Il libro

Democrazia Futura. Vera e gli schiavi del Terzo Millennio

di Giulio Stolfi, sostituto Procuratore Generale della Corte dei Conti. Procuratore Generale per la Basilicata |

Qualità della scrittura, ricostruzione-incisione del reale, forte coloritura di classico nei personaggi. Giulio Stolfi racconta l’esordio letterario di Carmen Lasorella.

Giulio Stolfi magistrato alla Corte dei Conti illustra per la rubrica Quarta di Copertina l’esordio letterario di Carmen Lasorella[1] “Vera e gli schiavi del terzo millennio[2]”.


«Arriva il momento in cui devi cambiare per poter continuare»
«Signora, io faccio il mio lavoro. Parlo con decine di persone che curo e aiuto a salvarsi. Ma che dico, persone? Non sono neanche animali!
Verranno spostati come oggetti senza diritti.
C’è una rete che prende i soldi e li fa sparire. Ahmed mi ha raccontato molte cose: gli ho chiesto se voleva registrarle». Mostrò una chiavetta USB: «È tutto qui».
Vera avvampò di piacere.

La quarta di copertina

È un romanzo che senti con i cinque sensi. Fa pensare, ma emoziona. Vive sentimenti e diritti nell’era informatica. Alla voce del- la protagonista, Vera, un’attivista nota per le sue battaglie ad ogni latitudine, si affianca una voce narrante, diversa per generazione e cultura. L’una è una donna cresciuta in un contesto colto e aperto, educata alla bellezza, al valore della dignità, al gusto del sapere; l’altra è l’espressione della gioventù 4.0, con il suo linguaggio sbrigativo e le sue insicurezze. Vera ha lasciato le piazze e dirige una grossa struttura che si occupa di migrazioni. Scopre che è infiltrata dal malaffare. Vive un momento difficile: il suo matrimonio è fallito. Ritrova l’energia per indagare sul calvario di un’umanità vulnerabile e abusata. Incontra storie e talenti, alleati e nemici. Accanto a lei, un magistrato, un giornalista, un’informatica geniale, il volontariato e una donna misteriosa, che è il suo opposto. L’intero intreccio si sviluppa tra vicende private, attacchi informatici e minacce, nell’impegno per la giustizia e contro narrazioni distorte, colletti bianchi collusi e le mafie. L’epilogo sarà travolgente, con un nuovo inizio nel segno dell’amore.

Si deve alla affettuosa considerazione dell’Autrice l’ipotesi di mettermi in dialogo con una delle anime di questo romanzo: il problema della legge e della legalità, simboleggiato da uno dei personaggi chiave della storia, che, almeno in apparenza, fa il mio stesso mestiere.

I Tre pregi dell’esordio letterario di un cronista di razza

Qualità della scrittura, ricostruzione-incisione del reale, forte coloritura di classico nei personaggi.

Ma diciamocelo subito: io, ancorché pubblico ministero, non sono affatto un penalista; nulla di più lontano dalla mia esperienza professionale quotidiana dei vasti fondali disegnati da Carmen Lasorellain questo suo (importante) esordio letterario, delle inchieste elettrizzanti, degli intrighi internazionali.

Cominciamo, allora, con quella che i miei colleghi francesi definirebbero una Déclaration préalable: le similitudini fra il sottoscritto e il co-protagonista della storia di Vera si arrestano alla foggia della toga che indossiamo in udienza. Non ho, quindi, titolo per discettare delle sue avventure, anzi direi del suo percorso, del suo viaggio, provando ad immaginare che possa essere il mio, o quello di qualcuno che conosco.

Il mio campo d’azione professionale è, molto più grigiamente – oserei dire – quello del diritto amministrativo. In particolare poi, l’oggetto della mia passione di studio, da sempre, è l’evoluzione degli apparati burocratici di quel grande costrutto giuridico, politico e filosofico che chiamiamo “lo Stato moderno”, osservato con la (poco confessabile) speranza di riuscire ad individuarne le traiettorie future, i punti di approdo verso i quali andrà e verso i quali noi, che in esso continuiamo a vivere immersi, più o meno consapevolmente, immersi, ci faremo da lui trascinare.

