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Direttiva Copyright, la Siae ‘fa pace’ con Soundreef e attacca gli OTT: ‘La vostra è una non libertà’

Il presidente della Siae Mogol durante il convegno sul diritto d'autore, Roma, 28 novembre 2018. ANSA/ANGELO CARCONI

È un coro unanime – o quasi – quello che si leva a sostegno della “Direttiva Europea sul Copyright” dal mondo delle associazioni internazionali che rappresentano gli autori, gli editori e i produttori di tutti i settori creativi di tutta Europa, che negli scorsi giorni hanno firmato una “lettera aperta” rivolta al Consiglio e al Parlamento Europeo per l’approvazione del nuovo testo in tempi rapidi.

La lettera è firmata da oltre 200 associazioni, che rappresentano un settore che vale (secondo alcune stime) circa 536 miliardi di euro all’anno e dà lavoro a più di 12 milioni di persone in tutta Europa.

A livello italiano, sono state 19 le associazioni che hanno firmato l’appello rivolto agli europarlamentari italiani a favore di un convinto “si” alla Direttiva Europea sul Copyright, sulla quale dovrà esprimersi con un voto chiaro il Parlamento Europeo riunito in plenaria (vedi l’articolo di Fabio Fabbri, su “Key4biz” di ieri 13 marzo 2019, “Direttiva Copyright: appello dell’industria creativa italiana, “approvatela”).

Interessante osservare che hanno firmato, sul fronte industriale, sia Confindustria Radio Tv (alla quale aderiscono soggetti come Rai e Mediaset e La7) sia Confindustria Cultura (alla quale aderiscono le imprese di settori come i videogames ovvero Aesvi, i fotografici dell’Afi e della Fimi e della Pmi, gli editori dell’Aie e dell’Univideo), ma va segnalato che stranamente non hanno aderito all’appello associazioni come Anica, Apa (l’ex Apt), Agis, Impresa Cultura Italia (Confcommercio): perché?!

Dopo un intenso confronto nelle scorse settimane sui dibattuti articoli 11 e 13, si è infatti conclusa la discussione del cosiddetto “Trilogo” sulla Proposta di Direttiva Europea sul Copyright (che era stata approvata dal Parlamento il 12 settembre 2018), con il raggiungimento di un accordo condiviso tra Commissione, Consiglio e Parlamento.

L’intesa nel “Trilogo” rappresenta una fase fondamentale nell’iter legislativo per l’adozione del testo finale, adesso modificato rispetto alla versione dello scorso settembre. Dopo l’approvazione da parte del Consiglio, si attende adesso il voto del Parlamento, riunito in seduta plenaria, entro la fine di marzo.

Nella dichiarazione congiunta, si sottolinea la necessità di concludere positivamente, con il voto dell’Europarlamento, il lungo percorso iniziato ormai anni fa: “questa Direttiva è stata a lungo auspicata per poter stabilire condizioni di parità per tutti gli operatori del settore creativo nel Mercato Unico Digitale Europeo, e per poter garantire ai cittadini, al tempo stesso, un accesso migliore a una maggiore quantità di contenuti”. La Direttiva Europea sul Copyright è, per i firmatari della lettera, “un’opportunità storica”. “Abbiamo bisogno – concludono i firmatari – di un internet che sia equo e sostenibile per tutti. Ecco perché è necessario che la Direttiva sia adottata velocemente, come concordato nelle negoziazioni del Trilogo”.

Parte della più generale “Strategia per il Mercato Unico Digitale” adottata nel 2015, la Direttiva sul Copyright risponde all’esigenza di riformare la disciplina comunitaria sul diritto d’autore – finora ferma al 2001 – alla luce delle nuove tecnologie e della crescita delle piattaforme online, estendendo la protezione dei contenuti creativi al nuovo ambiente digitale.

La battaglia ha dato vita al movimento “Europe For Creators”, iniziativa promossa da una coalizione paneuropea di cittadini, autori, artisti e circa 250 organizzazioni a favore della Direttiva Europea sul Copyright. Condizioni eque di negoziazione, trasparenza negli accordi di licenza e tutela dell’industria culturale creativa in Europa sono i principi che ispirano l’azione collettiva di “Europe For Creators”.  

In questo contesto, si osserva una Società Italiana Autori Editori (Siae) particolarmente attiva, con il Presidente Giulio Rapetti in arte Mogol intervenuto ieri (mercoledì 13 marzo) di fronte alle Commissioni Cultura congiunte di Camera e Senato (accompagnato dal Consigliere di Sorveglianza e Past Presidente Filippo Nicola Sugar), ed è stato ricevuto dalla Presidente del Senato Elisabetta Casellati. Se la difesa a spada tratta della Direttiva era quasi ovvia, meno ovvio prevedibile la presa di posizione di Mogol nei confronti del Governo grillino-leghista.

