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Didattica digitale, perché non si crea una piattaforma nazionale basata su software libero?

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La prof.ssa Maria Chiara Pievatolo commenta un punto specifico contenuto nelle Linee Guida per la Didattica Digitale Integrata (DDI) pubblicate dal Ministero dell’Istruzione previste dal Piano per la ripresa di settembre ed inviate alle scuole per la loro applicazione. (n.d.r).

L’onere della scelta della piattaforma lasciato alla singola istituzione scolastica senza tenere in considerazione il Privacy Shield invalidato

Ciascuna istituzione scolastica individua una piattaforma che risponda ai necessari requisiti di sicurezza dei dati a garanzia della privacy tenendo anche conto delle opportunità di gestione di tale forma di didattica che sono all’interno delle funzionalità del registro elettronico, assicuri un agevole svolgimento dell’attività sincrona anche, possibilmente, attraverso l’oscuramento dell’ambiente circostante e risulti fruibile, qualsiasi sia il tipo di device (smartphone, tablet, PC) o sistema operativo a disposizione. Si rimanda al Provvedimento del 26 marzo 2020 – “Didattica a distanza: prime indicazioni” dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali”.

L’onere della scelta della piattaforma, pur essendo vagamente suggerito l’uso del registro elettronico, è lasciato alla singola istituzione scolastica, entro i limiti delle prime indicazioni sulla DaD fornite dal Garante della privacy italiano a marzo 2020, quindi prima dello studio del Garante europeo e della sentenza Schrems II.

La pagina del sito ministeriale dedicata alla DaD, nel momento in cui scrivo, continua a consigliare le piattaforme proprietarie di Microsoft e Google, e a osservare un maestoso silenzio su quanto invece offerto dal GARR, ente pubblico italiano senza scopo di lucro. 

Secondo lo studio europeo sopra menzionato, la Microsoft usa e sposta i dati dei funzionari e dei cittadini a sua discrezione, perché, entro un quadro contrattuale mutevole e vago: 

Una singola scuola italiana è in grado di controllare le condizioni di privacy della Microsoft?

Una singola scuola italiana è in grado di controllare le condizioni di privacy della Microsoft, posto che neppure le ben più potenti istituzioni europee che hanno concluso contratti con lei ci sono riuscite? La questione – che va estesa alle altre multinazionali statunitensi – è aggravata dalla circostanza che l’invalidazione del Privacy Shield da parte della corte di giustizia europea costringe tutti a ricordare che alcune leggi americane consentono al governo di richiedere i dati posseduti da aziende USA anche se conservati fuori dai confini degli Stati Uniti stessi.

Vale la pena notare che l’atteggiamento del garante della privacy italiano, da marzo, si è evoluto: “Meglio il registro elettronico che piattaforme cinesi o americane”.

Al di là dei tecnicismi, mi chiedo:

1. la singola istituzione scolastica ha le conoscenze e il personale specializzato per poter concludere un contratto con Microsoft o Google, come continua a consigliare, nonostante Schrems II, la pagina del ministero, che la metta effettivamente in grado di assicurare e controllare che l’uso dei dati di studenti e docenti sia destinato rigorosamente ed esclusivamente alle esigenze didattiche e non sia invece esteso alla sorveglianza capitalistica o governativa?

2. perché, poiché nel prossimo futuro la teledidattica continuerà ad avere un ruolo importante, non ci si impegna a creare una piattaforma nazionale basata su software libero, traendo profitto delle competenze del GARR, ente pubblico di ricerca senza fini di lucro e dunque al riparo non solo dagli effetti di Schrems II, ma  dalla logica del capitalismo della sorveglianza?

Le linee guida, fissando semplicemente dei criteri generali, sembrano molto liberali e rispettose dell’autonomia degli istituti scolastici. E però, proprio perché rinunciano a trattare la scuola – la Scuola, non le scuole – come un sistema nazionale unitario, lasciano presidi, docenti e studenti alla mercé di multinazionali gigantesche e occhiute, con le quali chi è povero, debole e solo difficilmente potrà concludere accordi che non siano capestri.

Non solo non si raccomanda, ma si evita anche di menzionare il software libero

Anche se, provando a essere ottimisti, immaginiamo le linee guida come un ripiego provvisorio pensato per essere superato (si parla per esempio del sostegno degli Uffici scolastici regionali, che potrebbe essere un punto di partenza per creare una qualche forma di sistema, pur soltanto locale), ci accorgiamo subito che evitano accuratamente non solo di raccomandare, ma anche di menzionare il software libero. Eppure, perfino in una condizione in cui gli utenti sono solo, deboli e divisi, l’uso di software libero, il cui sorgente è esposto a mille occhi, potrebbe assicurare un qualche controllo collettivo sul funzionamento delle piattaforme teledidattiche.

Non possiamo più permetterci di trascurare la scuola, soprattutto in uno scenario di gravissima crisi economica dalla quale non possiamo sperare di uscire con l’industria del turismo o delle “scarpe più belle del mondo”. Ma possiamo permetterci ancor meno di suddividere la Scuole in scuole, e di lasciare ciascuna di esse da sola.

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