Frequentare le aule di giustizia e la Pubblica Amministrazione italiana in generale è un modo per considerare l’inferno dantesco un luogo di svago e per comprendere quanto sia radicata l’atavica incapacità della PA – e degli Uffici Giudiziari in particolare – di essere al passo con i tempi nell’adozione delle nuove tecnologie.
Nella maggior parte dei casi la posta elettronica viene utilizzata solo se una legge lo prevede espressamente e c’è il caparbio rifiuto di adottarla negli adempimenti informali che potrebbero invece ridurre di molto il carico dell’ufficio ed il lavoro degli addetti e degli operatori esterni, senza contare gli effetti positivi su inquinamento e traffico.
La maggior parte delle Cancellerie, ad esempio, non utilizza la posta elettronica per la trasmissione delle copie degli atti richiesti dagli interessati o per l’invio degli avvisi che consentirebbero ad Avvocati, Consulenti Tecnici, Testimoni e Forze dell’Ordine di evitare di recarsi in udienza quando sono disposti rinvii d’ufficio.
Difficile anche interloquire con tale mezzo di comunicazione con la maggior parte degli uffici per la formulazione di istanze e richieste poichè, nonostante la posta certificata e la firma digitale, ci si ostina a ritenere affidabile solo il deposito del cartaceo o l’invio tramite fax. Non è un problema normativo (perchè le disposizioni che prevedono il deposito ben possono essere interpretate, senza alcuno sforzo, per intendere tale anche quello che avviene presso la mailbox) ma di elasticità mentale, dato che un documento depositato tramite PEC e validato con firma digitale dovrebbe essere quantomeno equivalente al deposito di un documento cartaceo sottoscritto con firma autografa.
Inutile cercare di far capire, ad esempio, che oggi è più facile falsificare la provenienza di un fax o la firma su un documento che un file sottoscritto con firma digitale e spedito da un indirizzo certificato. Così come è inutile cercare di far comprendere che con le nuove tecnologie è più semplice e celere eseguire i controlli.
Risulta utopistico chiedere di effettuare i pagamenti di marche e contributi tramite POS, che però sono obbligatori per le aziende e per i professionisti.
Le Amministrazioni preferiscono generare un inutile movimento di persone, mezzi e documentazione che, al contrario, sarebbe facilissimo evitare semplicemente collegando un POS alla linea telefonica dell’ufficio competente ad erogare il servizio o, ancora meglio, attivando sul sito istituzionale un modulo per la richiesta on line e il relativo gateway di pagamento.
Troppo semplice e troppo rispettoso del lavoro degli altri consentire la richiesta di un documento da remoto ed inviarlo tramite posta elettronica, dopo aver acquisito il relativo pagamento tramite carta di credito, accertando l’identità del richiedente tramite carta nazionale dei servizi o l’ormai ineludibile sistema pubblico di identità digitale (SPID). Troppi risparmi in termini di costi sociali, di inquinamento, di traffico, di produttività ed efficienza.
L’importante è che questi adempimenti e strumenti riguardino il cittadino quando deve subirli. Che possano essere utilizzati per agevolarlo, è vietato anche ipotizzarlo.
Siamo destinati a soccombere davanti all’elefantiaca burocrazia che attanaglia la nostra pubblica amministrazione e non è un problema di cambio generazionale ma di italianità. Siamo talmente abituati a questo delirio quotidiano da stupirci quando nei Paesi stranieri le cose funzionano e non riusciamo a capire il perché.