L'analisi

Digital Crime. ‘Revenge porn’ (foto e video di ex online per vendetta), oltre le leggi servono gli strumenti

di Paolo Galdieri, Avvocato, Docente di Informatica giuridica, LUISS di Roma |

Dilaga la pubblicazione, non autorizzata, sul web di foto o video, anche molto intimi ed espliciti, a scopo di vendetta. Per cui è necessario e doveroso attuare un aggiornamento normativo, per tutelare le vittime di un fenomeno che ha delle ripercussioni psicologiche e sociali molto gravi, ma occorrono strumenti che consentano immediatamente la rimozione dei contenuti nocivi.

La rubrica Digital Crime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

In questi ultimi mesi l’attenzione della politica si è spesso rivolta verso i reati commessi nel web e ultimamente sul tema della cyber security, ritenuto, almeno a parole, centrale per la sopravvivenza stessa della democrazia nel nostro Paese.

Entrambi gli argomenti sono stati, invero, trattati non tanto a seguito di una profonda riflessione su determinati fenomeni, quanto piuttosto perché stimolati da recenti fatti di cronaca riguardanti singoli episodi di criminalità informatica o a seguito di esplicite minacce di matrice terroristica.

La conseguenza diretta di ciò è un proliferare di proclami in ordine alla necessità di aumentare la sicurezza informatica e giuridica in rete ed al contempo il susseguirsi di proposte di legge volte ad introdurre nuove specifiche fattispecie di reato.

In tale quadro si colloca la proposta di legge avanzata alla Camera dei deputati il 26 settembre 2016 (iniziativa deputata Sandra Savino) con la quale si chiede di prevedere apposita sanzione penale per il cosiddetto Revenge porn ovvero  la pubblicazione, non autorizzata, sul web di foto o video, anche molto intimi ed espliciti, a scopo di vendetta.

A tal fine si propone l’introduzione, all’interno del codice penale, dell’art. 612-ter (Diffusione di immagini e video sessualmente espliciti) che punisce, con la reclusione da uno a tre anni:

“chiunque  pubblica nella rete internet, senza l’espresso consenso delle persone interessate , immagini o video privati, comunque acquisiti o detenuti, realizzati in circostanze intime e contenenti immagini sessualmente esplicite, con conseguente diffusione di dati sensibili, con l’intento di causare un danno morale alla persona interessata”.  Si prevede un aumento della metà se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa .

La necessità di prevedere una fattispecie specifica è invero avvertita da tempo,  ritenendosi  non sufficienti le disposizioni sino ad oggi applicabili, riferite alla diffamazione ed alla violazione della riservatezza.

In tal senso si fa notare che le condotte in questione sono più simili a quelle estorsive e, nel coinvolgere pesantemente la sfera sessuale dell’individuo, possono spingere, come purtroppo accaduto, la vittima anche a gesti estremi.

Si tratta, in realtà di un fenomeno presente in tutto il mondo tanto è che in Israele si è legiferato, considerandolo un reato di natura sessuale, mentre negli Stati Uniti,  diversi Paesi hanno provveduto a prevedere sanzioni penali anche molto severe.

Il punto allora non è tanto quello di comprendere la necessità di una norma ad hoc,  quanto di ragionare attorno al metodo seguito dal legislatore, in questi ultimi tempi, rispetto alle regole, non solo penalistiche, per il web.

La sensazione è che l’inseguimento, inevitabile, del diritto sulle tecnologie, dato dal fatto che queste evolvono in tempi di molto più rapidi, stia lasciando il passo ad un pericoloso inseguimento dei fatti di cronaca.

Se si osservano, infatti, le recenti iniziative in tema di cyberterrorismo, cybersecurity, cyberbullissimo ed appunto revenge porn è agevole scoprire che le relative proposte di legge sono sempre successive a fatti risaliti alle cronache nazionali.

Il fatto non è di per se criticabile, in quanto anzi dimostrerebbe che il legislatore è attento all’evolvere dei fenomeni sociali ed anche criminali, ma lo diviene se, come spesso accade, gli interventi vengono solo annunciati nel momento in cui accade qualcosa o addirittura si legifera di urgenza, senza avere preliminarmente una visione di insieme dell’ambito in cui andrà calata la norma e non  ipotizzando  le conseguenze di una determinata scelta.

Preoccupazioni che appaiono fondate laddove si osserva come il testo sul cyberbullismo, prossimo all’approvazione definitiva, si è nuovamente arenato e ove si consideri che la proposta di inserimento della fattispecie sul revenge porn pare un doppione della condotta prevista proprio nel disegno di legge sul bullismo che, attraverso l’aggiunta di un terzo comma all’art.612 bis, sanzionerebbe anche la  divulgazione di testi, di immagini ovvero di dati sensibili o informazioni private,carpiti attraverso artifici, raggiri o minacce o comunque detenuti.

Al fine di giungere ad un effettivo contrasto della criminalità in rete, ed organizzare una seria strategia in materia di cyber security,  occorrerebbe finalmente una valutazione preliminare dei fenomeni che si intende contrastare, sia giuridica che culturale, ricordandosi che il rimedio penale, oltre a dover essere sempre considerato quale estrema ratio, da solo quasi mai produce gli effetti sperati.

In casi come quello del cyberbullismo e del revenge porn, al di là delle soluzioni normative prescelte in ambito penalistico, occorre un serio potenziamento dei presidi educativi in ordine all’uso delle tecnologie, nonché strumenti che consentano immediatamente la rimozione dei contenuti nocivi.

Senza di ciò continueremo ad assistere impotenti alle vicende drammatiche delle vittime di tali reati, con condanne per gli imputati, magari prescritte, mentre i contenuti che le hanno determinate ancora in circolazione.

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