L'analisi

DigitAnomalie. Cybersecurity, il ‘Pentagono Italiano’? Non si crea solo con una firma su un decreto

di Andrea Monti - avvocato, esperto di diritto delle telecomunicazioni |

'Non basta una firma su un decreto ministeriale per creare uno spirito di corpo interforze che possa consentire di raggiungere l’obiettivo fissato dal ministro Pinotti'.

La rubrica DigitAnomalie, ovvero riflessioni sul mondo della rete e della cybersecurity, è curata da Andrea Monti – avvocato, esperto di diritto delle telecomunicazioni. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Il ministro della Difesa Roberta Pinotti  ha annunciato la volontà di aggiungere una nuova figura nella articolata geometria del sistema difesa del nostro Paese: quella del Pentagono.

A detta del ministro, l’istituzione dell’entità “amministrativa” rappresenterà un comando unico in grado di integrare concretamente i vertici delle forze armate, evitando il prevalere dello “spirito di corpo” sulle necessità strategiche globalmente intese.

Sembra di assistere, mutatis mutandis agli eterni e inutili discorsi sulla cooperazione delle forze di polizia e sulla loro integrazione che, dopo anni di stallo, si sono tradotti nell’incorporazione della Guardia forestale nell’Arma dei Carabinieri.

L’elefante – come si dice – ha partorito il topolino e le difficoltà della cooperazione interforze in attività di polizia è ancora lì.

Se leggiamo la storia, dunque, anche questo futuro italico Pentagono non nasce sotto i migliori auspici perché è il presupposto ad essere discutibile.

L’addestramento militare è basato sulla creazione – a qualsiasi livello – di una fortissima cultura dell’appartenenza.

Nella sua Preghiera, l’incursore del IX Col Moschin chiede a Dio: Rendi veloce il nostro trapasso quando ci chiamerai al tuo fianco, senza timore perché sappiamo che il nostro sacrificio darà ancora più forza e vita ai nostri colleghi, e da lì o Signore donaci la possibilità di rimanere vicino ai nostri fratelli in armi. E l’incursore di Marina, risponde: Prego bensì che l’una e l’altra cosa, la vittoria e il ritorno, Tu conceda, ma se una sola cosa, o Dio, darai, la vittoria concedi sola!

Ora, è semplice e semplicistico liquidare queste frasi come paccottiglia retorica, buona per funerali di Stato e propaganda di arruolamento. Il punto è che, come insegna il tenente colonnello Dave Grossman nel libro “On Killing: The Psychological Cost of Learning to Kill in War and Society”, per superare il taboo dell’uccisione di un proprio simile – perché alla fin fine di questo stiamo parlando è necessario modificare strutturalmente il sistema di valori e convinzioni di un essere umano sostituendolo con uno più adatto allo scopo.

Un Navy Seal americano dichiara orgogliosamente, nel suo “creed”, che: “My loyalty to Country and Team is beyond reproach” – la mia lealtà verso il Paese e la mia unità sono fuori discussione.

Allo stesso modo, il Drill Instructor Creed degli  US Marines promette – a proposito delle reclute, che “I will develop them into smartly disciplined, physically fit, basically trained Marines, thoroughly indoctrinated in love of Corps and Country”, li trasformerò in Marines addestrati, profondamente indottrinati all’amore verso il Corpo (dei Marines) e del Paese.

Le priorità vedono in cima l’unità operativa e poi tutto il resto.

E’ chiaro, dunque, se affrontiamo il tema della cooperazione interforze partendo dal basso – cioè dalla parte di chi prende le pallottole – non basta una firma su un decreto ministeriale per creare uno spirito di corpo interforze che possa consentire di raggiungere l’obiettivo fissato dal ministro Pinotti. E questo è ancora più vero nel caso dei neonati o nascituri “comandi cyber”.

Se, poi, tutto si riduce – come pare di capire dalle parole del ministro – nell’accorciare catene di comando e ridurre il numero di generali e ammiragli, perché oggi è “richiesto che il numero dei generali sia conseguente alla necessità dei comandi e non viceversa” allora basta leggere le profetiche parole sulla proliferazione degli ufficiali nel Colonial Office britannico che Charles Northcote Parkinson scrisse fra il 1955 e il 1958 prima su The Economist e poi nel brillante libro Parkinson’s Law (tradotto in italiano con il titolo La legge di Parkinson).

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