E’ quindi più che legittimo chiedersi che c’entri tutto questo con la grande, avvincente, visionaria – per certi versi – storia di Vera?

Ahimè, come mi hanno insegnato i miei maestri accademici, è difficile evitare lo Stato, e bisognerebbe essere accorti nel metterlo di mezzo nel discorso: perché poi, in realtà, finirà con scoprirsi che lo Stato c’entra, davvero, quasi sempre. Ma mi permetterò di dir meglio cosa penso sul tema, fra qualche istante.

Per prima cosa, infatti, vorrei poter spendere qualche considerazione – meglio, condividere qualche impressione – da lettore; e chiedo con ciò perdono perché, se, nel parlare da magistrato di un romanzo che tratta di grandi traffici criminali, ho potuto dar l’impressione di avventurarmi in un territorio assolutamente sconosciuto, e rispetto al quale bene avrei fatto a tenermi alla canonica distanza delle sei, o preferibilmente anche dodici, miglia, figuriamoci quanto alla larga dovrei tenermi dalla critica letteraria, io che ho scritto soltanto cose ridondanti  d’avverbi desueti e latinetti un po’ astrusi e un po’ buffi.

Ma da lettore – soltanto da lettore – non posso trattenermi dal mettere a parte di qualche piccola risonanza voi, che questo libro lo leggerete (fatelo però, in mezzo al marasma di cose inutili che una industria editoriale impazzita ormai ci rovescia addosso a valanga, questa è la novità letteraria che andrebbe comprata per l’estate).

Le tre specificità di questa opera prima

Tre semplici punti, tre elementi che mi sembrano  individuare la specificità di questo libro – o una delle possibili tracce attraverso le quali arrivare alla specificità di questo libro – considerato nella sua sostanza letteraria; perché, quanto invece alla tesi di fondo, che molto meglio di me potrà illustrare l’Autrice e che, anzi, deve farsi scoprire da sola nel confronto fra pagina e lettore, andiamo oltre la dimensione letteraria, inserendo nel prisma della lettura le sfaccettature della politica, dell’analisi sociologica ed economica, della contestualizzazione dei grandi fenomeni del presente; insomma, pur non dismettendo i panni dell’ottimo (posso dirlo) romanziere, Carmen Lasorella non rinuncia alla voce che l’ha resa nota a tutti noi e non solo: quella della grande giornalista, dell’esperta di politiche e relazioni internazionali, capace di raccontare con sguardo fermo e sicuro movimenti così ampi del reale che fanno smarrire i più (e non sto parlando del proverbiale uomo della strada) nel balbettio da bar, nel sempre comodo e pulsionale “semplificare”.

Ma la pluralità di livelli di interpretazione non fa diventare l’abito del romanzo un mero pretesto. Vera non è, insomma, un roman-à-clef o una docufiction (a seconda se si preferiscano le etichette del passato o quelle del presente). E quindi merita di essere guardato, compreso innanzitutto come un romanzo.

