L’avvento dei computer e della robotica ha rivoluzionato il mercato dell’auto (e non solo) e determinato un’evoluzione delle finiture e delle prestazioni che erano impensabili fino a vent’anni fa. La tecnologia, tuttavia, non ha beneficiato i consumatori con altrettanta affidabilità nel tempo.
Se è vero che le autovetture si rompono meno, accade sempre più frequentemente che abbiano problemi poco rilevanti che, tuttavia, non possono essere riparati sul posto e determinano il ricovero in officina, complice spesso un’elettronica che conferma di non andare d’accordo con sobbalzi e vibrazioni, purtroppo ormai frequenti su molte strade italiane, abbandonate dalla politica nonostante l’auto sia uno dei comparti più tassati.
Quel che è possibile rilevare, in ogni caso (e sarebbe interessante produrre una statistica in tal senso) è che a rompersi sono spesso componenti che non hanno un’alternativa sul mercato e costringono i consumatori a rivolgersi alle case automobilistiche per l’acquisto del pezzo originale – con conseguente aumento di costi – anche se la vettura è fuori dalla copertura della garanzia e risulterebbe più conveniente un intervento dal meccanico di fiducia.
Una specificità degli inconvenienti che lascia ampi spazi al sospetto che l’invecchiamento delle vetture sia programmato, da un lato per costringere il consumatore a cambiarle dopo un certo numero di anni (e drogare in tal modo il mercato), dall’altro per consentire al costruttore ampi margini di guadagno sui pezzi di ricambio, escludendo la concorrenza su determinati articoli non riproducibili per ostacoli burocratici (brevetti, omologazioni, ecc.) o per scarsa convenienza ad una fabbricazione alternativa (costo della componentistica elevato).
Capita, così, di vedere improbabili rotture degli iniettori e non della pompa del gasolio, della centralina delle sospensioni e non degli ammortizzatori, della serratura elettronica e non del meccanismo alzavetri, con buona pace dell’antitrust.