La Presidente del Senato Elisabetta Casellati ha definito Mogol “un’eccellenza italiana, un poeta, con i suoi testi ha scritto una pagina importante della storia della musica legata alla cultura popolare italiana” ed ha sostenuto che “il suo impegno nei confronti dei giovani musicisti, grazie alla sua scuola “Centro Europeo Toscolano” (Cet) fondata nel 1992, è assolutamente da sostenere e condividere”. La Presidente ha aggiunto che “sarò al suo fianco nel difendere e valorizzare la musica del nostro Paese e condivido il suo appoggio a tutte quelle misure che puntano a rilanciare e proteggere i giovani artisti italiani, in linea con altri paesi europei”. Evidente il riferimento alla proposta di legge leghista firmata da Alessandro Morelli, Presidente della Commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera, affinché venga imposta alle emittenti radiofoniche italiana una quota obbligatoria del 33 % a favore della musica italiana (in Francia una simile norma esiste oltre vent’anni, e l’obbligo di trasmissione è del 40 %), iniziativa normativa rispetto alla quale Mogol ha pubblicamente espresso il proprio sostegno, nonostante il Vice Presidente del Consiglio Matteo Salvini si sia manifestato in modo contrario, sostenendo che “il governo non può imporre che musica va in onda”.

In audizione, Mogol ha denunciato che “il diritto d’autore viene non solo assalito, ma anche assediato. Le grandi piattaforme digitali si rifiutano di pagare questo diritto in nome della libertà. Libertà è una parola sacra, ma non è sacro approfittarsi degli altri. Io sto portando avanti questa battaglia con tutte le mie forze, e spero di convincere gli italiani che abbiamo 20mila giovani creativi che guadagnano meno di 1.000 euro al mese senza contributi, e non li possiamo penalizzare per delle grandi multipiattaforme digitali che guadagnano miliardi e con la scusa della libertà non vogliono pagare i diritti”. Non sappiamo da quale fonte abbia tratto una simile stima (forse dal database dei 90mila associati Siae?!), ma crediamo che si tratti di una valutazione assai sottodimensionata: probabilmente i “creativi” sottopagati, in Italia, sono ben 10 volte tanto, e forse oltre… “Anche per loro, io sto portando avanti la mia battaglia e sto facendo di tutto, il giorno dopo la mia nomina sono andato persino a Strasburgo con il Direttore Generale Gaetano Blandini a fare l’uomo-sandwich, mi ero fatto preparare dei manifesti contro le grandi piattaforme, il mio slogan era ‘Voi avete miliardi, noi abbiamo ragione’. Spero che questa battaglia si concluda a favore dei giusti, ovvero gli autori che chiedono il giusto per il loro lavoro, mentre dall’altra parte ci sono interessi e speculazioni”. Si tratta in verità di una interpretazione a rischio di deriva manichea, perché esiste anche un’altra faccia della medaglia, quale è l’enorme potenziale di espressività e distribuzione che il web consente ai creativi stessi: certo, se ben regolato, perché oggettivamente esiste una enorme asimmetria a favore delle piattaforme.

Nella coscienza che l’Esecutivo ha una posizione – per così dire – perplessa su queste tematiche, il Presidente Siae ha sostenuto che il problema non sarebbe “politico” bensì “di coscienza”, così sintetizzando: “da una parte c’è il lavoro dei creativi e quindi la sopravvivenza della cultura, e dall’altra parte ci sono speculazioni per prendere più soldi… La fine del diritto d’autore è la fine della cultura stessa”.

Ha commentato ironicamente il senatore Andrea Cangini, Responsabile Cultura di Forza Italia, “Scena surreale. Oggi i parlamentari grillini e leghisti delle commissioni Cultura di Senato e Camera pendevano dalle labbra del grande Mogol, il quale, nel ruolo di Presidente della Siae, li accusava di immoralità per essersi opposti alla direttiva europea sul copyright. Cioè per aver tutelato gli interessi dei giganti del web contro quelli degli autori di testi e canzoni. Autori nazionali, alla faccia della sovranità esibita da Lega e M5S”.

