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Democrazia Futura. Versi in fumo. Una pipa per ricominciare sempre da capo a meditare sulla propria esistenza

Luca Archibugi

Il poeta e drammaturgo Luca Archibugi con “Versi in fumo. Una pipa per ricominciare sempre da capo a meditare sulla propria esistenza” per i lettori di Democrazia futura si sofferma – come recita l’occhiello – “Sulle poesie di Filippo Pogliani raccolte ne La Charatan nera (Milano, PuntoaCapo, 2021, 128 p.)”. “La Charatan nera ci fornisce una spia, dissemina tracce nel suo libro che sono come volute di fumo – scrive Archibugi aggiungendo: “Non vorremmo farci prendere la mano dal simbolo, ma i versi di questo poeta sono come anelli concentrici. Non a caso, ogni verso ha una metrica in sé, indipendente dalla metrica dell’intero componimento. Non a caso, ogni verso ha l’iniziale maiuscola, si ha l’impressione che ogni verso incominci da capo. La Charatan nera è un libro che raccoglie e affastella molti anni di vita. Ha un tono da consuntivo”.

Filippo Pogliani

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Una pipa è anche un punto di vista per guardare il mondo. Un compasso che gira a raggiera nella bocca e che si sposta in maniera impercettibile a seconda di ciò che incontra. Un piccolo periscopio personale che determina la nostra visione. In tantissimi hanno sentito il bisogno di impossessarsi della pipa come oggetto simbolico.

Intanto, per fare un nome, Georges Simenon: se Maigret non avesse la pipa cambierebbe il personaggio, uno dei suoi racconti si intitola proprio La pipa di Maigret. Simenon non può essere liquidato soltanto come un mirabile creatore di genere abilissimo nel costruire atmosfere irripetibili. Federico Zeri, ad esempio, lo considerava un grande scrittore tout court. In altre parole, se Maigret non avesse la pipa, Simenon avrebbe dovuto inventare un altro personaggio. Questo sicuramente vale anche per Jacques Tati, a cui la pipa è assolutamente connaturata. Ma, di esempi, ce ne sono a bizzeffe. Tutta la narrazione di Charles Marlow in Cuore di tenebra di Joseph Conrad può essere letta come una catabasi, un viaggio del pellegrino al contrario. Persino il suo quasi omonimo creato da Raimond Chandler, Philip Marlowe, che si dedica soprattutto alle sigarette Camel, di tanto in tanto, a casa sua, non disdegna di fumare la pipa.

Ecco, ora esce un libro di poesia in cui l’autore, Filippo Pogliani[1], si presenta, sin nel titolo, come fumatore di pipa: La Charatan nera ci fornisce una spia, dissemina tracce nel suo libro che sono come volute di fumo.

Non vorremmo farci prendere la mano dal simbolo, ma i versi di questo poeta sono come anelli concentrici. Non a caso, ogni verso ha una metrica in sé, indipendente dalla metrica dell’intero componimento. Non a caso, ogni verso ha l’iniziale maiuscola, si ha l’impressione che ogni verso incominci da capo.

La Charatan nera è un libro che raccoglie e affastella molti anni di vita. Ha un tono da consuntivo. Viene in mente Tristan Corbière: “Je suis la Pipe d’un poète, / Sa nourrice, et: j’endors sa Bête” (“Sono la Pipa d’un poeta, / La sua nutrice, e: gli tengo a bada la Bestia”). Ecco, esattamente questo, riguardo a Pogliani. È come se lo strumento del fumatore potesse racchiudere in sé l’extrema ratio, potesse “tenere a bada” la decomposizione dell’esistente: “Una memoria /  Breve veloce di auguri  / Che aspira a ricordarsi / Non so festeggiare altrimenti / Che in versi / Sciolti ispirati esperti / Da poi / Che un amico / È nel luogo frammisto all’inconscio // Parole scritte / Solo in calce aritmico” (Una memoria).

