REATI INFORMATICI

Digital Crime. Divulgazione di materiale pedoporno: quadro normativo incerto

di Paolo Galdieri, Avvocato, Docente di Informatica giuridica, LUISS di Roma |

A pochi giorni dall’entrata in vigore del D. Lgs. 28/15, non è ancora chiaro quali siano i casi in cui i reati contemplati, che rimangono comunque tali, possono essere considerati non punibili.

Il D. Lgs. 28/15 introduce nel nostro ordinamento la speciale causa di non punibilità per “particolare tenuità del fatto”, precisando all’art. 1 che “nei reati  per  i  quali  e’  prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque  anni,  ovvero  la  pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena,  la  punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.

La rubrica Digital Crime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale.
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A pochi giorni dall’entrata in vigore di tale Decreto non è ancora chiaro, e non potrebbe essere altrimenti, quali siano i casi in cui i reati contemplati, che rimangono comunque tali, possono essere considerati non punibili. Incertezza che è particolarmente avvertita rispetto ai delitti che si realizzano con maggiore frequenza in ambito digitale ovvero l’accesso abusivo al sistema informatico e telematico e la distribuzione, cessione e detenzione di materiale pedopornografico.

In relazione all’accesso abusivo considerazioni differenti vanno svolte a seconda che la condotta si concretizzi in un’intrusione realizzata da soggetto sprovvisto totalmente di autorizzazione o piuttosto da chi, autorizzato ad accedere al sistema, si intrattenga in spregio delle regole fissate dal titolare dello ius escludendi e da regolamenti.

Nel primo caso è difficile immaginare la tenuità del fatto perché la norma prevede la punizione del soggetto per la sola ragione che entri in un sistema altrui senza esserne autorizzato, e ciò a prescindere dalle finalità perseguite o dalle condotte poste in essere a seguito dell’intrusione, ad esempio la sottrazione o il danneggiamento di dati e informazioni. Stando al tenore letterale dell’art. 1 la non punibilità potrebbe sostenersi, quindi, solo laddove si ravvisi un comportamento non abituale e l’offesa venga ritenuta di particolare tenuità in considerazione della modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, elementi questi ultimi di non facile individuazione.

Discorso diverso può essere svolto in ordine all’ipotesi di mantenimento nel sistema contro la volontà del titolare dello ius escludendi. Sono questi i casi in cui il soggetto è autorizzato ad accedere, ma lo fa contravvenendo alle prescrizioni statuite.  Una possibile guida potrebbe essere costituita proprio dal principio fissato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, secondo cui “integra la fattispecie criminosa di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico protetto, prevista dall’art. 615-ter c.p., la condotta di accesso o di mantenimento nel sistema posta in essere da soggetto che, pur essendo abilitato, violi le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso. Non hanno rilievo, invece, per la configurazione del reato, gli scopi e le finalità che soggettivamente hanno motivato l’ingresso al sistema” (Cass., SS.UU., n. 4694/12).

Partendo da tale indicazione, ovvero che la sussistenza del reato prescinde dagli scopi e dalle finalità che hanno spinto il soggetto agente, potrebbe ritenersi che queste ultime possano, invece, rilevare ai fini di un’affermazione di non punibilità.

Pensiamo all’ipotesi di chi si intrattiene nel sistema per prendere informazioni utili, quali residenza o eventuale dimora, al fine di esercitare un preteso diritto, sporgere una querela o promuovere un’azione civile.

Maggiori margini di manovra paiono esservi rispetto ai delitti di distribuzione e cessione per via telematica (art. 600-ter, c.  3 e 4, c.p.) e di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600-quater c.p.). La sussistenza di tali reati presuppone che il materiale distribuito, ceduto o detenuto ritragga il minore degli anni 18 secondo forme da considerarsi rientranti nell’ambito della pornografia, aspetto quest’ultimo che pone numerose questioni, non esistendo allo stato una definizione codificata. A soccorso sono arrivate alcune pronunce secondo le quali si considerano pedopornografiche le immagini che ritraggono o rappresentano visivamente un minore degli anni 18 implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, quale può essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica (Cass. Sez. III n. 10981/10; Cass. Sez. III n. 25464/04).

Orbene, proprio partendo da tale definizione, potrebbe ritenersi che uno dei criteri per affermare la tenuità dell’offesa sia quello della qualità della rappresentazione. In tal senso si potrebbe immaginare la non punibilità nelle ipotesi di nudità “neutre”, non riconducibili a pratiche direttamente o indirettamente sessuali.

Altro parametro potrebbe essere costituito dall’età del soggetto raffigurato, atteso che pare anacronistico e non del tutto comprensibile l’attuale equiparazione tra bambini e soggetti che sono prossimi ai 18 anni. Infine, potrebbe considerarsi decisivo il numero delle immagini scambiate o detenute.

Ciò posto è innegabile che la non punibilità di condotte comunque rivolte contro minorenni, seppur con i distinguo appena precisati, sia difficile da comprendere proprio alla luce del bene giuridico protetto dalle disposizioni.

Le considerazioni svolte, in linea generale valide anche per altri delitti previsti dal Decreto, fanno emergere la necessità di adottare, in tempi brevi, criteri univoci per l’individuazione della  particolare tenuità dell’offesa e ciò al fine di evitare decisioni eterogenee affidate alla totale discrezionalità del singolo organo inquirente o giudicante.

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