I recenti attacchi terroristici hanno immediatamente, e non è la prima volta, fatto volgere lo sguardo degli organismi nazionali ed internazionali al web ed alle tecnologie. Si è sottolineato da più parti come l’Isis, così come altri gruppi, utilizzino la rete per reclutare seguaci, trovare finanziamenti, fare propaganda e raccogliere e diffondere informazioni. Ultimamente si è detto che la Playstation 4 sarebbe stata impiegata per preparare gli attentati in Francia, perché il suo sistema Voip è tra i più difficili da intercettare, sottolineandosi come, nell’ambito di una sessione di gioco on line, i terroristi potrebbero comunicare e riciclare denaro.
Come spesso accade, e anche questa non è una novità, c’è chi sollecita interventi normativi, sul piano del diritto sostanziale e processuale, volti da un lato a punire più severamente i reati digitali e dall’altro miranti ad esercitare un maggiore controllo del web e delle informazioni in esso presenti. In quest’ottica si è posta la Francia, dove è vigente una legge che conferisce pieni poteri per bloccare siti e catturare dati. Sulla stessa scia si pone l’Italia che, dopo aver previsto, con la legge 15 dicembre 2001 n.438, sanzioni penali per il soggetto che fornisce strumenti di comunicazione ai partecipanti alle associazioni terroristiche, conferendo alle forze di polizia la possibilità di agire sotto copertura in rete anche attraverso l’attivazione di siti trappola, ha, con la legge 17 aprile 2015 n.43 ,ulteriormente rafforzato la tutela. Si prevedono aggravamenti di pena per i delitti di apologia e di istigazione al terrorismo commessi attraverso strumenti telematici ed al contempo si consente all’autorità giudiziaria la possibilità di ordinare agli internet provider di inibire l’accesso ai siti utilizzati per commettere reati con finalità di terrorismo ed, in caso di inosservanza, di disporre direttamente l’interdizione dell’accesso ai relativi domini internet.
C’è poi chi come Donald Trump, candidato repubblicano nella corsa alla Casa Bianca, si spinge oltre chiedendo di considerare la possibilità di chiudere Internet ed i social media e chi, come Anonymous, lancia una operazione in grande stile contro i fondamentalisti cercandoli in rete.
Di contro si compatta lo schieramento dei sostenitori della libertà nell’uso delle rete e delle tecnologie dell’informazione, che sottolinea come il web rappresenti un vero e proprio baluardo della democrazia, nonché il luogo dove la libera espressione del pensiero può e deve essere massima. In quest’ottica si evidenzia l’impossibilità, ovviamente, di una chiusura della rete, sia sul piano prettamente tecnico che economico, mettendo, tra l’altro, in luce come ciò nuocerebbe alla stessa sicurezza dei cittadini, così come anche l’inopportunità di controlli penetranti sui dati, perché ciò apparirebbe come una forma di censura mascherata, non giustificata neanche dai fenomeni che si intende contrastare. Dal canto loro i social networks sottolineano di adottare politiche che vietano in modo molto chiaro il sostegno o la rappresentazione del terrorismo e tutte le possibili azioni eversive, implementando un sistema di autoregolamentazione che permette agli utenti di segnalare contenuti non appropriati ed eventuali atteggiamenti scorretti.
Entrambi gli orientamenti, invero, esprimono delle verità indiscutibili, peccando, tuttavia, per ragioni differenti, di approssimazione. E’ vero che la rete per le sue potenzialità rappresenta strumento ideale anche per la commissione di delitti, e quindi pure di quelli di natura eversiva. Così come è pacifico che nel digitale si possa manifestare la propria libertà individuale in modo ampio anche se si è cittadini di governi autoritari, così come anche, sfruttando proprio le potenzialità della rete, contribuire alla nascita di democrazie in Paesi non permissivi se non addirittura totalitari.
Conseguenza diretta di tale semplice riflessione è che non si può pensare a soluzioni normative miranti ad un controllo totale della rete, perché ciò implicherebbe un sacrificio totale delle libertà individuali e collettive, così come non è ipotizzabile un digitale sprovvisto di adeguata regolamentazione, perché l’esperienza insegna che la libertà di ognuno di noi ha come limite la libertà dell’altro.
Ciò posto, tre considerazioni.
L’attuale legislazione italiana, sia nell’ambito del diritto sostanziale che processuale, consente di contrastare efficacemente l’eversione in rete, grazie alle norme previste per la criminalità informatica ed in virtù di quelle di recente conio riferite espressamente all’impiego delle tecnologie da parte dei terroristi.
Il contrasto alla delinquenza digitale, e quindi anche a quella di matrice terroristica, implica necessariamente un affievolimento della libertà, che, tuttavia, non può condurre ad un indiscriminato controllo dei dati, neanche in un periodo di emergenza quale è quello attuale.
La rete è solo un’efficace strumento anche per la commissione di delitti e non la causa della proliferazione degli stessi. Si è a tal riguardo sottolineato, ad esempio, come “il successo” dell’Isis non dipenda tanto dalla propaganda, quanto piuttosto dal controllo di alcuni territori dovuto a vittorie militari sul campo. Da questo punto di vista si osserva come troppo spesso si affievolisca l’attenzione verso determinate condotte realizzate maggiormente off line, concentrandosi maggiormente su quelle digitali. E’ accaduto, ed accade, rispetto allo sfruttamento sessuale dei minori, allo stalking, al bullismo ed oggi in relazione al terrorismo. Tale atteggiamento, riscontrabile anche in alcune scelte del legislatore, pensiamo agli aggravamenti di pena previsti per l’apologia e l’istigazione al terrorismo per via telematica, è, invero, pericoloso perché se da un lato “distrae” dai reali contenuti dei delitti che si intende contrastare, e dalla cause che li hanno generati, dall’altro finisce per giustificare forme di controllo della rete a discapito delle necessarie garanzie individuali, che sempre e comunque devono essere salvaguardate .