Il Processo Civile Telematico ha complicato la vita alla maggior parte degli Avvocati e continua, per i malfunzionamenti che spesso affliggono il sistema centrale, a far vittime tra gli addetti ai lavori, ormai esasperati.
Se da un lato c’è un evidente problema di alfabetizzazione informatica che riguarda i soggetti più anziani e quelli che non hanno un buon rapporto con le tecnologie, dall’altro c’è l’atavica incapacità degli uffici di “pensare digitale” e non considerare il fascicolo elettronico una mera estensione / duplicazione di quello cartaceo.
Si continua a considerare il Decreto Ingiuntivo, ad esempio, un atto da scrivere lasciando spazio alla fantasia degli Avvocati, senza considerare che sarebbe molto più semplice prevedere un semplice schema da riempire con i dati essenziali (per identificare un cittadino, oggi, è sufficiente il codice fiscale, per le aziende la Partita Iva, per l’Avvocato la firma digitale, il resto dovrebbe farlo automaticamente l’interconnessione tra le reti della Pubblica Amministrazione), allegando la documentazione a supporto della richiesta e il pagamento con bancomat o carta di credito per il contributo unificato.
Al Giudice non resterebbe che valutare il rispetto dei criteri per l’emissione del provvedimento e la procedura potrebbe generare automaticamente il Decreto e notificarlo alle parti, inclusa la debitrice, visto che gestire una procedura di invio automatico di una raccomandata non sembra oggi poter essere un problema per i programmatori. Servono modifiche codicistiche?
Forse, anche se basterebbe una interpretazione estensiva di quelle esistenti, in chiave garantistica. In ogni caso, invece di cercare di cambiare la Costituzione in quel modo becero che ha travolto anche il Governo Renzi, i nostri legislatori avrebbero potuto impegnarsi in questi piccoli aggiustamenti che ottengono enormi risultati in termini di efficienza ed efficacia.
Occorre non dimenticare che uno dei principali motivi per cui l’Italia non è appetibile per gli investitori stranieri è proprio il pessimo funzionamento della Giustizia.
Tuttavia, è nel rapporto quotidiano tra Giudici ed Avvocati che si delinea l’inconsistenza della riforma digitale. Ogni operatore del diritto sa che determinate nullità documentali o procedurali e alcuni termini processuali comportano necessariamente il rinvio dell’udienza, per non parlare dell’eventuale assenza del Giudice, dell’assegnazione dei fascicoli a nuovo ruolo, delle udienze filtro.
Se il giorno precedente ciascuna udienza, semplicemente, venissero comunicati agli Avvocati, tramite PEC, i rinvii inevitabili, il paese ne gioverebbe in termini di efficienza (meno fascicoli da gestire in udienza per il Giudice, meno persone ad ingolfare l’udienza e meno fascicoli per la Cancelleria da aggiornare), in termini di traffico e di inquinamento (meno avvocati in strada con auto, moto e scooter), in termini di produttività del paese (perché tutti, ovviamente, potrebbero dedicarsi a produrre qualcosa anziché passare il loro tempo in viaggio e in un’aula dove otterranno solo un rinvio).
Alcuni Giudici lo fanno, per educazione, per sensibilità, per rispetto dei ruoli, perché effettivamente studiano i fascicoli prima dell’udienza, perché ritengono che anche quello sia un modo per migliorare il sistema Giustizia. Dopotutto, si tratta semplicemente di anticipare un controllo che sarà comunque fatto il giorno successivo, in udienza, con molti più oneri e fatica a carico di tutti e nessuno che ne tragga giovamento.
Servono modifiche codicistiche?
No, le norme ci sono già e gli indirizzi di posta elettronica certificata anche. Tant’è che gli Uffici comunicano il rinvio anzitempo quando si tratta di fasi processuali consolidate. Serve solo buona volontà.
Basterebbe davvero poco per rendere molto più efficiente la Giustizia e molto più serene le vite di noi tutti. La tecnologia dovrebbe semplificare la vita e renderci più liberi, non far alzare la pressione e incatenarci ad adempimenti cervellotici e privi di senso. L’Ufficio Complicazione Affari Semplici è avvisato.