La rubrica #DigitalCrime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale. Clicca qui per leggere tutti i contributi.
Il Decreto Legge riguardante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, approvato il 10 febbraio 2015, dedica ampio spazio alle condotte realizzate in rete.
Vengono previsti aggravamenti di pena per i delitti di apologia e di istigazione al terrorismo commessi attraverso strumenti telematici, ed al contempo, si conferisce all’Autorità Giudiziaria la possibilità di ordinare agli internet provider di inibire l’accesso ai siti utilizzati per commettere reati con finalità di terrorismo, compresi nell’elenco costantemente aggiornato dal Servizio Postale e delle Telecomunicazioni della Polizia di Stato. Si prevede che, nel caso di inosservanza, sia la stessa Autorità Giudiziaria a disporre l’interdizione dell’accesso ai relativi domini internet.
Senza entrare nel merito delle singole disposizioni previste dal decreto, tra le quali spiccano quelle che puniscono il soggetto reclutato con finalità di terrorismo e colui che si auto addestra alle tecniche terroristiche, e limitando il discorso all’operatività delle nuove norme nel mondo digitale, rileva come ancora una volta ci si indirizzi verso legislazioni più dettate dall’emotività del momento che dalla razionalità necessaria per perseguire efficacemente gli obiettivi prefissati.
Tale atteggiamento si era registrato già all’indomani dell’11 settembre quando il legislatore era intervenuto con la Legge 15 dicembre 2001 n. 438, prevedendo sanzioni penali per il soggetto che fornisce strumenti di comunicazione ai partecipanti le associazioni terroristiche e conferendo alle forze di polizia la possibilità di agire sotto copertura in rete, anche attraverso l’attivazione di “siti trappola”.
I due provvedimenti si caratterizzano per essere stati pensati in un momento di “massima allerta” e come reazione dello Stato a gravi attacchi terroristici. Entrambi colgono, invero, nel segno quando sottolineano come le nuove forme di terrorismo, soprattutto quelle di stampo internazionale, vanno combattute anche nel web, considerato che attualmente i gruppi eversivi utilizzano le tecnologie dell’informazione con grande disinvoltura e capacità tecniche.
Ciò detto, bisogna tener conto che la rete, seppur sfruttata anche dai gruppi terroristici, rimane, se correttamente utilizzata, il terreno dove sono in gioco la democrazia degli Stati e le libertà individuali.
Il vero problema delle legislazioni “di emergenza”, ed in particolare di quelle che producono effetti immediati all’interno della rete, è quello di realizzare, consapevolmente o involontariamente, forme di censura mascherata, che se da un lato non contribuiscono ad una lotta efficace verso comportamenti criminali, dall’altro finiscono con impedire anche il corretto esercizio dei diritti nel virtuale.
Rispetto al provvedimento appena approvato ci si interroga sul perché i delitti di apologia e di istigazione debbano essere considerati reati più gravi allorché vengano realizzati in rete e su quali saranno i criteri da utilizzare affinché gli stessi possano essere considerati sussistenti.
Sarà considerato reato, ad esempio, condivedere all’interno di un social network le ragioni dell’ISIS o prendere posizioni non di netto distacco rispetto ad un attacco terroristico?
Parimenti sarà oscurato il sito che spiega da un punto di vista storico-politico le ragioni della gihad senza, tuttavia, istigare alla lotta armata?
Tutti questi interrogativi nascono dal fatto che già in passato il legislatore prima, ed i soggetti chiamati ad applicare le norme dopo, non sempre hanno dimostrato una perfetta conoscenza del contesto, la rete, all’interno del quale le disposizioni vanno applicate. Da questo punto di vista è da ritenersi che l’inefficace contrasto alla criminalità in rete non è dipeso tanto dall’assenza di norme, considerato che abbiamo una legislazione ampia ed articolata, quanto piuttosto dall’esistenza di importanti questioni giuridiche ancora non risolte.
In ambito europeo si è più volte sottolineato come vadano applicate regole unitarie in materia di intercettazione di comunicazioni, di conservazione dei dati, di accesso e utilizzo anonimi, nonché sul valore probatorio dei dati informatici. Si è evidenziato, inoltre, che, trattandosi di reati, per loro natura transnazionali, occorrono chiare indicazioni riguardo la cooperazione giudiziaria e tra le forze dell’ordine. Da questo punto di vista è da salutare con favore la previsione, all’interno del decreto, del coordinamento delle attività di antiterrorismo da parte della procura nazionale antimafia.
Il coordinamento delle indagini, così come previsto, potrebbe rappresentare una svolta nella lotta alla criminalità in rete, iniziando un nuovo percorso diretto finalmente in modo spedito verso gli obiettivi previsti.