invece, durante la presidenza Obama. Dal documento emerge anche la conferma di quanto dichiarato da Trump nelle scorse settimane: Comey rassicuro’ effettivamente il presidente, in privato e in almeno tre occasioni, che questi non era personalmente oggetto di indagini da parte dell’Fbi; ma avrebbe rifiutato di dichiararlo pubblicamente, perche’ – scrive l’ex direttore dell’Fbi nel documento pubblicato ieri – “cio’ avrebbe comportato il dovere di rettificare” nel caso le indagini avessero successivamente coinvolto anche l’inquilino della Casa bianca. Le “pressioni” imputate a Trump nelle ultime settimane riguardano, a giudicare dal documento, proprio questo particolare punto: Trump avrebbe chiesto a Comey di confermare pubblicamente che non era personalmente oggetto di indagini, cosi’ da “sollevare la nube” delle accuse non circostanziate che da mesi paralizza l’attivita’ di governo dell’amministrazione presidenziale. Comey pero’ respinse la richiesta, facendosi scudo dello “status tradizionalmente indipendente dell’Fbi dall’Esecutivo”. “Bloomberg” sottolinea la scaltrezza di Comey: non ha smentito pubblicamente le accuse mosse a Trump nei mesi scorsi, quando sarebbe davvero stato utile a dare ossigeno alla Casa bianca; e lo ha fatto invece solo ora, ventilando pero’ l’ipotesi, non confermata ne’ confermabile, che nel frattempo il presidente stesso possa essere divenuto oggetto delle indagini dell’Fbi. Il “New York Times” e la “Washington Post” puntano l’indice contro il presidente: dalle anticipazioni pubblicate da Comey, sostiene la “Washington Post”, emerge “la figura di un presidente ossessionato dalla lealta’” che con le sue pressioni “pose il direttore dell’Fbi in una posizione di estremo disagio nell’arco di nove differenti conversazioni private”. Secondo il quotidiano, le ricostruzioni di Comey avvalorano l’ipotesi che Trump possa aver tentato di “ostruire la giustizia” in merito ai presunti contatti tra membri della sua campagna elettorale e la Russia. Di tutt’altro avviso il “Wall Street Journal”, che in un editoriale non firmato, attribuibile alla direzione, critica duramente l’ex direttore dell’Fbi: il documento con cui Comey ha scelto di anticipare la sua testimonianza “esibisce esattamente le ragioni per cui meritava di essere licenziato”. “Anziche’ documentare un qualsivoglia abuso da parte del presidente Trump – sostiene l’editoriale – la deposizione introduttiva di Comey rivela un grave fraintendimento del ruolo e dei vincoli delle attivita’ di pubblica sicurezza in un contesto democratico”. Il peggio che si possa imputare a Trump dopo la lettura del documento, sostiene l’editoriale, e’ che il presidente sia un narcisista ingenuo, convinto di poter ammaliare uno dei piu’ abili combattenti politici all’arma bianca della moderna storia americana (Comey, appunto)”. Il “Wall street Journal” contesta in particolare a Comey la sua rivendicazione di indipendenza dalla Casa bianca: si tratta, secondo il quotidiano, di una visione distorta e dannosa del ruolo della agenzie di sicurezza nel paese: Comey “sta essenzialmente descrivendo la figura di un direttore dell’Fbi del tutto autoreferenziale. Tuttavia, i poteri di polizia del governo sono enormi e spesso oggetto di abusi, e l’unico modo di prevenirli e’ di rispondere personalmente agli ufficiali eletti dai cittadini”.

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Zaghba, su “The Times” critiche per la mancanza di dettagli nelle informazioni condivise dall’Italia