  • Primo punto che emerge da questo sguardo, dunque: la qualità della scrittura. Qualità difficile da trovare oggi, con tutta la sapienza, la consuetudine della penna, l’assiduità delle letture, il benedetto mestiere. Nel mondo dei fulminanti sconosciuti, una scrittura che finalmente arriva da lontano, rassicura, e insegna. Non omnia possumus omnes[3].
  • Secondo punto: non si cerchi in queste pagine la giallistica femminile, e per solito mediterranea, che tanto ama il mercato editoriale. No, Vera non appartiene alla categoria delle famose, fortunate, e forse un po’ famigerate “nipotine di Montalbano”. Non a Camilleri, a De Carlo, a Carofiglio bisogna volgersi per cercare la genealogia di queste pagine; ; e parenti strette di Vera non sono affatto le tante investigatrici dalle complicate vite, dallo spesso accento, dal cartolinesco contorno che popolano gli scaffali delle librerie e poi i palinsesti televisivi. Semmai, per capire le ascendenze di Vera, bisogna guardare allo scrittore francese Mathias Énard e al suo mirabile Zona, il più grande affresco letterario del Mediterraneo e dei suoi conflitti che si sia letto in questi anni[4]. Dunque un romanzo non di genere, al postutto; poderoso, strutturato, diciamo anche ambizioso; un romanzo dove le figure e la trama compongono una tesi più vasta, che non si risolve in uno scavo psicologico del particolare o in uno studio d’ambiente ma ambisce a una ricostruzione-incisione del reale. Se vi pare poco…
  • Terzo punto, legato al secondo: si avverte, o perlomeno ho avvertito io, una forte coloritura di classico in queste pagine. E in particolare mi sembra di vedere un omaggio consapevole e impegnativo alla classicità nel fatto che lo svolgimento della vicenda dei personaggi non è, in primo luogo, funzionale a un approfondimento di caratteri (se ciò sia o meno un bene, giudichi ciascuno secondo il suo gusto; questo, a mio parere, è il dato): i protagonisti sono all’opposto, nel senso più profondo, anzi direi meglio nel senso antico del termine, dramatis personae. Tipi, In questo senso, mi viene in mente il titolo – non più che quello, ma carico di suggestioni assai evocative – di un ormai piuttosto datato romanzo, Le maschere dell’eroe di Juan Manuel de Prada (1996)[5]. Ecco: i personaggi di Vera sono, a modo loro, maschere di eroi ed eroine, interpretano cioè istanze di perennità, in una declinazione davvero, radicalmente, anche qui mediterranea, il che mi pare contribuisce a posizionare l’opera di Carmen Lasorella su di un tono, entro un passo al quale, mi ripeto, non siamo più abituati, e che ci interroga.

Insomma: un romanzo, un’inchiesta, una visione…ma, per finire, cosa c’entra in tutto questo lo Stato?  Sono in debito di una spiegazione, e mi concedo di chiudere con due battute. Lo Stato, infatti, è un altro protagonista, che parla con la sua assenza, con la sua insufficienza. L’intuizione di Carmen Lasorella, che paradossalmente – ancora una volta – solo lo sguardo del cronista di razza consente di attingere, è intuizione, au fond, di storico. Di storico delle istituzioni, perfino.

E conferma, infatti, che la dimensione del fenomeno migratorio di cui qui si narra è tale da richiedere un cambio epocale non solo di modi di pensare, ma anche di strumenti e di strutture. Un romanzo, quindi, che non solo parla al presente, ma incide nella domanda di futuro, su più piani e più livelli.

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[1] Carmen Lasorella. Giornalista. Anchor-woman al Tg2, cronista di guerra, autrice di reportage, conduttrice di programmi di successo in radio e in televisione per le reti Rai. Opinionista. Saggista. Ha raccontato le principali crisi internazionali a cavallo tra il XX e il XXI secolo. Corrispondente da Berlino. Direttore generale di San Marino RTV. Da sempre, in viaggio,

[2] Bologna, Marietti 1820 editore, 2023, 416 p.

[3] Ovvero “non tutti possiamo tutto”. Con questa frase il poeta romano Lucilio, inventore della satira, evidenzia il fatto che non abbiamo tutti le stesse doti, la stessa capacità.

[4] Mathias Énard, Zone, Arles, Actes Sud, 2008, 528 p. Traduzione italiana di Yasmina Mélaouah: Zona, Milano, Rizzoli, 2011, 489 p.

[5] Juan Manuel de Prada, Las máscaras del héroe. Barcelona, Seix Barrall, 2009, 575 p. Traduzione dallo spagnolo di Stefania Cherchi e Laura Gonsalez:  Le maschere dell’eroe, Roma., E/O editore, 2000, 640 p.

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