Il fenomeno della corruzione, venuto alla ribalta di recente per l’inchiesta romana, non è in realtà una novità, né problema riguardante esclusivamente il nostro paese. Già in passato tale tema è stato oggetto di una specifica convenzione ONU e l’Unione Europea ha varato un pacchetto anticorruzione nel 2011, cui è seguita la prima relazione anticorruzione del 2014 in cui vengono indicati i problemi ancora presenti nei singoli Stati e le strategie da adottare.
La rubrica #DigitalCrime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale.Clicca qui per leggere tutti i contributi.
È indubbio, tuttavia, che in Italia il fenomeno sia ancora più sentito, stando anche ai dati di Transparency International secondo i quali ci troveremmo al sessantanovesimo posto nella classifica relativa alla corruzione percepita dai cittadini, insieme a Ghana e Macedonia.
Dati che trovano conferma nelle stime della Corte dei Conti secondo le quali la corruzione determina in Italia ogni anno un danno da 60 miliardi di euro alle casse dello Stato e nel Libro Bianco della Commissione “sulla prevenzione del fenomeno corruttivo” che evidenzia come lo stesso provochi una perdita del 16% degli investimenti dall’estero.
Benché il problema della corruzione sia ben noto nel nostro paese da tempo, come spesso accade all’indomani del sorgere di uno scandalo, si affronta oggi questo tema come se non fosse così conosciuto, proponendosi “ricette” o “antidoti” dettati più dall’emotività del momento che da una visione strategica consapevole delle cause e, quindi, mirante ad un perseguimento efficace degli obiettivi.
Il dibattito politico, e non solo, si concentra, quasi ad “accontentare” l’opinione pubblica, sulla necessità di pene più severe e un allungamento dei termini di prescrizione, si focalizza in sostanza l’attenzione sulla repressione.
Ben presto seguiranno, come all’indomani degli scandali dell’Expo 2015 e del Mose, proposte per garantire una trasparenza della pubblica amministrazione, ponendo l’accento sulla prevenzione. Entrambe le strade sono effettivamente quelle da seguire per un corretto approccio al problema. Il punto è che nessuna delle due può portare ai risultati sperati fintanto che ci si muoverà sull’onda dell’emotività senza un preciso piano strategico.
Qualsiasi ragionamento sulla corruzione non può prescindere da una preliminare individuazione delle cause che la determinano e dal contesto in cui la stessa trae linfa. Da questo punto di vista è agevole rilevare che nel nostro paese l’elefantiaco sistema burocratico e l’opacità delle procedure connesse all’attività della Pubblica Amministrazione finiscono per impedire controlli e verifiche adeguate.
Tale dato è, invero, incomprensibile laddove si consideri che viviamo nella cosiddetta società dell’informazione in cui tutto è gestibile attraverso le tecnologie, che sono per loro stessa natura strumenti in grado di garantire accessi e verifiche impensabili fino a pochi anni fa e quindi il massimo della trasparenza.
In Italia, almeno sotto il profilo degli intenti dichiarati, si è da tempo compreso che la corruzione si combatte soprattutto attraverso la trasparenza e che questa può essere ottenuta solo attraverso un adeguato impiego delle tecnologie in ambito pubblico.
In questa direzione si muovono la Legge 69/09, la riforma Brunetta e il D. Lgs. 33/13, che consentono di strutturare una riforma organica dei contenuti minimi dei siti web delle Pubbliche Amministrazioni.
Sulla stessa lunghezza d’onda si pongono le misure introdotte attraverso la Legge n. 114/14 (che ha convertito, con modificazioni, il D. L. 90/ 14, recante “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”).
Se questi sono gli obiettivi perseguiti attraverso i provvedimenti citati, ancora oggi, tuttavia, ci si muove con iniziative individuali a livello privato o locale. Pensiamo a tal riguardo alla piattaforma web indipendente Expoleaks, costituita dopo gli scandali di Expo 2015, che ha il compito di raccogliere segnalazioni di attività corruttive. Pensiamo anche all’istituzione da parte Regione Lazio di un portale anticorruzione, consultabile online attraverso il quale poter monitorare gli appalti in tutti i processi amministrativi, i capitoli e quello che accade all’interno delle Asl.
Benché si tratti di soluzioni meritevoli di plauso è innegabile che la corruzione non possa essere contrastata attraverso interventi isolati, sganciati da un progetto strategico predeterminato.
Ancora oggi, infatti, prevale una logica burocratica di fronte alla quale nulla o poco possono fare gli open data, mancando ancora norme evolute in materia di accesso agli atti ed ai documenti della Pubblica Amministrazione.
Serve in sostanza che, come nei paesi più evoluti, si punti ad un sistema in cui non è più il cittadino a dover dimostrare il proprio interesse alla conoscenza di un documento o di una procedura, bensì l’amministrazione, che intende negare l’accesso, a dover prospettare l’esistenza di una ragione legale che impedisca la conoscenza di determinati atti.
Serve in altre parole che le opportunità offerte dalle tecnologie vengano sfruttate alla luce di un ripensamento dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione.