Il disegno di legge per il contrasto alla diffusione di notizie idonee a turbare l’ordine pubblico, attraverso piattaforme informatiche, risente di una distorsione ideologica che merita particolare attenzione, poiché, ancora una volta, pone l’accento sull’uso della tecnologia e non sul comportamento da reprimere, con il rischio, evidente nel disegno di legge, di criminalizzare il libero uso delle reti telematiche e non le condotte effettivamente meritevoli di sanzione penale.
Il termine “diffusione” previsto dall’attuale formulazione dell’art. 656 non necessità di specifiche tecnologiche, essendo assolutamente neutro, e non pregiudica la possibilità di contestare l’ipotesi di reato a chi fa uso di reti telematiche o di altre tecnologie.
Semmai occorre interrogarsi sull’opportunità di aggiungere un’aggravante, qualora venga usata una rete telematica, in ragione della maggiore potenzialità lesiva di uno strumento teoricamente di portata mondiale e per evitare che le specifiche tecnologiche aprano una breccia nel testo normativo, consentendo di ipotizzare altre modalità di diffusione sanzionate diversamente o non sanzionate affatto, come la trasmissione satellitare o wireless.
Peraltro, il disegno di legge prevede una sanzione inferiore a quella già attuale e ciò contrasta anche con il fine dichiarato di punire una condotta ritenuta più invasiva e maggiormente lesiva di altre.
Una ulteriore riflessione andrebbe fatta sul concetto di notizia tendenziosa o esagerata, perché il livello di discrezionalità affidato dal Giudice comporta nella sostanza, soprattutto su argomenti controversi (come, ad esempio, la possibile pericolosità dei vaccini), un arbitrio difficilmente sindacabile anche a posteriori.
Il medesimo ragionamento può essere fatto per il nuovo articolo 265 bis che, nel replicare l’articolo 256 estendendone la portata, focalizza inutilmente l’attenzione sulle tecnologie informatiche.
Anche in questo caso sarebbe opportuno ampliarne semplicemente la portata in termini di condotte da censurare e prevedere delle aggravanti per l’uso di determinate tecnologie particolarmente offensive.
Occorre infatti non dimenticare che il diritto penale è l’estrema reazione dell’ordinamento, a tutela di beni giuridici rilevanti, quando non è possibile disciplinare diversamente le condotte ritenute illecite. L’obiettivo della norma è quindi sempre la tutela del bene, non la tecnologia di riferimento.
Continuando nell’analisi del disegno di legge, appare decisamente da stigmatizzare l’insieme di norme che equipara – ma non troppo – la posizione di chi offre informazioni di qualsiasi natura sul web o tramite social network a quella di chi gestisce una testata giornalistica, con l’introduzione di un obbligo di autosegnalazione, controllo e rettifica, senza l’intervento dell’Autorità Giudiziaria, che obiettivamente appare eccessivo ed impraticabile per chi opera in modo amatoriale.
Semmai andrebbe distinta la posizione di chi ha una vera e propria organizzazione di tipo redazionale (che potrebbe essere equiparata alle redazioni giornalistiche, anche in considerazione del fatto che spesso l’organizzazione raccoglie fondi attraverso la pubblicità) da chi gestisce un sito o un profilo in modo del tutto autonomo, pubblicando materiale senza una periodicità programmata e senza continuità, che avrebbe obiettivamente enormi difficoltà ad eseguire i controlli richiesti (peraltro, spesso, senza essere un giurista) con evidenti riflessi sulla possibile violazione della libertà di manifestazione del pensiero.
Il vincolo imposto dalla norma, peraltro, sarebbe facilmente aggirabile utilizzando i molteplici sistemi di anonimizzazione presenti in rete, utilizzabili anche dai meno esperti. La localizzazione dei contenuti in territori estranei alla giurisdizione italiana e privi di rapporti di collaborazione con le forze dell’ordine straniere, complicherebbe ulteriormente l’applicazione della norma e determinerebbe la punibilità solo dei più ingenui.
Occorre invece rammentare che esiste una magistratura già in grado di applicare le disposizioni codicistiche e, sinceramente, non si sente la necessità di ulteriori misure repressive laddove basterebbe specificare meglio e rendere semmai chiaramente applicabili quelle esistenti.