Quando Umberto Eco disse che la Rete aveva dato la parola a legioni di imbecilli fu criticato aspramente, poiché in molti pensarono che il problema sollevato dalle scrittore riguardasse la democrazia, la libertà di manifestazione del pensiero, la fine dei filtri all’informazione. In realtà, la riflessione di Eco era probabilmente più leggera e disillusa, finalizzata unicamente a rilevare una situazione di diffuso analfabetismo funzionale misto a disarmante stupidità nell’uso delle tecnologie, analoga alla futile discussione tipica dei bar di paese (infatti citati dallo stesso scrittore) ma con risonanza teoricamente mondiale. Lo dimostrano anche le recenti statistiche in materia di criminalità informatica, che evidenziano una generalizzata riduzione degli attacchi basati su tecniche di intrusione e nuove vulnerabilità ed una crescita esponenziale del social engineering, un metodo che consente di acquisire informazioni riservate traendo in inganno l’utente, sfruttando la sua ingenuità, la sua impreparazione, le sue paure, la sua credulità (quella che avremmo un tempo chiamato “incapacità”).
L’utente medio della Rete non legge i manuali, meno che mai le condizioni di servizio e le privacy policy, non studia, non si informa, crede alle bufale che girano sui sito e sui social e diffida della scienza e dell’autorità (spesso anche del buon senso), pretende di sindacare l’opinione di uno scienziato o di un esperto pur non avendo alcuna preparazione in materia, si limita a far click su tutto quello che appare sullo schermo nella speranza che succeda qualcosa, si autoconvince di essere al sicuro dietro una tastiera e di poter perciò dominare il ciberspazio. Così attiva servizi a pagamento non voluti, cede i suoi dati personali e riservati e si fa profilare come una cavia, salvo indignarsi quando il danno è già fatto.
Il caso Sarahah, l’app che dovrebbe consentire di mandare messaggi anonimi, dimostra quanto l’utente medio sia in realtà un u-tonto, poiché si sono scatenati immediatamente (era già successo con Ask, peraltro) i molestatori seriali, i ciberbulli e gli intimidatori da tastiera, i quali, evidentemente, non hanno neppure letto i termini di erogazione del servizio (peraltro, basterebbe un po’ di sale in zucca per capire che sono altre le tecniche di anonimizzazione e non sono proprio alla portata di tutti). Oltre a cedere i propri dati personali, infatti (ossia tutti quelli ricavabili dall’uso del dispositivo) le regole dell’app prevedono espressamente che ogni utente venga tracciato affinché i dati siano disponibili per eventuali controversie legali. A questo punto servirebbero gli applausi: chi ha minacciato, ingiuriato e molestato tramite Sarahah, pensando di essere anonimo ed irrintracciabile, può procurarsi un buon Avvocato e, nell’attesa, guardarsi allo specchio per vedere uno splendido esemplare di cretino da tastiera.
Una domanda resta nell’aria: ma con tutte le risorse meravigliose che offre Internet, non avete altro da fare?