Le fake news sono argomento sul quale si dibatte costantemente negli ultimi mesi, per gli effetti distorsivi che possono avere sull’opinione pubblica e sui comportamenti delle masse. Un esempio eclatante è l’allarme cresciuto attorno al problema dei vaccini e alla connessione tra somministrazione e patologie come l’autismo, che ha determinato molti genitori a non vaccinare i loro figli, senza operare alcuna valutazione medica e senza rendersi conto del maggior rischio cui li hanno esposti (e al quale hanno esposto anche i bambini che li frequentano) nei confronti delle malattie infantili, il cui potenziale lesivo è ben superiore a quello finora accertato a carico di alcuni farmaci (non di tutti i vaccini), che invece risulta statisticamente irrilevante.
L’effetto della disinformazione, infatti, ha creato la psicosi da vaccino, gestita decisamente male anche da parte delle Autorità, che si sono mosse tardi e con approssimazione, aumentando la sensazione di sfiducia da parte della collettività ed alimentando le tesi dei complottisti, sempre pronti a travisare negativamente i messaggi ufficiali.
La disinformazione può essere combattuta innanzitutto con il prestigio dell’informazione ufficiale, alla quale dovrebbe rivolgersi il cittadino in caso di dubbio. Purtroppo è imbarazzante dover constatare che in Italia non esistono editori liberi (che non dipendono da grandi gruppi industriali) e spesso le esigenze di mercato prendono il sopravvento sulla qualità dell’informazione, sulla verifica dell’attendibilità delle fonti.
Dovrebbe quindi intervenire il Legislatore ma, ovviamente, una disciplina della qualità dell’informazione si traduce automaticamente in un problema di libertà dell’informazione.
Una soluzione potrebbe essere quella di equiparare tutte le attività svolte in modo imprenditoriale, anche da privati ed associazioni, all’attività editoriale, lasciando da parte solo i singoli che lo fanno a livello amatoriale, non organizzati con collaboratori e strutture, e che non traggano alcun sostentamento o altra utilità da tale attività che non sia la crescita di prestigio.
In tal modo si lascerebbe comunque ampio spazio alla libertà d’informazione, che non sarebbe in alcun modo intaccata dall’intervento normativo, ma si ricondurrebbe l’attività di chi fa il giornalista di professione, spacciandosi per blogger, ad un più corretto ambito editoriale, con i connessi controlli e responsabilità. Resterebbe invece libero il singolo cittadino di rapportarsi con i suoi follower e di risultare attendibile unicamente per il proprio prestigio personale e professionale.
Se vi guardate attorno, i blogger che scrivono per passione e godono di autonomo prestigio sono decisamente pochi. Gli altri sono avventurieri dell’informazione che hanno trovato il modo di scrivere sciocchezze e guadagnarci sopra. Opportuno, quindi, che siano soggetti alla legge sulla stampa e paghino le tasse, anche a tutela di chi quel lavoro vorrebbe farlo bene.