Il legislatore italiano, seppur in ritardo, ha predisposto un ampio ed articolato apparato normativo per contrastare l’abuso e lo sfruttamento sessuale del minore, anche se realizzato in rete o attraverso le tecnologie.
Per quanto concerne l’ambito digitale, sono oggi previsti numerose delitti e precisamente : la distribuzione (III comma, art.600 ter c.p.), la cessione e l’offerta (IV comma, art. 600 ter c.p. ) e la detenzione di materiale pedopornografico(art.600 quater c.p.); l’istigazione e l’apologia di pratiche di pedofilia (art.414 bis c.p. ); l’adescamento dei minori(art.609 undicies c.p.). E’ prevista altresì la pornorgrafia virtuale(600 quater 1 c.p.) ed aggravamenti di pena,non eccedenti i due terzi, quando il materiale oggetto della distribuzione, cessione e detenzione, sia di ingente quantità( V comma, art.600 ter e II comma,art.600 quater).
In ordine all’interpretazione di tali disposizioni vi sono alcuni punti fermi in ambito giurisprudenziale e segnatamente :
per quanto concerne il materiale pedopornografico, esso va inteso – anche alla luce della riformulazione dell’art. 600 ter c.p.( operata dalla legge 172 del 2012), quale rappresentazione , con qualunque mezzo, di un minore degli anni 18 coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni 18 per scopi sessuali ; per quanto riguarda la prova della minore età dei soggetti raffigurati, è stato chiarito come la stessa spetti all’accusa e non alla difesa; in relazione alle differenze intercorrenti tra i delitti di distribuzione e cessione, è pacifico che si verte nella prima ipotesi quando le immagini vengono messe a disposizione di un numero indeterminato di destinatari, mentre nella seconda quando i destinatari sono individuati; in relazione al delitto di detenzione, è stato altresì precisato che ai fini della sua sussistenza non basta lo scaricamento sul proprio computer del materiale pedopornografico, essendo necessaria la consapevolezza della sua natura. Si tende così ad escludere la configurabilità del reato nelle ipotesi in cui il soggetto non abbia visto i files scaricati o li abbia immediatamente cancellati, così da prenderne le distanze.
A fronte di tali certezze, permangono, tuttavia, numerosi dubbi interpretativi.
In relazione all’ipotesi di offerta di materiale pedopornografico, ci si chiede se il reato sussista anche nell’ipotesi in cui il soggetto offra immagini non in suo possesso o, addirittura, per scherzo. In questo caso il problema ruota attorno a quale debba essere la soglia di punibilità ed in particolare se l’offerta debba essere rispetto ad un qualcosa di reale, e già nella disponibilità o anche semplicemente potenziale.
Per quanto concerne la pornografia virtuale, i dubbi nascondo dalla stessa definizione presente nell’art. 600 quater 1, che considera immagini virtuali “le immagini dei minori realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali”. Se, infatti, pacifica pare la non rilevanza penale dei disegni, incertezze interpretative permangono in relazione a film, o immagini, totalmente realizzati attraverso le tecnologie, senza coinvolgimento alcuno del minore.
Quanto al delitto di detenzione, che per giurisprudenza consolidata si consuma con lo scaricamento del materiale pedopornografico nel proprio computer, si registrano sempre più spesso rinvii a giudizio di soggetti che si sono limitati a vedere immagini in determinati siti senza procedere al loro download.
Tema delicato è anche quello dei criteri da utilizzare per stabilire la rilevante entità del materiale pedopornografico, al fine di contestarne la relativa aggravante, atteso che ancor oggi le singole Procure, se non addirittura i singoli pubblici ministeri, si regolano in maniera differente.
In relazione all’adescamento, ci si interroga in ordine agli elementi necessari ai fini della sua sussistenza ed in particolare se basti un contatto preliminare con il minore, ad esempio l’instaurazione di dialoghi via chat o sia necessario, come sembra auspicabile, una condotta più esplicita e sintomatica della volontà di entrare in relazione fisica con lo stesso.
Quanto al delitto di apologia, dubbi ermeneutici sorgono per il fatto che la norma statuisce espressamente che non possono essere invocate a propria scusa ragioni o finalità di carattere artistico letterario storico o di costume. Ciò posto, ci si chiede allora se sia punibile colui che pubblica un testo di autore del passato, inneggiante pratiche sessuali con minori, o singoli brani dello stesso tenore.
Tali incertezze interpretative si aggiungono a metodi di indagine che talvolta determinano gravi contestazioni a carico di soggetti innocenti. Ciò può, in particolare, avvenire allorquando si risalga a colui che ha realizzato un accesso ad un determinato sito a chiaro contenuto pedofilo esclusivamente attraverso IP. Talvolta, infatti, capita che si assuma la veste di indagato, se non addirittura di imputato, senza che vengano svolte le necessarie verifiche a fine di escludere che altri, sfruttando magari la non protezione della rete, si siano collegati al posto suo.
Ciò detto, e consapevoli che reati così gravi, perché commessi a danni di soggetti deboli, debbano essere perseguiti senza “sconti”, occorre giungere al più presto a soluzioni interpretative omogenee al fine di evitare decisioni discordanti, che se da un lato non favoriscono il contrasto a tale gravissima forma di criminalità, dall’altra possono produrre danni irreversibili per soggetti incolpevoli.