Dall’Internet delle cose – o IOT come la definiscono gli addetti ai lavori – stanno venendo fuori tante interessanti novità che guideranno la società occidentale verso una realtà interconnessa, nella quale molti dispositivi interagiranno con l’ambiente circostante senza necessità di intervento umano.
Se dal punto di vista pratico può essere affascinante ed indubbiamente utile avere un frigorifero che fa la spesa da solo, verificando le scorte presenti nei suoi cassetti e ripiani e collegandosi automaticamente al supermercato o una lavatrice che ordina da sola ammorbidente e detersivo quando sono quasi terminati, per contro i dati che tali oggetti trattano, e che possono essere incrociati con quelli provenienti dagli altri dispositivi e dalle tracce che quotidianamente lasciamo in rete e in giro, deve portarci a riflettere sul mondo di cristallo che stiamo costruendo.
Il nuovo Regolamento Europeo sul trattamento dei dati personali introduce il concetto di valorizzazione dei dati e di uso legittimo da parte del titolare, con un apertura al mondo aziendale che, se da un lato concretizza una maggior protezione dell’interessato per un approccio orientato ai processi e non ai prodotti, dall’altro consente la profilazione informata dell’utente senza troppe limitazioni e questo deve indurre gli operatori del diritto, ma soprattutto i cittadini, a porsi delle domande.
Avere un’autovettura collegata in tempo reale ad Internet e al sistema GPS consente sicuramente un intrattenimento di bordo più soddisfacente, l’individuazione di punti di interesse nelle vicinanze, la ricezione di messaggi in tempo reale anche di natura promozionale o culturale, allerta immediati in caso di problemi sul percorso e soccorsi più rapidi e adeguati ma, al tempo stesso, trasmette una quantità di dati impressionante ai gestori dei relativi servizi, che possono elaborarli e a loro volta rivenderli alle compagnie di assicurazione, agli enti proprietari delle strade, a chi eroga servizi e fa marketing.
L’utente potrebbe esser profilato per la condotta alla guida e veder aumentare la polizza di assicurazione sulla base di presunzioni e non sulla reale sinistrosità, in quanto considerato un profilo a rischio (perché supera spesso i limiti di velocità o fa manovre azzardate). Discorso analogo, analizzando altri dati, può interferire sui rapporti bancari o finanziari, sulle polizze vita, sull’assistenza sanitaria e così via, verso un mondo fatto di presunzioni e non di avvenimenti.
Ecco perché occorre una maggior cultura del consenso al trattamento e dell’informativa resa dal titolare, quei moduli che spesso l’utente neppure legge e si limita a sottoscrivere frettolosamente, accettandone le clausole, soprattutto quando stipula contratti on line.
Se per le aziende sarà necessaria la formazione per prevenire sanzioni e richieste di risarcimento, per i cittadini sarà doverosa, anche da parte delle istituzioni, un’opera di informazione e responsabilizzazione, per rendere effettivo l’esercizio dei diritti di accesso ai dati e di revoca del consenso eventualmente espresso. Altrimenti da cittadini diverranno sudditi di un mondo digitale sempre più invadente. Il Grande Fratello orwelliano è già qui, solo che nessuno sempre essersene accorto.