Non è facile racchiudere la poesia di Pogliani in epiteti, occorre assecondare il suo movimento, senza forzare la mano, dato che il poeta non forza mai. Scorre l’andirivieni delle immagini su un terreno abbastanza scivoloso. Tutto ha la sua voce, di volta in volta cambia il punto di vista e, un’altra voce che fino a quel momento sembrava dovesse tacere, si manifesta.

È una poesia olistica. Talché, tale movimento inesausto somiglia al nastro di Moebius, non c’è soluzione di continuità. Noi crediamo di afferrare la saponetta una volta che è scivolata di mano ma, in realtà, scivolerà ancora via. È proprio in questa impossibilità di afferrare che vive la Charatan nera.

Così la lettura va condotta come una specie di viatico continuo, in cui non ci sono riferimenti solidi, corposi. L’esistenza scivola via, regalandoci tutt’al più la temporanea apertura di finestre, o, addirittura, oblò e finestrelle. Ma proprio per questo la realtà appare nella sua indecifrabile scivolosità e, al tempo stesso, nella sua assoluta evenemenzialità.

Anche i versi che possono apparire perentori, vanno a cercarsi altrove il proprio domicilio: nel verso che segue, nell’altro significato che incalza, ma l’enigma non è dato dalla sua simbolicità estrema. Pogliani è un poeta lontanissimo dalla nostra tradizione ermetica. L’enigma è semplicemente la pronuncia, l’affermazione che scivola via lasciando il posto a quella che incalza dietro. Ne è prova il fatto che molte poesie si concludono senza punto, lasciando il verso in sospeso. L’esistenza è ricavata attraverso piccoli segni imponderabili: “Accanto non vi è silenzio / Se appoggio e discerno / Dell’albero alla tua schiena / E null’altro / Sentirti ciabattare la scala / Rincorrere evangeli infantili / Infilarti nel letto gelata /  E null’altro / M’abbisogna da ora / Guardarti di notte nel sonno /  Parlarti alla mano nel viale /  Sentirti / Altero bisticcio di sensi / Tu sei” (Le statue di Montale IV).

Eppure, in questo flusso magmatico, si aprono degli scarti, degli inserti di lancinante sincerità. Nel magma appaiono lampeggiamenti. Sono intarsi ed epifanie in cui si viene allo scoperto, come nella poesia dedicata al figlio: “Tu sei il figlio che ho sempre sperato tu fossi / Prima che tu ci fossi / Prima che ti avessi pensato.”

In questi rispecchiamenti vive il rapporto con l’altro, come nell’identificazione in cui ci imbattiamo nella poesia Casanova: “Quale spazio dare alla misura / Del tuo pelo è compito / Di altri sonnambuli titani, / Con parrucchino ameno / E dente ammiccante di amante.” E spesso Pogliani svuota la pipa, come in una delle poesie che preferisco, Boulevards:Non penso più ai tigli  / Né ai ceffi incontrati / E glisguardi impauriti / I timori / Alle luci illusorie / Non penso più se appare difficile / L’aritmia della voce / E i miei mille calori / Lo scrostarsi del muro / Accanto ai pochi silenzi / Alla notte”.

Se il ricordo sfuma nel fumo, se la percezione trattiene tutt’al più un acquerello, che cosa resta, in cosa ci è dato consistere? All’origine, ancora una volta, quasi per maledizione, o ossessione, ci imbattiamo in Charles Baudelaire: “Je suis la pipe d’un auteur; […] Quand il est comblé de douleur, / Je fume comme la chaumine / Où se prépare la cuisine / Pour le retour du  laboureur.” (“Sono la pipa di uno scrittore […] Se lui è pieno di dolore, / fumo come la capanna / dove si cucina per il contadino che ritorna.”).


[1] Filippo Pogliani, La Charatan nera, Puntoacapo, 2021, 128 p. , 15 euro.

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