08 giu 11:21 – (Agenzia Nova) – Il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato, che ha coordinato le indagini italiane su Youssef Zaghba, uno dei tre attentatori del London Bridge, ha dichiarato che al Regno Unito e’ stato comunicato per iscritto l’anno scorso del pericolo costituito dal giovane, che infatti in Italia era sotto sorveglianza. Parlando col quotidiano “The Guardian”, il magistrato ha detto che le informazioni sul rischio erano state condivise con le autorita’ britanniche dopo il tentativo del ragazzo, nel marzo del 2016, di raggiungere la Siria per unirsi all’Isis. Il nome dell’italo-marocchino era stato inserito in un database europeo, il Sis (Schengen information system), comprendente i sospetti estremisti, un centinaio dei quali italiani, ma l’allarme non e’ stato raccolto: Scotland Yard ha ammesso che “non era un soggetto di interesse della polizia o dell’MI5”. Amato ha precisato di aver visto il rapporto inviato a Londra dal responsabile dell’antiterrorismo di Bologna: “Abbiamo fatto del nostro meglio. Potevamo solo monitorarlo e sorvegliarlo e inviare una nota alle autorita’ britanniche, e’ tutto cio’ che potevamo fare. E l’abbiamo fatto. Da quando si e’ trasferito a Londra, e’ tornato in Italia di tanto in tanto per un totale di dieci giorni. E durante quei dieci giorni non lo abbiamo mai perso di vista (…) Era sicuramente nella lista dei sospetti terroristi e quella lista poteva essere letta dai britannici”, ha detto. Amato ha poi concluso: “Non sto attribuendo colpe a nessuno. Non conosco i dettagli delle indagini in corso a Londra. Posso solo dire che da parte italiana e’ stato fatto tutto il possibile. Lo abbiamo monitorato mentre era qui e i nostri funzionari hanno allertato le autorita’ britanniche”. Su “The Times” la versione dei funzionari britannici: secondo fonti del giornale, le autorita’ italiane non hanno fornito tutti i dettagli al Sis riguardo al tentativo di Zaghba di unirsi allo Stato islamico. Quando il giovane e’ stato fermato all’aeroporto londinese di Stanstead, a gennaio, nell’allerta del Sis i funzionari di frontiera non hanno letto che voleva diventare un terrorista, ma solo informazioni sul suo coinvolgimento in questioni penali. I funzionari britannici, secondo la ricostruzione del “Times”, hanno espresso frustrazione per aver ricevuto comunicazioni contrastanti; gli italiani hanno detto di aver inserito informazioni anche in un secondo database; non e’ chiaro quali particolari siano stati forniti. Per Alex Carlile of Berriew, membro della Camera dei Lord e del Consiglio della Regina, esperto di norme antiterrorismo, sembrerebbe che l’Italia non abbia condiviso adeguatamente le informazioni: “Se le autorita’ italiane consideravano quest’uomo un terrorista, e’ scioccante che non l’abbiano detto nella documentazione di intelligence fornita”.

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Argentina, Angel Merkel a Buenos Aires: Macri riceve “l’Europa”

08 giu 11:21 – (Agenzia Nova) – Per la centralita’ che occupa in Europa e per la posizione privilegiata nel mondo, nel governo argentino c’e’ una altissima aspettativa per la visita che la cancelliera tedesca Angela Merkel compie da oggi in Argentina. Una visita che alla Casa Rosada viene paragonata a quella che fece lo scorso anno l’ex presidente usa Barack Obama, scrive il quotidiano “La Nacion”. La missione servira’ a rilanciare la relazione bilaterale, ma soprattutto a preparare la transizione della presidenza del G20, che da luglio passera’ nelle mani di Mauricio Macri. L’importanza della visita e’ tale che il capo di Stato ha chiesto a tutti i ministri di presenziare a tutti gli appuntamenti in agenda: colazione d’affari con esponenti della camera di commercio tedesco-argentina, inaugurazione dell’organo Walker nella sinagoga capitolina (restaurato con fondi messi a disposizione da Berlino), bilaterale alla Casa Rosada, visita al Polo tecnologico e al Parco della memoria a Buenos Aires, cena d’onore. Lo staff di Macri fa sapere che si chiedera’ a Merkel di appoggiare la richiesta dell’Argentina di entrare a far parte dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), mossa chiave per un governo che fa del reinserimento nelle relazioni internazionali un forte elemento distintivo rispetto ai governi di Cristina Kirchner. La rilevanza dell’evento e’ sottolineata anche dal quotidiano “Clarin”: in dodici anni di mandato, la Cancelliera non era mai stata a Buenos Aires, pur essendo stata tre volte in Brasile, oltre che in Peru’ e Colombia. Di piu’, fonti del governo segnalano che negli ultimi due mesi Macri ha messo in fila incontri con cinque dei sette paesi piu’ industrializzati del mondo. “Angela Merkel e’ una delle donne piu’ potenti del mondo”, segnala alla testata uno dei funzionari che hanno partecipato alle riunioni preparatorie. “Lei e’ l’Europa. Oggi, quando uno vuole trattare con il Parlamento europeo, deve passare prima da Berlino”. Lasciata Buenos Aires, la cancelliera andra’ in Messico.

