“Non è sanzionabile la cessione di materiale pedopornografico realizzata dallo stesso minore che è raffigurato e, pertanto, è esclusa la sussistenza del reato”, condividendo tale assunto del Tribunale per i minorenni dell’ Abruzzo[1], la Corte di Cassazione, III Sez. Penale, con sentenza 8 febbraio 2016 – 21 marzo 2016 n. 11675, ha rigettato il ricorso promosso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di L’Aquila.
Il caso in esame, uno fra tanti, riguarda una minorenne che si era fatta dei selfie pornografici inviandoli ad alcuni amici i quali a loro volta li avevano inviati ad altri.
Si tratta di un “gioco pericoloso” che dilaga ormai da parecchi anni anche in Italia, inviare messaggi, foto o video tramite cellulare, e più in generale internet, con contenuto sessualmente esplicito: il sexting.
Il fenomeno, così come emerge da numerose statistiche, è particolarmente diffuso anche fra gli adolescenti, che sovente rimangono vittime del loro stesso gioco.
Spesso tutto inizia con degli scatti inviati al proprio fidanzato o ad amici come prova d’amore o per divertimento o, ancora, per ricevere dei “like”, ma dal gioco ai problemi da esso derivanti il passo è breve. Difatti, le foto e i video così diffusi escono dal controllo di chi li ha prodotti e inviati, diventando strumento nelle mani di terzi che possono utilizzarli come gioco, vanto o addirittura come arma di minaccia o ricatto.
Le conseguenze, come è facile comprendere, sono devastanti soprattutto psicologicamente.
Il diritto alla riservatezza viene inevitabilmente compromesso e nel caso di un minore, proprio in ragione della scarsa maturità legata all’età, gli effetti sono notevolmente amplificati come ben si può vedere dai numerosi fatti di cronaca che narrano casi di ragazzini oggetto di scherno, insulti, cyberbullismo, la cui vita diventa un inferno e che a volte ha come epilogo il gesto tragico del suicidio.
Ebbene, se in tema di pedopornografia l’attuale normativa sembrerebbe piuttosto dettagliata, tuttavia non si può non rilevare come, anche in questo caso, la tecnologia abbia trovato una crepa nella fitta rete legislativa in cui insinuarsi.
Facciamo un passo indietro, gli Ermellini hanno respinto il ricorso promosso dal Procuratore della repubblica di L’Aquila che deduceva “l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale”, sostenendo che il quarto comma dell’art. 600 ter c.p. non richiede che il materiale riproducente il minore sia realizzato da soggetti terzi, lasciando pertanto intendere che potrebbe essere realizzato dal minore stesso, diversamente da quanto esplicitamente richiesto dal primo comma del medesimo articolo.
Se così non fosse, lo stesso procuratore rileva che si riscontrerebbe un “gravissimo vuoto di tutela” e quindi, proprio per evitare una simile abnorme conseguenza, va sanzionata la condotta di chi cede materiale pornografico raffigurante un minore indipendentemente da chi l’abbia prodotto.
Di diverso e opposto avviso è la Cassazione, la quale ritiene che il quarto comma dell’art. 600 ter c.p. vada letto alla luce del primo comma – così come richiamato dalla lettera della norma – che disciplina il materiale pornografico realizzato attraverso l’utilizzo del minore ad opera di terzi.
Di conseguenza, secondo la Suprema Corte, il legislatore ha individuato il momento consumativo del reato nella modalità esecutiva della condotta – “utilizzando il minore di diciotto anni” – e non nella condotta in sé, cioè la realizzazione e la produzione di materiale pornografico.
Pertanto, perché possa essere sanzionata la cessione di tale materiale è necessario che l’utilizzatore sia soggetto diverso dal minore utilizzato.
L’alterità dell’autore è, dunque, condizione necessaria per l’applicazione dell’art. 600 ter c.p.
Gli Ermellini concludono rilevando che comunque una diversa applicazione della norma comporterebbe un’interpretazione in malam partem e come tale vietata dalla legge.
Ebbene, se la conclusione a cui giunge la Suprema Corte da un punto di vista strettamente giuridico appare valida e legittima, non si può non rilevare come il caso in esame sia parzialmente diverso da quello disciplinato dall’art. 600 ter c.p.
Difatti, il fatto concreto rappresenta un aspetto del mondo reale segno e conseguenza della continua e inevitabile evoluzione delle tecnologie e che pertanto non trova regolamentazione in una legge che, per quanto recente, risulta già superata.
Irrimediabilmente, allo stato attuale, ciò che emerge prepotentemente è un vuoto normativo il cui effetto è un’assoluta mancanza di tutela di fronte alla quale non si può rimanere inermi.
Ciò detto, la normativa Europea e Internazionale che dispone in ordine ai diritti e alle tutele del minore, aveva fornito una gamma di strumenti più ampia e adeguata per poter meglio far fronte ai molteplici casi che potevano presentarsi.
La Convenzione Lanzarote (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali) così come la direttiva 2011/93/UE, sulle quali si fonda la disciplina attuale in tema di pornografia minorile, orientavano la normazione verso la punizione della condotta, in sé, di produzione di materiale pedopornografico.
Nello specifico non viene richiesto lo sfruttamento e l’approfittamento, avendo come preminente l’interesse superiore del minore.
Proprio per perseguire tale obiettivo, la direttiva volgeva verso “un approccio globale che comprenda l’azione penale contro gli autori del reato, la protezione delle vittime minorenni e la prevenzione del fenomeno” al fine di reprimere i reati quali lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile.
Ciò mette in evidenza che lo status di minorenne richiede specifiche misure di protezione proprio in considerazione dell’età, così come si legge espressamente nel preambolo alla Convenzione Lanzarote.
Il minore è da ritenersi ancora un soggetto immaturo e in quanto tale, verosimilmente non è consapevole – o non lo è completamente – del rischio che corre immettendo contenuti espliciti in rete.
È ragionevole ritenere che nell’inviare foto o video a uno o più soggetti individuati si faccia affidamento su di essi, essendo ben lungi dall’immaginare, proprio in virtù dell’ingenuità e della mancata esperienza legata all’età, che questi possano a loro volta cedere tale materiale ad un numero non ben definito di persone.
La Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York nel 1989, a cui espressamente richiama la sentenza in esame, sottolinea la necessità di un’adeguata protezione giuridica del fanciullo in considerazione “della sua immaturità fisica e intellettuale”.
Pertanto è auspicabile che il legislatore riveda la normativa riadattandola, avendo come finalità l’obiettivo di proteggere il minore da se stesso e dalle sue scelte inconsapevoli, che spesso e volentieri rappresentano il frutto delle azioni o disattenzioni dei propri educatori.
[1] Che con sentenza del 10/11/2014, ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di dieci ragazzi per i reati di cui all’art. 600 ter co. 4 c.p.