Uno sguardo superficiale ai dati che annualmente vengono forniti sul fenomeno della pedopornografia in rete consentirebbe di affermare, da un lato, che si tratta di un fenomeno in continua crescita, dall’altro, che la normativa vigente ne consente un adeguato contrasto.
Quotidianamente apprendiamo degli incredibili aumenti di fatturato delle organizzazioni criminali che operano in tale settore, dell’enorme numero di minori coinvolti, delle maxi operazioni che consentono l’individuazione di presunti autori dei reati e, quindi, l’apertura di procedimenti penali a carico di soggetti che agiscono da ogni parte del territorio nazionale e oltre confine.
Il fatto, tuttavia, che, a fronte di una costante repressione del fenomeno, non corrisponda un suo contenimento, ma addirittura un incremento, deve far pensare che, forse, ciò che appare in realtà non è.
Sul piano normativo è, indubbio, che da diversi anni a questa parte a livello europeo e nazionale molto si è fatto per prevenire e sanzionare qualsiasi forma di abuso e sfruttamento sessuale del minore nel cyber spazio.
Basti ricordare a tal riguardo le importanti indicazioni fornite con la decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea n.200/68/GAI e con la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007.
Quanto all’Italia, grazie alle leggi 269/98, 38/2006, 172/2012, sono puniti, per quanto concerne la rete, la diffusione, cessione e detenzione di materiale pedopornografico, anche virtuale, il turismo sessuale, l’istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia, nonché l’adescamento dei minori, prevedendosi, tra l’altro, pene più alte, art. 416 bis c.p., se l’associazione a delinquere riguarda pratiche di pedofilia telematica
Tante norme, tutte necessarie ed utili, eppure le organizzazioni criminali continuano a lucrare sullo sfruttamento sessuale del minore perché allo stato dell’arte, tranne rari casi, non si riesce ad individuarle e quindi a reprimerle.
Se andiamo a verificare i processi celebrati nel nostro Paese, e le condanne inflitte, ci accorgiamo con estrema facilità come ad essere puniti sono sempre “pesci piccoli” ovvero soggetti che fruiscono del materiale e che lo ricedono, o distribuiscono, su piccola scala. A farla franca sono, invece, proprio coloro che esprimono maggiore pericolosità sociale ovvero coloro che impiegano i minori come beni di consumo, sfruttandoli dal punto di vista sessuale per farne ingenti profitti.
Tale impunità ha ragioni agevolmente individuabili, derivanti dal fatto che molti Paesi si rifiutano di cooperare sul piano giudiziario, non consentendo l’individuazione dei siti da cui parte la distribuzione del materiale. Stesso discorso per quanto attiene il turismo sessuale che, seppur apparentemente perseguito nei Paesi ove ha massima diffusione, viene troppo spesso tollerato dagli stessi, se non addirittura incentivato.
Stando così le cose è allora agevole rilevare che un effettivo contrasto a questi fenomeni può avvenire solo attraverso una seria attività diplomatica, che imponga la sottoscrizione di accordi, al momento inesistenti, pena l’interruzione di rapporti anche commerciali.
Fintanto che si continuerà a “far finta di niente” sulle cause dell’impunità, accontentandosi di “retate di pesci piccoli”, si tranquillizzerà di tanto in tanto l’opinione pubblica, ma certamente non si contrasterà seriamente una delle pratiche criminali più odiose e dannose per i minori e per l’intera collettività.