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Spagna, operazione Popular: il primo intervento dell’Europa, le differenze col Monte Paschi

08 giu 11:21 – (Agenzia Nova) – Con la vendita della banca Popular al Santander, la Spagna ha “il discutibile” onore di aver inaugurato il Single Resolution Mechanism, lo strumento che l’Europa ha previsto per rimettere in carreggiata gli istituti di credito in via di fallimento. Svelando ad un tempo alcune falle nel sistema di controllo del settore finanziario e la minore capacita’ di farsi valere in Europa rispetto a paesi come l’Italia. I media spagnoli esaminano a fondo la dinamica che ha portato alla cessione del sesto istituto di credito nazionale al prezzo di un solo euro. La situazione e’ precipitata martedi’, ricostruisce “El Pais”. La banca, braccio finanziario dell’Opus Dei, si trova improvvisamente senza liquidita’ per soddisfare le richieste dei clienti e senza la possibilita’ di chiedere l’aiuto d’emergenza alla Banca centrale spagnola: mancano gli asset in grado di avallare la richiesta di credito. Se i risparmiatori fossero andati agli sportelli ci sarebbero stati “problemi di ordine pubblico”, avvertivano fonti del governo. Ricevute le informazioni, la Banca centrale europea – attraverso il supervisore unico del settore – certifica di notte e all’unanimita’ che il Popular e’ sulla via dell’insolvenza e con il via libera della Commissione europea se ne incarica la vendita alle autorita’ di Madrid. La strada e’ segnata: il debito non garantito si trasforma in azioni, si unisce al resto dei titoli in circolazione e il tutto viene venduto al Santander per un solo euro. La banca e’ sciolta, si applica una penalita’ agli azionisti e ai titolari di obbligazioni, salvando i correntisti e senza che il contribuente metta un solo euro. Tutto bene, dunque? Il Popular, osserva la testata, era arrivato ad essere un soggetto “potente” nel settore imprenditoriale, e ha chiuso. Il Monte de Paschi e’ ancora in piedi, “appoggiato alle stampelle di aiuti pubblici milionari, accompagnato da una miriade di funzionari italiani nelle istituzioni” comunitarie. La Spagna non ha uomini di peso a Bruxelles e Francoforte e il governo ha per questo “scartato l’ipotesi di cercare una soluzione attraverso il denaro pubblico”. “Per come sta il settore bancario italiano o quello cipriota, e’ incredibile che la Spagna” abbia inaugurato il meccanismo di risoluzione europeo, fa eco il quotidiano “El Mundo”. Ma l’intera operazione svela anche altri problemi. Il Popular aveva superato con una certa agilita’ lo stress test effettuato lo scorso anno dalla Banca centrale europea, ricorda ancora “El Mundo”, e il fallimento di un istituto di medio-grandi proporzioni, a soli cinque anni dall’arrivo in Spagna di una pioggia di milioni europea, dimostra che la decantata stabilita’ del settore finanziario nazionale non e’ cosi’ sicura. E che sullo stesso “racconto” di un’economia capace di grandi prestazioni, si svelano alcune crepe, insiste “El Pais”.

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Regno Unito, l’Ocse prevede un rallentamento dell’economia nel 2018 per la prospettiva di una Brexit “dura”

08 giu 11:21 – (Agenzia Nova) – L’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, riferisce il “Financial Times”, nel suo ultimo outlook semestrale, prevede che l’economia del Regno Unito rallentera’ l’anno prossimo, a causa della prospettiva di una Brexit “dura”, ovvero dell’uscita dal mercato unico oltre che dall’Unione Europea. Inoltre, invoca un aumento dell’indebitamento pubblico e degli investimenti nelle infrastrutture. Il rapporto e’ in discontinuita’ rispetto ai precedenti, che hanno sostenuto le politiche di austerita’ di Londra. Per il 2017 le previsioni di crescita sono state riviste al rialzo, dall’1,2 per cento di novembre all’1,6. Nel 2018, invece, l’espansione britannica dovrebbe fermarsi all’uno per cento; solo l’Italia tra i paesi del G7 dovrebbe fare peggio. Il quadro, piuttosto cupo, deriva in parte dall’assunto che la Gran Bretagna lascera’ l’Ue senza un accordo commerciale ad ampio raggio: secondo l’Ocse, l’incertezza, e la probabilita’ di un esito negativo, stanno gia’ incidendo sulla spesa, in particolare sugli investimenti. I consumi delle famiglie risentiranno dell’indebolimento del mercato del lavoro e dell’impatto dell’inflazione sui salari reali. Gli ultimi dati, sottolinea l’economista capo dell’Organizzazione, Catherine Mann, sono modesti e la sterlina debole pesera’ sul potere d’acquisto dei consumatori; la svalutazione non sta aiutando neanche le esportazioni, che continuano a calare. Pertanto, conclude l’Ocse, il governo dovrebbe aumentare la spesa in conto capitale, invece di preoccuparsi del pareggio di bilancio: dovrebbero essere prese in considerazione ulteriori iniziative fiscali per espandere gli investimenti, al fine di sostenere la domanda a breve termine e l’offerta a piu’ lungo termine.

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Francia, il governo vuol far entrare lo stato di emergenza anti-terrorismo nel diritto comune

08 giu 11:21 – (Agenzia Nova) – L’esecutivo del nuovo presidente francese Emmanuel Macron si prepara a spingere il pedale sulla pubblica sicurezza ed il governo diretto dal premier Edouard Philippe ha messo a punto un nuovo disegno di legge che in sostanza traspone nel diritto comune le misure piu’ emblematiche dello stato di emergenza: lo scrive il quotidiano progressista “Le Monde” commentando il testo sottoposto ieri mercoledi’ 7 giugno al Consiglio della difesa. Il “marchio di fabbrica” della nuova legge “per il rafforzamento della lotta contro il terrorismo e per la sicurezza interna, scrive con una certa preoccupazione l’analista del “Monde” Jean-Baptiste Jacquin, e’ che l’autorita’ giudiziaria viene messa da parte: arresti domiciliari, perquisizioni, braccialetto elettronico ai sospetti, chiusura dei luoghi di culto, creazione di “zone rosse”, potranno essere disposti dai prefetti e dalle autorita’ di polizia senza che la magistratura ci metta becco. Si tratta di misure introdotte in Francia nel 1957 durante la guerra d’Algeria e successivamente perfezionate fino alla proclamazione dello stato di emergenza immediatamente dopo le stragi di Parigi del 13 novembre 2015 e da allora tuttora in vigore; l’unico controllo giurisdizionale avverra’ attraverso i tribunali amministrativi ed il Consiglio di Stato. Del resto, fa notare il “Monde” il testo e’ stato preparato dal ministero degli Interni ed alla sua stesura non sembra affatto aver contribuito quello della Giustizia. Il progetto di legge, che contiene anche una serie di misure che vanno a rafforzare i poteri di intervento dei servizi segreti soprattutto in materia di sorveglianza delle comunicazioni, potrebbe essere presentato in Consiglio dei ministri il 21 giugno prossimo, dopo le elezioni parlamentari dell’11 e 18 di questo mese.

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Germania, aziende tedesche bersaglio dello spionaggio informatico

08 giu 11:21 – (Agenzia Nova) – Le autorita’ di sicurezza in Germania tornano a lanciare l’allarme per lo scarso livello di protezione delle medie imprese contro potenziali attacchi degli hacker, e e mettono in guardia dal rischio dello spionaggio industriale da parte dei servizi segreti stranieri. “Le piccole e medie imprese non sono sempre sufficientemente consapevoli del fatto che non solo i concorrenti, ma anche i servizi segreti stranieri sono interessati ai loro brevetti e alle strategie di business”, ha dichiarato il presidente dell’Ufficio federale della protezione della Costituzione, Hans-Georg Maassen, alla “Frankfurter Allgemeine Zeitung”. Gli attacchi informatici al settore privato, h ricordato il funzionario, causano gia’ danni nell’ordine di decine di miliardi di euro. L’Ufficio federale per la Sicurezza Informatica (Bsi) reputa critica la situazione per le piccole imprese che hanno investito troppo poco nella sicurezza dei propri sistemi IT. Le autorita’ competenti e le associazioni del settore sono impegnate ad aumentare la consapevolezza nel settore delle pmi e di elaborare strategie comuni sotto la pressione di attacchi informatici costanti. La Protezione della Costituzione ha stabilito insieme al Bsi e ai servizi segreti federali, oltre ad alcune associazioni imprenditoriali, un’iniziativa per la protezione dell’industria. “L’iniziativa e’ un approccio positivo, ma le autorita’ dovrebbero essere molto piu’ comunicative con l’economia”, commenta a questo proposito Michael Blue Moser, ad di Sius Consulting a Berlino. La sua azienda fornisce consulenza per la sicurezza e la gestione delle crisi. “Molte delle vittime non parlano a causa del rischio di danno d’immagine, o non sono nemmeno consapevoli di essere state bersaglio di un attacco”, spiega Moser. “Il danno e’ sull’ordine dei 50 miliardi l’anno”. Senza una comunicazione franca tra imprenditori e dirigenti aziendali, pero’, gli stessi attacchi possono danneggiare diverse societa’, e quindi l’economia tedesca. Attacchi in rete avvengono da parte di Cina, Russia e Iran, ma anche da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Israele. “Molte aziende investono pesantemente in sviluppo di nuovi prodotti e la qualificazione dei propri dipendenti. Ma spesso il tutto svanisce di fronte all’incapacita’ di proteggere il know-how che ogni azienda ha sviluppato”, afferma Maassen. Quasi un terzo delle aziende tedesche di medie dimensioni che hanno partecipato ad un sondaggio nel 2014 hanno denunciato di aver subito danni a causa di attacchi informatici.

