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Digital Tax, Privacy, Oblio: gli Usa contro il ‘protezionismo digitale’ della Ue

Si stringe il cerchio intorno alle multinazionali che eludono il fisco in Europa. L’Ocse ha riesaminato il dossier e ha pubblicato un rapporto conclusivo dell’indagine che ha avuto supporto unanime del G20 di Lima.

Il tutto mentre l’Antitrust Ue ha preso un’importante decisione sui casi Fiat e Starbucks, sospettati di aver concluso accordi di tax ruling riconducibili sotto la forma di aiuti di Stato illegali che avrebbero quindi ostacolato la concorrenza, e presto sarà chiamato a decidere anche su Amazon e Apple.

Anche sul fronte digitale si sta cominciando ad agire con più determinazione come dimostrano i casi di Google, Facebook o Uber.

 

Le decisioni Ocse

Nel mirino ci sono soprattutto le pratiche di ottimizzazione fiscale, alle quali ricorrono le multinazionali, che hanno permesso ad alcuni grandi colossi, specie quelli del web, di assottigliare artificialmente i loro utili imponibili.

L’Ocse ha calcolato che ricorrendo a questi sistemi, il carico fiscale delle multinazionali si sia ridotto di 100-240 miliardi di dollari annui.

Una delle principali decisioni di Lima è di istituire un sistema annuale di comunicazione delle imposte pagate in ogni paese. Ciò permetterà almeno di conoscere la distribuzione del carico fiscale. La proposta è utile ma non va al cuore del problema.

Forse sarebbe più utile frenare l’abuso di trattati fiscali di favore. Ma per farlo bisognerebbe sancire che le consociate non sono entità indipendenti ma dirette da un unico soggetto centrale. Solo così, la lotta all’evasione fiscale sarebbe più semplice.

Gli USA: ‘Siamo vittime del protezionismo digitale’

Gli Stati Uniti hanno intuito che la Ue ha deciso di muoversi rapidamente. A giugno scorso, dopo la stretta sul tax ruling, Bruxelles ha presentato un piano d’azione per una profonda riforma della tassazione societaria nell’Ue.

Tra le azioni chiave della Ue figurano una strategia per rilanciare la base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB) e un quadro che garantisca una tassazione efficace nel luogo in cui sono generati gli utili. Misure già in fase elaborazione a livello internazionale nell’ambito dell’Ocse.

Qualche settimana fa poi la Corte di Giustizia Ue ha invalidato il regime noto come Safe Harbour che permetteva da 15 anni alle aziende americane di trasferire i dati dei cittadini europei nei server USA. Oltreoceano non hanno nascosto il loro disappunto.

Gli USA vedono il progetto Ue come un attacco alle multinazionali del web. Da Safe Harbour alle nuove regole sul diritto all’oblio, che colpisce soprattutto Google in quanto motore di ricerca più usato in Europa, negli Stati Uniti si cominciano a temere le nuove indicazioni che arrivano da Bruxelles.

L’Europa si rende conto di essere in ritardo e “tenta di costruire la propria economia digitale complicando l’attività delle aziende straniere sul suolo europeo. Questo è protezionismo“, ha detto Kati Suominen del Center for Strategic and International Studies.

Un’accusa che non è piaciuta al Commissario Ue per la Digital Economy, Günther Oettinger, che durante il viaggio in Silicon Valley ha replicato: “Le nostre regole si applicano a tutti, ai produttori, ai player europei e asiatici e anche agli americani”.

Google è nel mirino dell’Antitrust Ue per sospetto abuso di posizione dominante sul mercato della ricerca online. Aperta anche un’altra indagine che riguarda il sistema operativo mobile Android. Facebook è finito sotto la lente del Garante privacy irlandese.

La Ue teme per la sicurezza dei dati privati dei propri cittadini, che possano essere utilizzati dai servizi segreti americani.

Per tranquillizzare l’Europa, gli USA stanno lavorando al Privacy Act.

Basterà?

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