In una recente sentenza la Suprema Corte di Cassazione (Cass. Sez. III n. 1161/2013) si è occupata di un tema nuovo che porta a riflettere sui reati commessi attraverso le tecnologie dell’informazione secondo un diverso angolo visuale. Il tema è quello del riconoscimento o meno del vizio parziale di mente in capo al soggetto che nel momento in cui commette un reato presenta una forma di dipendenza da internet (Internet Action Disorder).
Internet addiction
Nel caso di specie si è escluso che l’Internet Addiction possa influire sulla capacità di intendere e di volere, anche semplicemente sottoforma di vizio parziale di mente. A tale conclusione si giunge prendendo spunto dalla perizia, secondo la quale la dipendenza da internet non avrebbe avuto alcuna incidenza sulle facoltà cognitive, ma su quelle volitive. Sempre secondo la perizia, e quindi per l’organo giudicante, in questo caso si sarebbe in presenza di una forma di condizionamento dei processi volitivi non derivante da una patologia o da un disturbo conclamato o chiaramente riconoscibile, che non avrebbe alterato i processi psichici dell’imputato.
La rubrica #DigitalCrime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale.Clicca qui per leggere tutti i contributi.
A prescindere dalle conclusioni cui giunge la Suprema Corte, in questa sentenza, forse per la prima volta, si ammette la possibilità che le disposizioni riguardanti il vizio di mente possano trovare applicazione anche rispetto al condizionamento delle tecnologie. In realtà già in passato si era sottolineato come l’utilizzo spasmodico di internet provochi una dipendenza equiparata a psicopatologie comportamentali come il gioco d’azzardo e la bulimia.
All’interno della categoria concettuale della dipendenza telematica, definita IAD (Internet Addiction Disorder), è stata individuata una categoria specifica nota come IRP (Internet Related Psychopathology), consistente nell’incapacità di resistere al gioco d’azzardo in rete e nella dipendenza da cyber spazio. Altri esperti si sono spinti più avanti, a tal punto da affermare che l’utilizzo del computer possa produrre vere e proprie forme di schizofrenia.
Pur essendo presto per affermare l’applicabilità delle norme sull’imputabilità a taluni delinquenti informatici si può già allo stato affermare che, proprio in considerazione dei recenti studi, sia necessario verificare caso per caso, se l’uso delle tecnologie determini un vizio suscettibile di valutazione giuridica.
Abuso di tecnologie e disintossicazione
Analoghe considerazioni possono essere svolte in ordine all’operatività delle disposizioni che regolano l’incapacità di intendere e di volere provocata dall’abuso di sostanze stupefacenti e alcoliche. Anche in tal caso, infatti, la loro rilevanza dipenderà dalla possibilità di dimostrare che l’uso delle tecnologie produce effetti analoghi a quelli prodotti dalle sostanze in parola.
Come evidenziato, pare già allo stato dimostrabile, che l’uso delle tecnologie generi forme di dipendenza. Tale dipendenza determina sicuramente effetti dannosi nell’individuo, a tal punto da sollecitare la nascita di associazioni che si occupano specificamente della disintossicazione da internet, con sistemi simili a quelli utilizzati per disintossicare gli alcolisti. A ciò si aggiunga che già da tempo negli USA si parla di “LSD elettronica”, mentre si ha notizia che in Giappone sono diffuse particolari applicazioni tecnologiche con il nome significativo di “video droga”.
Realtà virtuale
I rischi di conseguenze sulla mente umana, derivanti da abuso di tecnologia, sono ancora più tangibili quando si esaminano le opportunità offerte dai programmi di realtà virtuale. Questi programmi, che consentono di simulare il reale in modo perfetto, sembrano incidere profondamente sulla psiche del soggetto a tal punto da far perdere un certo tipo di sensibilità quando lo stesso agisce nel reale. A tal riguardo è stato osservato come in ambito militare minore sensibilità sia stata dimostrata da coloro che si erano precedentemente esercitati con programmi di questo tipo.
È possibile immaginare, quindi, che in sede di applicazione delle norme riguardanti l’imputabilità i giudici possano seguire tre strade differenti. Potrebbero infatti considerare irrilevante l’incidenza delle tecnologie, negando l’operatività delle disposizioni in parola, come anche valutarla determinante per affermare una totale o parziale non imputabilità, potrebbero, infine, addebitare allo stesso reo la colpa di aver utilizzato la tecnologia proprio per determinarsi una forma di incapacità tale da agevolarlo nella condotta delittuosa, con conseguente aumento di pena ai sensi dell’art. 87 c.p.