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Germania, ministro Esteri Gabriel incontra omologo saudita: “Evitare una escalation”

08 giu 11:21 – (Agenzia Nova) – Il ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel (Spd), ha incontrato incontrato mercoledi’ a Berlino con il suo omologo saudita, Adel al Jubeir. L’argomento inevitabilmente al centro del colloquio e’ stata la crisi diplomatica in corso nel Mondo arabo, con la decisione di Riad e di diversi altri paesi arabi sunniti di isolare il Qatar. A margine del confronto, Gabriel ha dichiarato: “Siamo tutti interessati a che non ci sia un’ulteriore escalation”. La Regione mediorientale, ha sottolineato Gabriel, e’ gia’ nel caos a causa dello Stato islamico, e un’ulteriore crisi renderebbe il quadro generale del tutto ingestibile: “Abbiamo un grande interesse a che la coalizione che combatte l’Isis resti compatta, e per questa ragione ci adopereremo per la convivenza pacifica tra gli stati del Golfo”. Gabriel ha offerto la mediazione di Berlino per placare la crisi tra le monarchie del Golfo. La Germania, ha detto il ministro, fara’ la sua parte per ristabilire un clima di fiducia. “Sosterremo qualunque misura contribuisca a una de-escalation”, ha dichiarato. Gabriel si e’ detto al contempo “molto soddisfatto” degli sforzi descrittigli da al Jubeir, ad esempio con l’emiro del Kuwait, per riunire le diverse parti e negoziare una soluzione. Il ministro saudita ha riferito di aver spiegato a Gabriel le ragioni dell’Arabia Saudita, ed ha elogiato il dialogo tra i due paesi in materia di sicurezza. L’Arabia Saudita e Bahrain, Egitto e Emirati Arabi Uniti hanno troncato le relazioni diplomatiche con il Qatar lunedi’ scorso, accusandolo di sostenere il terrorismo e contribuire alla destabilizzazione regionale.

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Italia, Vivendi non intende mollare la presa su Mediaset

08 giu 11:21 – (Agenzia Nova) – Aldiqua’ delle Alpi il gruppo multimediale francese mostra chiaramente la sua preferenza per Telecom Italia, ma non intende affatto mollare la presa su Mediaset: lo scrive il quotidiano economico francese “La Tribune”. Il gruppo di Vincent Bollore’ sembra deciso a contrattaccare per rispondere alla decisione dell’Autorita’ italiana per le comunicazioni (AgCom) che alla meta’ dello scorso mese di aprile gli aveva messo il bastone tra le ruote imponendogli di scegliere tra la sua partecipazione nel capitale dell’ex monopolista telefonico, di cui e’ l’azionista di controllo con circa il 24 per cento delle azioni, oppure quella nel gruppo televisivo della famiglia Berlusconi di cui e’ il secondo azionista con circa il 39 per cento delle azioni e quasi il 30 per cento dei diritti di voto: per l’AgCom, Vivendi non puo’ detenere partecipazioni cosi’ importanti sia nelle telecomunicazioni che nei media e quindi deve fare una scelta entro la fine dell’anno. Ma Bollore’ non la pensa affatto cosi’ e ha annunciato che congelera’ provvisoriamente al 10 per cento i suoi diritti di voto in Mediaset, ma che contemporaneamente sta preparando un appello contro la decisione dell’AgCom. Vivendi in sostanza, dopo aver rafforzato la sua presa su Telecom Italia piazzandone alla presidenza il proprio rappresentante Arnaud de Puyfontaine, rifiuta categoricamente di mollare la presa su Mediaset. Se pero’ dovesse davvero essere costretto a scegliere, il gruppo di Bollore’ senza alcun dubbio privilegera’ Telecom Italia: non soltanto uscirne adesso comporterebbe una minusvalenza considerevole, spiega alla “Tribune” l’analista Ste’phane Beyazian dello studio Raymond James, ma le azioni dell’operatore telefonico italiano “hanno un potenziale di aumento importante” legato alla “riduzione dei costi”, alla possibile “vendita di partecipazioni”, alle “opzioni di acquisto ed alle acquisizioni”.

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