Tra le voci critiche rispetto all’attuale versione della Direttiva, va segnalata quella di uno dei più lucidi analisti di politica ed economia mediale (sebbene da alcuni accusato di essere troppo… partigiano pro web), l’avvocato Guido Scorza (che è anche Responsabile Affari Regolamentari del Team per la Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri), che scriveva un mese fa sul suo blog sul sito de “l’Espresso”, appena chiusi i negoziati che hanno portato al testo “compromissorio”: “il testo uscito dal trilogo è un esempio di scuola di quei compromessi che scontentano tutti… I due articoli più controversi dell’intera direttiva – l’11 e il 13 – sono stati “approvati” in una versione che non è né quella cara ai titolari dei diritti, né quella ambita dalla società civile e dai colossi del web per quanto, tutto considerato, più vicina ai primi che ai secondi… Senza dire che le parole e i fraseggi da compromesso che caratterizzano l’articolo 13 sono tali da rendere evidente che, se il testo sarà approvato in questi termini, se ne vedranno poi delle belle in fase di recepimento nei diversi Paesi europei…”. Scorza mette sullo stesso piano “la società civile” ed “i giganti del web”, ma è di ardua dimostrabilità che “la società civile” sia proprio schierata a favore di una Direttiva che non riconosca pienamente i diritti degli autori e degli editori. Scorza sostiene che l’assimilazione, per quanto parziale, di una piattaforma come YouTube ad un “editore” determinerebbe conseguenze gravi per la democrazia culturale stessa: “YouTube realisticamente riuscirà a concludere accordi con i più grandi titolari dei diritti, ma non con i più piccoli: i contenuti di questi ultimi, pertanto, potrebbero essere destinati a non trovare spazio sulle sue pagine. Il sacrificio in termini di pluralismo dell’informazione sarebbe enorme: il web si ritroverebbe dalla mattina alla sera più simile a una grande tv di altri tempi che all’agorà più grande della storia dell’umanità”. La tesi è provocatoria, e meriterebbe un dibattito serio e plurale, ben oltre quello che in Italia è finora emerso, sia nelle istituzioni politiche sia nella società civile stessa.

Da rimarcare anche un evidente… ammorbidimento della posizione Siae nei confronti del “competitor” Soundreef (anche si sta così mettendo sullo stesso piano un gigante ed una farfalla). Mogol ieri ha riconosciuto esplicitamente “la fine del monopolio”: “per quanto riguarda la presenza di un’altra società di incasso in Italia, e quindi la fine del monopolio, questa situazione è stata accettata dalla Siae, e non c’è nessun problema a riguardo… Recentemente ho partecipato a un incontro con Soundreef, dove avevano fatto presente che il loro punto di forza era iniziare a pagare i diritti dopo due settimane. Noi abbiamo ricordato che paghiamo dopo due giorni e gli anticipi fino all’80 %. Per tutto il resto hanno chiesto un incontro, e ho dato mandato al Direttore Generale Gaetano Blandini di preparare un tavolo di dialogo per vedere come possiamo metterci d’accordo, se possibile”.

Va segnalato che il 2 marzo scorso, a Bari, nell’economia della kermesse promossa da Davide CasaleggioRousseau City Lab” (sesta tappa), è stato organizzato un incontro “storico” tra Giulio Rapetti e Davide d’Atri, con l’intervento del Ministro per i Beni e le Attività Culturali, il grillino Alberto Bonisoli: infatti per la prima volta Siae e Soundreef si sono parlati, ed al massimo livello. L’iniziativa è stata intitolata “#Cultura: l’innovazione per le arti e i beni culturali”. Da segnalare peraltro che curiosamente, nelle ultime settimane, non si registrano più bordate grilline contro la Siae. Nell’occasione barese, è stato ricordato che tra i “social” più frequentati c’è sicuramente Facebook, che non riconosce un compenso per i diritti d’autore, mentre servizi di “digital streaming” come Spotify lo riconoscono, ma con cifre irrisorie: basti pensare che un ascolto di una canzone su Spotify – per il servizio musicale che offre lo “streaming on demand” di brani di “major” ed etichette indipendenti – viene quantificato in un centesimo di euro…

I ben informati ritengono che questa inedita “linea morbida” della Siae sia stata stimolata anche dal Vice Presidente Salvo Nastasi (storico dirigente apicale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali nonché Vice Segretario Generale alla Presidenza del Consiglio nei governi guidati da Matteo Renzi e Paolo Gentiloni), che è un profondo conoscitore del sistema politico italiano, nonché abile tessitore di relazioni di potere.

