La rubrica “Digital & Law” è curata da D&L Net e offre una lettura delle materie dell’innovazione digitale da una prospettiva che sia in grado di offrire piena padronanza degli strumenti e dei diritti digitali, anche ai non addetti ai lavori. Per consultare tutti gli articoli clicca qui.
Durante la pandemia, un settore completamente scomparso dai radar del Paese è quello della Giustizia.
È strano vedere come tutti i settori siano ripartiti tranne questo. Ancora più strana appare l’indifferenza generale, soprattutto da parte dei media.
Ad oggi questo settore rimane paralizzato, uno tra i più sofferenti. La pandemia ci ha fatto scoprire tutte le cose che non andavano nel Paese e tra queste, il sistema giudiziario.
La Giustizia = un vuoto a perdere
Il sistema giudiziario andrebbe tutto riorganizzato e ripensato, non solo per quanto riguarda la lunghezza dei procedimenti. Il settore è oggi un vuoto a perdere, si lavora sprecando energie senza arrivare ad alcun risultato concreto. La digitalizzazione in questo ambito è completamente inadeguata e incompleta: innanzitutto è stata pensata solamente per il deposito degli atti processuali.
Troppe piattaforme una diversa dall’altra
Ci si è limitati a creare una serie di piattaforme per il deposito telematico degli atti di causa: una per il civile, una per l’amministrativo, una per il tributario una per il penale. Tutto troppo farraginoso e di difficile utilizzo.
Non serve creare una piattaforma per ogni tipo di processo. Che senso ha depositare gli atti con firma Cades e con una modalità nel processo civile (che prevede la creazione di una busta su piattaforma da inviare all’ufficio giudiziario); depositare nel processo amministrativo gli atti compilando un modulo (e allegare tutto con firma Pades inviando via PEC all’ufficio di competenza).
Depositare nel tributario, schema ancora più complicato, registrandosi ad una piattaforma, (trasformando gli atti in formato pdf/A e firmando tutto, compreso le ricevute PEC, con firma Cades).
Così non funziona. È necessario uniformare.
Il primo errore è stato quello di delegare la creazione e diffusione di queste piattaforme ai privati, che sembrano essersi sbizzarriti nel creare tali sistemi di deposito.
Un’unica piattaforma nazionale
Si dovrebbe creare una piattaforma riconosciuta a livello nazionale per tutti i processi, più uniforme e gestita dal Ministero della Giustizia, nell’ambito della quale ripensare anche ai processi.
La creazione di questa piattaforma ci aiuterebbe a cambiare punto di vista e ad affrontare il problema da una diversa angolazione. Non più partendo dai codici ormai obsoleti (carta), ma dal digitale (piattaforma).
Il digitale non mina il diritto di difesa come molti sostengono.
Dietro lo schermo ci sono persone in carne ed ossa, collegate in tempo reale, quindi non si capisce quale differenza ci sia tra la presenza in ufficio da quella dietro un computer.
Il digitale aiuterebbe, tra le altre cose, a snellire la normativa e la parte scritta dei processi, a tornare all’idea di oralità e a smussare tanti tantissimi cavilli oggi presenti nei codici, ma non più attuabili.
Servono poche e semplici regole. In una società così veloce dove tutto cambia così rapidamente è inaccettabile che si voglia ancora gestire la giustizia con queste modalità anacronistiche. Il digitale nella giustizia è esperienza fallimentare, che non ha dato i suoi frutti fino ad oggi, è necessario cambiare rotta.
Non solo una piattaforma per depositare gli atti, che in prospettiva dovrebbero ridursi, ma anche e soprattutto per svolgere le udienze che sarebbero più scarne e rapide.
La Giustizia e l’uso di Microsoft Teams
Durante la pandemia mosso anche dalla necessità di agire in fretta il Ministero della Giustizia ha pensato di utilizzare la piattaforma Microsoft Teams per svolgere le udienze, quanto meno quelle più urgenti e non rinviabili.
In estrema sintesi, il procedimento per accedere è quello di creare un account personale, da comunicare presso la Cancelleria, dalla quale attendere una PEC con l’indicazione di un link a cui collegarsi nel giorno e all’ora fissati per l’udienza.
Nel corso dell’udienza virtuale, il Giudice è in grado di aprire la sua stanza e vedere tutte le parti del processo connesse.
Alcuni Paesi, come il Canada, hanno addirittura permesso al pubblico – tramite registrazione su piattaforma – di partecipare ai processi al fine di salvaguardare il principio di apertura al pubblico, salvo i casi in cui, dietro richiesta delle parti, si svolga a porte chiuse.
Ancora più inaccettabile e ingiustificato è il ritardo del digitale nel processo dinanzi al Giudice di Pace che per definizione doveva essere più agile e veloce) e che invece negli anni si è trasformato in un altro processo). Anche qui troppi atti scritti e troppa burocrazia.
Lo smart working, inteso proprio nella sua accezione letterale di lavoro agile, dovrebbe essere applicato per rendere la procedura processuale nella sua interezza. Indipendentemente dalla tipologia di giudizio e dalla giurisdizione dinanzi alla quale agiamo, agile e veloce.
Un emendamento per salvaguardare il processo da remoto
È stato presentato un emendamento da inserire nell’art. 221 del D.L. Rilancio volto a modificare l’art 83 c.p.c., già modificato dal decreto Cura Italia, con il quale il Governo vorrebbe far entrare a regime il processo da remoto e quindi l’utilizzo dell’udienza in video conferenza sino al 31 dicembre 2021.
L’ipotesi del Governo è quella di non voler “dimenticare” ciò che dal punto di vista tecnologico abbiamo raggiunto durante il lockdown.
Sarebbe possibile continuare a svolgere i processi sia tramite trattazione di atti scritti da inviare via PEC al giudice, ovvero da remoto, qualora anche una delle parti con il suo difensore ne dia la disponibilità.
Vedremo se si riuscirà ad approvare l’emendamento e se soprattutto i Tribunale e le Corti d’Appello si adegueranno.
Sono molte le posizioni contrarie a questo modus operandi anche tra gli operatori del diritto, ma la possibilità di innovare e cambiare così come ci è stata “offerta” in questo periodo storico è solo da sfruttare.
Lasciando le cose così come stanno soprattutto in un settore quale quello della giustizia non aiuterà l’Italia ad uscire dalla crisi ma ne accentuerà la frattura.
Di Alice Bassoli, avvocato, esperta in privacy e digitalizzazione – componente del D&L NET