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Digital Crime. I crimini informatici spina nel fianco dell’economia digitale

Digital Crime

Il 26 settembre 2015, presso l’Università di Lecce, si terrà il Convegno su  “Mercati in rete” , organizzato dall’Andig  (Associazione Nazionale  Docenti di Informatica Giuridica e Diritto dell’informatica),  presieduta dal Professore Donato Limone.

La rubrica #DigitalCrime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale.

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L’incontro sarà il pretesto per fare il punto sullo stato attuale del mercato digitale, concentrando l’attenzione sulle questioni giuridiche e tecniche risolte o ancora in via di risoluzione.

Nel corso della giornata verranno affrontati, tra gli altri, i seguenti temi: le regole del mercato on line, l’identità digitale, il diritto all’oblio, open data e big data, lo Stato digitale ed economie locali, il commercio elettronico, il mercato turistico digitale, la protezione e circolazione dei dati personali in rete.

Spazio verrà dedicato anche alla criminalità informatica, percepita da molti come una delle cause che hanno impedito il decollo del commercio elettronico nel nostro paese.

Una delle ragioni, infatti, per le quali la new economy non ha conseguito i risultati sperati è rappresentata dal fatto che sia gli operatori commerciali, sia i consumatori non avvertono la rete come un luogo sicuro, ma anzi come ambito che nasconde innumerevoli minacce ed insidie.

Così come nessuno, o pochi, investirebbero denaro o acquisterebbero beni in un mercato notoriamente frequentato da “delinquenti”, allo stesso modo c’è scetticismo ad effettuare transazioni in un ambiente dove, come riportato quotidianamente dai media, proliferano reati di ogni genere.

Centrando l’attenzione sul rapporto new economy e criminalità in rete possiamo allora individuare due tipologie di delitti che in qualche modo frenano lo sviluppo dell’economia digitale.

Al primo gruppo appartengono quei reati, che seppur non caratterizzati da finalità economiche, alimentano la sensazione che la rete non rappresenti un luogo sicuro, da frequentare e, quindi, ancor meno dove investire o procedere ad acquisti di qualsiasi genere. Rientrano in tale categoria il  cyberterrorismo, la pedofilia telematica, il cyberstalking, ecc. La presenza massiccia di tali crimini, invero, non spaventa solo perché genera un’insicurezza “di contesto”, ma anche e soprattutto perché il legislatore per arginare questi fenomeni adotta contromisure, ed a volte vere e proprie forme di controllo, che suscitano, specie negli investitori ed operatori commerciali, il timore di essere coinvolti sul piano giudiziario per condotte delittuose altrui.

Al secondo gruppo appartengono, invece, tutti quei reati di contenuto direttamente patrimoniale. Pensiamo alla truffa, alla frode informatica, al falso informatico, all’accesso abusivo, all’illecito trattamento del dato personale. La commissione costante e continua di tali reati certamente non aiuta a percepire la rete come luogo ideale per “fare affari”.

Ciò posto vi è da dire che nella rete si trasferiscono comportamenti e dinamiche del mondo reale e, quindi, inevitabilmente si realizzano anche condotte criminali, esattamente come avviene nei contesti non digitali. Parimenti è indubitabile che l’Italia si sia fornita nel tempo di una legislazione sulla criminalità informatica ampia ed articolata in grado di contrastare tanto i reati informatici (l.547/93;l.148/2008), che i delitti tradizionali perpetrabili anche in via telematica(l.269/98;l.38/2006;l.438/2001;l.172/2012;l.119/2013;dlgs 7/2015).

Il problema della criminalità digitale persiste allora non tanto per un vuoto normativo, quanto per le difficoltà che sovente si incontrano nell’acquisizione delle prove idonee a dimostrare la sussistenza di un determinato delitto.

Da tale punto di vista si osserva che non sempre è agevole individuare l’autore della condotta delittuosa, visto che il soggetto si muove a distanza, potendosi garantire anche l’anonimato, e non ancora chiare sono le metodologie per acquisire, conservare ed analizzare gli elementi di prova digitale, indispensabili per dimostrare la colpevolezza dell’imputato. A ciò si aggiunga che la complessità delle indagini informatiche e la ormai fisiologica “lentezza” dei processi penali, determina, sovente la prescrizione del reato e, quindi, l’impunità del colpevole.

Per generare fiducia nel mercato in rete, e contribuire al suo sviluppo, non occorrono allora nuove disposizioni di diritto positivo, quanto interventi legislativi, e soluzioni di carattere tecnico, volti a rendere efficace e concretamente applicabile la legislazione penale vigente.

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