Le capacità di mediazione politica di Salvo Nastasi, insieme all’autorevolezza creativa di Giulio Rapetti possono accelerare la modernizzazione della Siae, che peraltro dovrà presto confrontarsi con la “disrumption” determinata da processi come la “blockchain”, nella nuova economia dei “big data”. Se la Siae non metabolizza quanto prima questi fenomeni corre il rischio di essere travolta non da piccoli concorrenti come Soundreef, ma da uno tzunami tecnologico, nell’incerto mare della digitalizzazione pervasiva.

Digressione personale del grande autore: “io nella vita ho avuto molta fortuna. Una fortuna grande, che mi ha portato ad essere un autore noto e ad avere addirittura 523 milioni di dischi venduti nel mondo. Mi sono dedicato a scrivere canzoni e ho voluto costruire una scuola per autori compositori e interpreti. Non ho chiesto io di fare il Presidente della Siae (è stato eletto all’unanimità il 10 settembre 2018, n.d.r.), è stato l’ex Presidente Filippo Sugar a chiedermi di assumere l’incarico dopo le sue dimissioni. E io ho pensato che fosse un mio dovere accettare la carica, in un momento come questo, nel quale il diritto d’autore viene assalito e assediato. Le piattaforme si rifiutano di pagare i diritti degli autori in nome di una… libertà che non è libertà”.

L’audizione informale ha registrato interventi di più parti politiche (con una discreta prevalenza del Partito Democratico e della Lega Nord), ma non è emersa alcuna particolare polemica. Clima complessivo assolutamente sereno, positivo, finanche incredibilmente… ecumenico. La discussione si è peraltro concentrata soprattutto sulla proposta di legge a favore della musica italiana. Va osservato che su questa tematica, così come più in generale sulla Siae (e sul suo monopolio “de facto”) e sulla Direttiva Copyright (e sul suo controverso iter), non è emersa una conoscenza molto approfondita da parte dei deputati e senatori che sono intervenuti: insomma, non s’è registrato un particolare “know how” tecnico su queste materie.

Sorprendente che vi sia stato un intervento soltanto da parte del Movimento 5 Stelle, nella persona di Marco Bella, e non esattamente critico o polemico (che sia stato avviato all’interno del M5S un processo di… “autocritica”?!): il deputato ha domandato quali sarebbero i rischi di una “liberalizzazione radicale”. Filippo Sugar ha risposto “semplicemente, vincerebbero i più forti, e gli altri finirebbero per non percepire nulla, un po’ come accade negli Usa”. Il Past Presidente Sugar ha anche lanciato l’idea di un ruolo della Siae come “supercollecting”, in una prospettiva di mercato liberalizzato.

Appare evidente che il livello di approfondimento di queste tematiche da parte del Governo è ancora modesto: se la Lega non sembra appassionarsi alle tematiche della cultura (la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni, che ha la delega per il cinema al Mibac, è una eccezione, ma su Siae non sembra esprimersi), è evidente che il Movimento 5 Stelle è in difficoltà… cognitiva.

La posizione ideologica del Movimento è senza dubbio partigiana: il web è la salvezza della democrazia e la soluzione a tutti i mali del mondo (o quasi)… Battute a parte, temiamo che l’elaborazione teorica, la conoscenza tecnica, e quindi il posizionamento ideologico del Movimento grillino debba essere sottoposto ad una qualche revisione: combattere aprioristicamente il monopolio Siae e la direttiva europea sul copyright, senza sforzarsi di comprendere le dinamiche di scenario (l’economico ed il semiotico del sistema culturale), è proprio un errore marchiano.

Nessuno disconosce il potenziale di internet, ma la sua economia va analizzata con attenzione, ed è un dato di fatto oggettivo lo strapotere delle piattaforme web rispetto alle industrie creative.

La prospettiva di una Siae indebolita (e di una “frammentazione” del mercato dei “player”, a seguito di una liberalizzazione totale) determina il rischio un indebolimento della capacità contrattuale complessiva degli autori: si può anche ragionare dialetticamente su una liberalizzazione che preveda la presenza di altre società nel mercato della raccolta e gestione dei diritti d’autori (sempre che si rispettino criteri di simmetria di diritti ed obblighi, ovvero parità di regole per i vari operatori), ma non si deve abbassare la guardia rispetto all’esigenza di tutelare al meglio i diritti di chi (autore o imprenditore che sia) opera nel settore più delicato e strategico dell’intera società, qual è la cultura.

Clicca qui, per consultare il sito web della coalizione di associazioni a favore del testo della Direttiva nella sua versione attuale “Europe For Creators”.

Clicca qui, per vedere la videoregistrazione (sulla web tv del Senato) dell’audizione informale del Presidente della Siae Giulio Rapetti, il 13 marzo 2019.

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