Il 16% dei lavoratori europei ha dichiarato di aver dovuto cambiare le proprie mansioni a causa dell’introduzione di nuovi software. Un altro 29% ha affermato di aver dovuto apprendere nuove competenze a seguito dell’impiego nell’ambiente di lavoro di nuovi programmi, nuove applicazioni e nuovi device elettronici e di computing.
È quanto emerge da una nuova indagine condotta da Eurostat, effettuata durante il 2018 sull’impatto dell’ICT sul luogo di lavoro e a casa.
Ad esempio, sul totale delle persone in Europa che usano internet (l’87% circa), ben il 71% ha confermato l’arrivo in ufficio di nuovi dispositivi e di nuove apparecchiature connesse in rete, in aggiunta agli ormai tradizionali smartphone, tablet e computer.
Quasi la metà (47%) degli utenti di internet con un lavoro ha valutato le proprie competenze relative all’uso di computer, software o applicazioni in ufficio come “adeguate alle loro funzioni”, il 18% aveva più competenze del necessario, mentre il 9% ha ammesso di aver bisogno di ulteriore formazione.
Per lo più si tratta di lavori che necessitano di una connessione internet di base e che richiedono competenze nello scambio di email e nell’inserimento di dati (61%), nello sviluppo di contenuti digitali/documenti elettronici (47%), nell’utilizzo di software specifici (38%), di applicazioni (22%), dei social media (18%).
L’Italia si posiziona al 14° posto in Europa per utilizzo di computer e altre apparecchiature connesse in rete sul posto di lavoro. I Paesi con il più alto livello di digitalizzazione degli ambienti di lavoro sono quelli del Nord: in Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia, nove impiegati su dieci hanno gli skills giusti per lavorare con software e macchine di nuova generazione.
Otto su dieci in Germania, Austria e Francia, poco meno nel Regno Unito, l’Italia si ferma al 75%.
Per quanto riguarda il cambiamento nelle mansioni lavorative dovuto all’introduzione di nuovi software e device, è sempre il Nord Europa ad ottenere i risultati migliori, con il 27% dei casi in Danimarca, il 25% nel Lussemburgo, il 23% in Finlandia, Svezia e Olanda.
L’Italia si posiziona sempre nella parte bassa della classifica, con appena il 12% circa, ben al di sotto della media dell’Unione europea (Ue) al 16%.